L’intera
ricerca della felicità, con tutte le sue sofferenze, non è che ricerca di stati d’animo positivi.
Ma lo yogin che, ritiratosi in una caverna, ha imparato a raggiungere tali
stati d’animo, non ha più bisogno né del mondo né delle sue esperienze.
Le
fatiche, le pene, le sofferenze e tutti gli stati mentali negativi possono dunque
in gran parte essere evitati. L’esperienza stessa diventa inutile se è possibile
raggiungere uno stato di appagamento duraturo.
Ma
basta una goccia che cade dal soffitto della caverna, un serpente o un mal di
pancia per rovinare tutto. A meno che non si trovi il modo di influire
direttamente sulla realtà.
A
questo punto lo yogin diventa una specie di Dio che può vivere anche mille
anni.
Ma
ha vissuto?
Se
non sperimenta l’errore e la sofferenza, ha vissuto?
Purtroppo
vivere è accettare anche gli stati d’animo negativi. Anche perché, se non fosse
così, non avremmo più un’idea di cosa sia la felicità – che è sempre liberazione
da uno stato di costrizione.
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