Quando moriamo, abbiamo tutta una
serie di idee su ciò che ci attende: paradiso, inferno, purgatorio, giudizio
universale, Dio Padre, la Madonna, Cristo, i santi, i peccati da espiare,
rivedere i morti e così via - oppure il nulla. Comunque, idee che ci hanno
instillato la famiglia, la religione, gli amici, qualche lettura e la cultura
in generale.
Ma
tutte queste idee – più o meno confuse – non sono che pregiudizi, alcuni
piacevoli, altri terrorizzanti.
Se invece durante la vita avremo
sviluppato un po’di consapevolezza, avremo ormai capito che tutte queste idee
non sono altro che fantasie, tentativi di interpretare con categorie mentali
qualcosa che non conosciamo, l’ignoto, ciò che supera i limiti della mente
umana. La morte, come la trascendenza, non può essere conosciuta né inquadrata
dalla nostra attuale razionalità.
L’unica cosa chiara è che dobbiamo
liberarci da tutto questo ciarpame pseudo-religioso, per entrare nudi, spogliati
di tutto. Come non possiamo portarci dietro né cose né persone, come dobbiamo
abbandonare ogni possesso, così dobbiamo liberarci di idee tanto piccole.
Solo in tal modo non ci troveremo
ancora di fronte ai nostri condizionamenti e saremo liberi di fare nuove esperienze.
Nel processo del morire, come in
quello del meditare, si sviluppa un risveglio graduale che consiste in gran
parte nel vedere come le nostre idee e le nostre aspettative erano limitanti,
limitate e puerili.
Ma questo risveglio si può realizzare
adesso, senza aspettare gli ultimi momenti.
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