La
nostra religione si riempie la bocca della parola “amore”: ama il prossimo tuo,
ama Dio, ama il tuo nemico, ecc. Ma i risultati nei secoli non sono stati un
granché. Non si vede un amore sperticato diffuso tra la gente. Le ingiunzioni
religiose sembrano più che altro espressioni retoriche, non messe in pratica. E
provocano più che altro una grande ipocrisia.
Come
si fa, d’altronde, ad amare un estraneo o addirittura uno che odi o che ti sta
antipatico?
Ma
forse abbiamo mirato troppo in alto. Non c’è affatto bisogno di amare il
prossimo. Non ci possiamo imporre l’amore, né alcun altro sentimento. Restiamo
sul concreto, su un atteggiamento che possiamo adottare – per esempio la
gentilezza.
La
gentilezza possiamo imporcela, come una norma di educazione. Non comporta né
passione né trasporti amorosi, ma rispetto, considerazione.
Sembra
poco. E invece è moltissimo.
Se
tutti fossimo gentili, anziché rudi, villanzoni o sgarbati, già il mondo si
trasformerebbe.
Essere
gentili significa se non altro essere attenti e sensibili.
Sarà
per questo che certe vie spirituali più evolute della nostra, per esempio il
buddhismo, invitano ad essere gentili più che ad amare. Restano sul concreto e
sono più efficaci. Aiutano il prossimo senza essere invasive.
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