I
sentimenti sono una bella cosa. E tutti vorremmo essere sempre felici e
contenti. Ma le cose non vanno così. Poiché il nostro piano di realtà si basa
sul dualismo dialettico, se vogliamo essere felici in un dato momento, dobbiamo
essere infelici in un altro. E così per tutti i sentimenti e le emozioni: o si
accetta la coppia intera o si cerca di uscire dal dualismo. Non c’è una via di
mezzo.
Noi ci
illudiamo che si possa scegliere la parte migliore lasciando perdere la parte
peggiore. E sogniamo di paradisi in cui ci sia solo il bene, la gioia e l’amore.
Il potere
di Maya (l’illusione) è questo: siamo come quei cani che inseguono inutilmente
una lepre finta o quei somari cui si mette davanti una carota che non
raggiungeranno mai. Pare incredibile che il mondo non se ne accorga.
Come
uscire da questo stato di cose? Prima bisogna rendersene conto, non solo
intellettualmente, ma concretamente: verificare nella realtà dell’esperienza. E
poi bisogna attivare lo stato d’animo meditativo che permette di uscire dal
dualismo.
Non si
tratta di sognare paradisi cui si contrapporranno sempre altrettanti inferni,
ma di andare al di là sia del paradiso sia dell’inferno. Questa è la vera
trascendenza.
Le
religioni ci impongono di credere a qualcosa che sarà verificato dopo la morte;
dunque potremmo perdere il nostro tempo a inseguire sogni inconsistenti. Non
così la meditazione che inviterà a “provare per credere”, ossia a sperimentare
qui e subito che cosa sia la trascendenza.
Dobbiamo
infilarci nelle interruzioni naturali dell’attività mentale (intellettuale e
sentimentale) tra un pensiero e l’altro, tra un’emozione e l’altra, tra un
respiro e l’altro, tra uno stato d’animo e l’altro… e dilatarli il più
possibile.
Possiamo
ripetere l’operazione in ogni istante. Non c’è bisogno di posizioni particolari.
Dobbiamo solo essere consapevoli degli istanti di discontinuità e di vuoto
della mente, quando non è né felice né infelice. Qui siamo – anche se per brevi
istanti – nella trascendenza (del dualismo), nel puro essere al di là della
sofferenza e del piacere, della vita e della morte.
Possiamo
restare delusi dall’esperienza, se crediamo che la trascendenza sia una specie
di stato paradisiaco o addirittura un dio. Invece la trascendenza è un’esperienza
di vuoto consapevole, poiché la mente è ferma. Qui non ci sono né visioni né
apparizioni. Non c’è esultanza ma neppure paura e ansia.
La mente
si difende da simili tentativi perché sa bene che lo svuotamento segnerebbe la
sua fine. E quindi si oppone con le sue capacità proiettive, con le sue
fantasie, con le sue distrazioni.
Ma noi
restiamo attenti, molto attenti e concentrati sul punto.
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