Tra i primi filosofi consapevolmente e dichiaratamente atei, Paul Henri Thiry d'Holbach è un esponente del materialismo illuministico ricordato ancora oggi per concetti entrati nel linguaggio comune come il buon senso.
Di
Simone Casavecchia
Il 21 gennaio 1789 moriva a Parigi il filosofo traduttore e divulgatore scientifico tedesco naturalizzato francese Paul Henri Thiry d’Holbach, La filosofia di Paul Henri Thiry d’Holbach costituisce l’esempio più brillante del materialismo ateo, una corrente che, nell’alveo dell’Illuminismo, trova i suoi tratti distintivi in una critica serrata alla religione e nell’elaborazione di sistemi che nulla concedevano alla libertà, al caso o alla Provvidenza.
Bollato da Goethe come la quintessenza del vecchiume, il pensiero di d’Holbach, nonostante la sua prosa talvolta oscura e ripetitiva, rappresenta un tassello imprescindibile nel cammino di laicizzazione percorso dalla società europea e la sua riflessione lascia ai posteri concetti ancora vivi e pulsanti nel linguaggio comune, come quello di buon senso.
Di origini tedesche, d’Holbach fu uno dei principali protagonisti della vita culturale parigina: voce della letteratura clandestina francese, svolse un’intensa attività di traduttore e animò un salotto che ospitò le conversazioni delle menti più brillanti del suo temp
Nato ad Heidesheim, nel Palatinato, da una modesta famiglia borghese col nome di Paul Henrich Dietrich (8 dicembre 1723 – 21 gennaio 1789) deve gran parte della sua fortuna allo zio materno che, dopo essere emigrato in Francia, fece fortuna grazie a delle speculazioni finanziarie e acquisì il titolo di barone che poi cedette al nipote, al quale aveva fatto conoscere Parigi e permesso di compiere studi di Diritto presso la città olandese di Leida, celebre centro di studi anche scientifici.
Non appena giunse a Parigi, d’Holbach si legò di amicizia sincera a Diderot e giocò un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’Enciclopedia: non solo fu l’estensore, anonimo, di molte voci relative alla politica e alla religione ma, fu infatti determinante per portare a termine l’impresa: insieme a Louis de Jaucourt sostenne anche economicamente l’amico quando, dopo l’allontanamento di D’Alambert, era sul punto di desistere.
Oltre alla scrittura di molti pamphlet dove criticava aspramente la religione e il suo legame con il potere monarchico, d’Holbach, grazie alla conoscenza del tedesco e dell’inglese, svolse un’intensa attività di divulgatore scientifico e tradusse in francese molte opere di geologia, mineralogia e chimica.
Dal 1753, il giovedì e la domenica, accolse nelle sue dimore amici fidati e collaboratori, conoscenze di passaggio e stranieri illustri: calcarono i pavimenti del salotto del barone d’Holbach uomini come Diderot, Voltaire, d’Alambert, l’abate Galiani, lord Shelburne, Horace Walpole, Buffon, Hume, Helvetius e von Grimm.
Il buon senso (1772);
Le tesi più famose, e controverse di d’Holbach, trovano posto nel Sistema della natura, un’opera che diventa il manifesto del materialismo ateo settecentesco e che, per la blasfemia delle sue tesi, l’autore pensò bene di pubblicare sotto pseudonimo.
In questo trattato d’Holbach raccoglie e ricapitola tutti i principali argomenti, antichi e moderni, utili a spiegare materialisticamente, quindi senza l’apporto di alcuna entità metafisica, l’intera realtà e la natura umana: non si tratta, dunque, di un’opera che spicca per originalità argomentativa, pur avendo una grande valenza dal punto di vista storico e critico.
L’autore prende le mosse, appunto, dalla natura che egli definisce come un grande tutto, una realtà onnicomprensiva, della quale anche l’uomo è parte: in quanto tale egli è soggetto alle leggi della natura e non può liberarsene, neanche col pensiero, pertanto ogni tentativo di oltrepassare i limiti del mondo visibile con uno sforzo intellettivo è vano.
Tra gli elementi naturali su cui d’Holbach si sofferma trovano posto il movimento, senza il quale non sarebbero possibili la conoscenza e l’azione umana, la materia che il nostro autore concepisce atomisticamente, le leggi del movimento quali l’attrazione, la repulsione e l’inerzia: tutto ciò contribuisce a delineare un universo fisico dove tutto è necessitato e dove l’ordine, il disordine e il caso sono solo nomi in realtà privi di senso, che gli uomini assegnano ai movimenti regolari e costanti che colgono con i loro sensi, o a eventi di cui non riescono a cogliere le cause.
In questo universo le entità metafisiche, che si suppone esistano al di sopra o al di là della natura stessa, sono in realtà illusorie chimere e anche l’idea di un uomo doppio, fisico e spirituale è tutta da rigettare:
“l’uomo fisico è l’uomo agente sotto l’impulso di cause conoscibili mediante i sensi; l’uomo spirituale è l’uomo agente per cause fisiche che i nostri pregiudizi ci impediscono di conoscere”
Per questo occorre, per d’Holbach, ricorrere sempre alla fisica e all’esperienza, non solo in campo ontologico ma anche nella religione, nella morale, nella politica.
Poste queste premesse è facile comprendere come d’Holbach, forse per primo nell’età Moderna, giunga a una sincera, coerente e soprattutto consapevole affermazione dell’ateismo.
Per il barone proprio nell’ignoranza risiede l’origine degli dei, adorati perché oggetto di speranze e timori quando, invece, la natura, regolata da legge necessarie e immutabili, non conosce né bontà né malvagità.
La teologia diventa allora pura illusione che, però, danneggia anche l’umanità: i suoi concetti sono all’origine di tutti i mali che affliggono l’umanità, dei pregiudizi, dei vizi, del malgoverno, perché, inculcati fin dall’infanzia, impediscono di ragionare.
Se l’uomo vuole dalla disgrazia e smettere di aver un volto velato di lacrime:
“cerchi nella natura e nelle sue proprie forze quelle risorse che mai sorde divinità gli potranno procurare. Ascolti i desideri del suo cuore, saprà che cosa deve a sé stesso e agli altri; esamini la natura e lo scopo della società e non sarà più schiavo; consulti l’esperienza, troverà la verità e riconoscerà che l’errore non potrà mai renderlo felice”
Lungi dall’essere un mostro irragionevole e folle, come lo dipingono i moralisti, l’ateo per d’Holbach è colui che per spiegare i fenomeni dell’universo e gli accadimenti naturali, non ricorre a potenze immaginarie o a entità ideali o ad astrazioni trascendenti ma si limita a considerare solo il dato naturale, a osservare con i sensi le cause fisiche e corporee, le uniche a essere rilevanti in un ragionamento che voglia dirsi tale.
La visione morale, il buon senso e la concezione politica di d’Holbac
In questo scenario, dove non ha senso parlare di un’anima separata dal corpo, non trova posto neanche la libertà: le azioni umane sono sempre necessitate da idee acquisite, da nozioni apprese intorno alla felicità, da opinione rafforzate dall’esempio, dall’educazione, dalla vita quotidiana. L’uomo, dunque, lungi dall’essere libero, è guidato nelle sue azioni dai vantaggi reali o presunti che potrebbe acquisire dagli oggetti che sollecitano i suoi sensi.
Nonostante questo, non siamo di fronte a un universo egoistico; la morale ha una sua ragion d’essere pur essendo fondata solo sulla consapevolezza che gli altri uomini sono esseri senzienti come noi e che, pertanto, è impossibile ignorare ciò che è utile o dannoso per loro:
“È sufficiente che un uomo abbia bisogno del suo prossimo perché sappia che deve temere di suscitare in lui sentimenti sfavorevoli a se stesso. Così, l’essere sensibile e pensante ha bisogno solo di sentire e pensare per scoprire cosa deve fare, sia per se stesso che per gli altri
È questo il buon senso che porta l’uomo a considerare utile la vita in società, che non è altro che un insieme di individui accomunati dagli stessi bisogni e intenzionati a collaborare per la propria conservazione e per la felicità di ognuno.
Proprio la naturale tendenza alla felicità porta l’uomo a sottomettersi a leggi civili che dovrebbero essere solo una declinazione particolare, di quelle leggi naturali fondate sulla natura umana stessa.
Oppresso per molti secoli dalla superstizione e dalla credulità, l’uomo ha ora iniziato ad esercitare la ragione e a distinguere tra ciò che soddisfa la sua natura e lo conduce alla felicità e quelle leggi che, fondate sull’errore e sull’ignoranza, contraddicono la sua natura: è questo che, in d’Holbach, giustifica la lotta politica e sforzo per realizzare una società e delle istituzioni migliori.
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