Il nostro cervello, secondo Anil Seth, non è un passivo ricettore di stimoli, e non è l’interprete fedele della realtà esterna. Ma è un attivissimo rielaboratore di messaggi, impegnato a tempo pieno nella produzione di ipotesi su quanto i sensi gli consegnano. “Non facciamo mai esperienza dei segnali sensoriali in quanto tali. Facciamo esperienza soltanto delle interpretazioni di quei segnali”.
Ciò che percepiamo non è mai “vero”, del tutto reale, oggettivo (i colori, i suoni, le sensazioni tattili, e persino la nostra percezione di noi stessi non hanno alcunché di oggettivo), però non si tratta di pure e semplici allucinazioni o illusioni, perché esprimono (dice Seth) “predizioni su quanto accadrà”: il cervello stabilisce “quali siano le ipotesi migliori circa le cause dei rumorosi e ambigui segnali sensoriali che riceve, al fine di minimizzare l’errore di predizione”.
Ovviamente questo lavoro non può essere del tutto arbitrario, altrimenti l’organismo (animale o umano) che esegue la procedura non riuscirebbe a sopravvivere neanche per cinque minuti: la ricostruzione ipotetica che fa del mondo esterno deve essere valida. E velocemente. Ma che cosa significa?
Che deve funzionare.
Ora, può esserci un' azione di feedback continua. Ma, siccome non c'è tanto tempo da perdere nell' evoluzione, bisogna arrivare a conclusioni valide, e questo non potrebbe avvenire se non ci fosse già un collegamento mente/materia.
Il che è ovvio se si pensa che la mente non è un' evoluzione della materia (in un rapporto di effetto/causa), ma che si è co-evoluta con la materia.
Il collegamento esiste già.
Siamo noi che facciamo una distinzione tra due polarità che in realtà sono unite. E poi ci chiediamo come sia possibile "riunificarle".
Non sono da riunificare (operazione che crea confusione). Sono da riconoscere nella loro unione.
Bisogna partire da un' unione diadica. Che è stata dimenticata.
Siamo nella situazione di un pazzo che, avendo dimenticato la propria origine da una coppia, si domanda: "Come è possibile che una coppia di persone faccia un figlio?"
Ma la coppia aveva già fatto un figlio. Ed era lui stesso!
L' interprete o il traduttore deve riconoscere che la traduzione è possibile perché le due lingue sono già collegate. Se dovesse tradurre la lingua dei "marziani" non si raccapezzerebbe.
Nessun commento:
Posta un commento