Di
solito, quando parliamo dei benefici della meditazione, ci riferiamo al
rilassamento, al senso di benessere, alla tranquillità,alla serenità e alla
salute in genere. Ed è tutto vero. Però ci dimentichiamo di un aspetto che è
meno evidente, ma più importante: l’allentamento della presa dell’io.
Per
“presa o pressione dell’io” intendiamo la sensazione e l’idea di dover
difendere la nostra personalità contro le minacce esterne, il che si traduce in
una tensione esistenziale continua, in sensazioni di paura, di ansia e di
angoscia.
È
dal senso dell’io, più o meno forte, che dipendono tante nostre sofferenze,
soprattutto di tipo psicologico, tenuto conto che si tratta più che altro di
una costruzione mentale. A poco a poco, crescendo, l’io diventa un concetto di
primaria preoccupazione.
Meditare
porta ad allentare tale invasività.
Infatti
noi ci sentiamo in dovere non solo di proteggerlo, ma anche di rinsaldarlo e di
farlo riconoscere dagli altri. Non essere riconosciuti, non contare niente, non
essere qualcuno, ci fa sentire male. “Io
devo fare questo, io devo essere
questo, io devo farmi rispettare,
ecc.”
È
un attaccamento maniacale, una vera ossessione che ci tortura continuamente.
L’idea di non essere nessuno ci sembra devastante. Di qui i nostri sforzi e le
nostre paure.
Quando
invece mettiamo in secondo piano questo senso dell’io, meditando sul fatto che è
soprattutto un costrutto mentale, la vita diventa più leggera. Dov’è il senso
dell’io? A che cosa corrisponde?
È
una nostra esperienza, non qualcosa di oggettivo. Dunque, può essere cambiato.
Spetta
a noi conferirgli più o meno importanza. Spetta a noi lavorare per capire che
si tratta in gran parte di una nostra idea, un concetto, un giudizio che può
diventare più o meno assillante. Quando ci preoccupiamo troppo del nostro ego,
vuol dire che ci stiamo tendendo forse inutilmente.
Non
è dagli altri che deve venire questo riconoscimento, ma da noi stessi. Spogliamolo
della sua importanza. Che cosa conta il nostro piccolo io in questo universo?
Dov’era prima che nascessimo e dove finirà dopo la nostra morte? E siamo sicuri
di essere “noi” che nasciamo e che moriamo?
Non
possiamo far niente per consolidarlo, niente per trattenerlo. Ma, proprio per
questo, possiamo ridimensionare la sua importanza, approdando a quel senso del
sé che riconosce di essere parte del tutto, non semplici individui isolati.
Si
può vivere, e si vive meglio, senza il senso assillante dell’io. C’è qualcosa
che ci guida inesorabilmente e che ne sa più di noi.
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