Se
domandassimo al nostro cane di spiegarci il teorema di Pitagora, non capirebbe
neppure che cosa vogliamo. Nella natura infatti esistono vari livelli di
intelligenza e chi è a un livello basso non può capire chi è a un livello alto.
Il cane non comprende noi, ma la formica non comprende il cane.
Sulla Terra sembra che noi ci troviamo al livello più
elevato, ma è probabile che in qualche altro pianeta o in qualche altra
dimensione vivano esseri più intelligenti. D’altronde nemmeno l’uomo di
Neanderthal avrebbe capito il teorema di Pitagora.
Il nostro compito dunque è portarci a un
livello più alto per capire quei “misteri” che oggi ci sembrano
incomprensibili. In tal senso tutti i paradossi sono utili. In particolare
dovremmo superare la visione dualistica, per cui non possiamo pensare all’alto
senza pensare al basso o alla vita senza pensare (e realizzare) la morte.
Che cosa cerchiamo, allora? Stati alterati di coscienza?
Forse è il contrario. Noi viviamo ora in stati alterati di
coscienza, dominati dal dualismo, e cerchiamo la visione completa, comprensiva
degli opposti.
Perché in meditazione partiamo dalla quiete? Perché l’inquietudine
è uno stato alterato da cui dobbiamo uscire per trovare lo stato di calma “olimpica”
che, non a caso, accostiamo a qualcosa di divino.
Ma il divino è solo uno stato superiore di intelligenza, quello
che cerchiamo.
Meditare è vedere chiaro là dove tutti vedono cose distorte.
È un “non pensare” nel senso di non pensare come (e ciò) che tutti gli altri
pensano. Ma in realtà è un superpensiero.
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