Possiamo paragonare la meditazione
alla traduzione. Mettiamo che non conosciate bene una lingua e che dobbiate
tradurre una frase che sul momento non capite.
Prendete un vocabolario e iniziate a
tradurre una parola per volta. Vi appaiono delle parole, ma non ancora un senso
compiuto.
Avete bisogno di tradurre anche i
verbi e i modi verbali. Poi gli aggettivi e gli avverbi. Ora qualcosa
incomincia a farsi strada: un significato confuso.
Poi cercate di mettere insieme il
tutto: finché all’improvviso salta fuori l’intero significato.
È un po’ come portare alla luce piena
qualcosa che giaceva confuso nell’oscurità.
Infine avete il significato della
frase. E siete soddisfatti. Ciò che era nascosto è alla luce.
Il significato era tra quelle parole
sconosciute. Ma – attenzione – non è tutto lì. Dovete unire quella frase alle
altre frasi del testo.
E non è finita: il significato era
tra quelle parole, ma non si riduce alle parole.
Le parole, infatti, sono solo schemi
mentali, indicazioni, boe, che indicano che sotto c’è qualcosa. Ma ciò che c’è
sotto è molto più grande, e non si riduce alla boa di superficie.
Come si dice nello zen, il dito che
indica la luna non è la luna.
Il problema ora è guardare
direttamente la luna, dimenticandoci delle parole.
Nessuna verità profonda può essere
espressa a parole.
In meditazione si sa che il
significato ultimo dev’essere compreso al di là delle parole, nel silenzio
della mente concettuale.
Nessun commento:
Posta un commento