venerdì 28 dicembre 2012
Caccia ai cristiani
Sempre più spesso apprendiamo dell'uccisione di cristiani da parte di fondamentalisti di altre religioni, soprattutto musulmani. In Africa e in Asia, in nome della loro fede, gruppi di fanatici religiosi si sentono in dovere di eliminare dai loro paesi la presenza cristiana, sentita evidentemente come estranea. Nel condannare questi assassinii, notiamo che la fede in Dio non migliora gli istinti degli uomini. Anzi, li peggiora. In un certo senso, essere religiosi è come essere tifosi: si parteggia per una squadra sentendo tutte le altre come rivali. Quello che manca al mondo è una religione veramente universale, capace di unire gli uomini. Le religioni attuali, basate sul monoteismo, sollecitano piuttosto gli istinti belluini. Si basano più un meccanismo di esclusione che su uno di unione: chi non è con me è contro di me. Certo, questo succede perché l'uomo stesso si individua in quanto ego, che non solo è separato ma è proprio contrapposto. Io sono in quanto mi contrappongo a un altro. Una religione veramente universale dovrebbe, più che adorare qualche Messia, colpire alla base questa identificazione.
giovedì 27 dicembre 2012
La caduta degli angeli
Recentemente ho visto alcuni stupidi filmetti natalizi, quelli popolati di Babbi Natale e di angeli. E mi ha colpito un tema ricorrente: quello degli angeli decaduti, quello degli angeli che s'innamorano di esseri umani e finiscono per smettere di essere angeli e per ritornare sulla Terra.
A pensarci bene, non è una fantasia così stupida. C'è qualcosa di profondo. D'altronde, secondo la mitologia cristiana, il Diavolo è un angelo decaduto (non però per amore ma per ambizione), Adamo ed Eva abbandonano il loro Paradiso terrestre e il "Paradiso perduto" di Milton ripercorre lo stesso tema... angeli che abbandonano il loro stato di puri spiriti per diventare o ridiventare uomini. Evidentemente, il fascino di questo mondo è qualcosa di potente e l'aldilà non è poi così eccitante.
Mi viene in mente che anche secondo il buddhismo, non tutti gli illuminati s'involano subito: alcuni devono ritornare almeno una volta e altri sette volte. Sono pochi quelli che rimangono nel Nirvana al primo colpo.
Al fondo di questi miti c'è una grande diffidenza nei confronti della vita spirituale e la convinzione più o meno inconscia che la Terra, con tutti i suoi contrasti e le sue sofferenza, sia ancora il posto migliore su cui soggiornare.
Al desiderio non si rinuncia così facilmente.
Il più grande peccato
Per chi crede in Dio, qual è il più grande peccato? "Non nominare il nome di Dio invano." Che cosa significa? Non solo parlare di Dio a sproposito, ma anche fargli dire cose che non si è mai sognato di dire, credere che abbia voluto leggi o comandamenti che sono invece pure creazioni umane.
Sì, l'inferno dev'essere popolato di preti.
mercoledì 26 dicembre 2012
"Mulieres dignitatem"
Un prete di Lerici aveva affisso un volantino in cui diceva "Donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?" Insomma la colpa sarebbe sempre delle donne che provocano, che si sono allontanate dalla virtù e dalla famiglia. Adesso il prete è scappato e il volantino, dopo le proteste, è stato eliminato. Una semplice svista di un sacerdote (che chissà che cosa predica ai parrocchiani)? Non credo proprio. Questo è il pensiero profondo della Chiesa e dei religiosi. In fondo, già, con la storia di Adamo ed Eva si addossava tutta la colpa del peccato alle donne. Il merito di questo prete è di aver rivelato ciò che pensano i religiosi. Per loro, le donne dovrebbero stare a casa, essere fedeli anche quando il marito le tradisce, non pensare mai al divorzio, subire tutto in silenzio e vestirsi di nero. Basti leggere che cosa dice san Paolo in testi che sono stati inseriti nel Nuovo Testamento. Uomini che dovrebbero subire un trattamento di psichiatria sono diventati i Padri della Chiesa. E poi ci si lamenta se qualcuno uccide le donne. Ma quale cultura arma le loro mani?
L'etichettatura degli stati mentali
Difficile conoscere gli altri, difficile conoscere se stessi. Talvolta non sappiamo nemmeno che cosa ci passa nella testa. Allora può essere molto utili un metodo impiegato nella meditazione: quello dell'etichettatura degli stati d'animo. Quando si è seduti in meditazione, si tratta di definire o di etichettare ciò che proviamo e pensiamo. Se per esempio stiamo seguendo il respiro, prima o poi perderemo la concentrazione, perché la nostra mente sarà attraversata da pensieri o da sensazioni estranee. Parlo di pensieri e sensazioni per semplificare. Ma in realtà si tratta di ogni genere di contenuto mentale. Anziché infastidirci e smettere di meditare, si consiglia di prender nota di ciò che ci distrae. Molte volte può essere semplice: per esempio, possiamo etichettare "sogno ad occhi aperti... sogno ad occhi aperti", "ricordo... ricordo", "preoccupazione... proccupazione", "ansia... ansia", "rabbia... rabbia", "amore... amore", "odio... odio", "fantasia... fantasia", "noia... noia", "tristezza... tristezza", eccetera eccetera. Ma talvolta si tratta di stati d'animo difficili da definire: senso di malessere, voglia di muoversi, speranza anticipatoria, insoddisfazione, disagio, disperazione, blocchi nevrotici e così via. Comunque sia, il fatto di etichettarli permette due vantaggi. Prima di tutto, ci distacca dallo stato mentale disturbante, permettendoci di ritornare alla concentrazione sul respiro; e secondariamente, ci consente una migliore conoscenza di noi stessi, di tutto ciò che bolle nel pentolone della nostra mente. Non per nulla, questo metodo viene utilizzato anche dalla psicoterapia.
Gli integrati
Un lettore mi ha raccontato che nella sua adolescenza aveva attraversato un periodo di crisi: non trovando la sua strada, non trovando una sua collocazione nella società, gli pareva di essere anormale. Allora aveva fatto sette anni di psicoanalisi. Alla fine di quel periodo, il suo psicoanalista non era soddisfatto, perché il paziente non si era ancora integrato. Invece lui era soddisfatto: aveva capito che il pazzo non era lui, ma il mondo.
Proprio così. Tutto quaggiù è follia: le guerre continue, le religioni che credono di parlare in nome di Dio , la rivalità tra gli uomini, le enormi disparità economiche tra ricchi e poveri, la distruzione dell'ambiente per pura avidità, l'organizzazione del sistema educativo che tende a crescere tanti pappagalli ammaestrati, e così via. E pensare che ci sarebbero le risorse per sfamare tutti gli uomini e per svilupparci armoniosamente. E invece no. Dappertutto è competizione, rivalità ed egoismo. In Italia il dieci per cento della popolazione ha in mano il cinquanta per cento della ricchezza nazionale. E il restante novanta per cento? Deve spartirsi l'altro cinquanta per cento della ricchezza e deve combattere l'uno contro l'altro per riuscire a sopravvivere sempre più stentatamente. Con tutto questo, voi pensereste che quel novanta per cento si ribelli o pensi al modo di redistribuire le risorse. No, si occupano di calcio e di canzonette. In sostanza, dormono. Come non sentirsi anormali in un mondo che è dominato dalla follia e dall'addormentamento della coscienza? Potete essere sicuri che coloro che sono perfettamente adattati a questo stato di cose sono... i veri pazzi.
Gesù e i cristiani
Non possiamo non dirci cristiani, sosteneva Croce. Però non è un gran merito: potrebbe un arabo non dirsi musulmano? Il fatto è che l'ambiente in cui viviamo è in grado di condizionarci in mille modi, da mane a sera: genitori, famiglia, scuola, preti, televisione... tutto ci spinge in un'unica direzione: quella delle cultura dominante. Anche gli atei, in Italia sono cristiani. Ma, se volete essere liberi, se volete essere voi stessi, dovete sottoporre a critica questa cultura e farvi delle convinzioni vostre; dovete pensare con la vostra testa, non con quella del potere dominante. Alcune idee di Gesù possono piacere; per esempio, la sua rabbiosa polemica contro i farisei, gli ipocriti, i ricchi, i potenti, i preti della sua epoca. Non possiamo non essere d'accordo con questi principi. E non possiamo non essere d'accordo quando dice di fare il bene e non il male. È ovvio che debba essere così. Tuttavia, essere d'accordo su questi punti non significa abbracciare il cristianesimo, che è un complesso sistema di idee, molte delle quali non hanno niente a che fare con Gesù. Per esempio, non si può negare che la Chiesa attuale sia esattamente ciò contro cui aveva predicato il Nazareno e che lo abbia completamente tradito. Sì, aveva ragione Nietzsche: c'è stato un unico cristiano - ed è morto là sulla croce. Fra ciò che predicava Gesù e ciò che predicano i cristiani non c'è niente in comune.
Spettacoli religiosi
Vedendo le cerimonie natalizie alla televisione, si osserva un grande sfarzo, una parata di costumi scintillanti, eleganti, costosi, pieni di colori, e poi si ascoltando canti e musiche religiose, e poi la recitazione di formule religiose, e poi i commenti dei testi sacri. I protagonisti sembrano consumati attori. Ognuno svolge la sua parte, consapevole che deve dare spettacolo, che deve abbagliare, che deve ripetere certi ruoli, che il popolo lo osserva e deve rimanere colpito. Insomma, sono i soliti rituali della religione cattolica, che non per nulla ha ereditato la cultura pagana. Perché di questo si tratta: di spettacoli religiosi, di sacre rappresentazioni. Quello che manca completamente è l'interiorità, la spiritualità, la vera religiosità che non può essere qualcosa di esteriore, ma qualcosa da compiere all'interno di ciascuno.
Nel cattolicesimo non c'è nessuna interiorità: è come andare a teatro - il teatrino della religione.
Mi viene in mente che Freud definiva questi rituali religiosi, con la loro ripetitività, la "nevrosi ossessiva dell'umanità".
E mi viene anche in mente che il Buddha metteva i rituali e le cerimonie religiose tra i legami (samyojana) che vincolano l'uomo al ciclo della reincarnazione. Infatti, questi rituali si rivolgono alla sensualità ed impediscono all'uomo di sviluppare una propria interiorità.
La causa prima
Sentivo qualcuno alla televisione che rispondeva alla domanda: "Lei crede in Dio?" dicendo: "Sì, perché tutte le cose hanno un autore e quindi anche il mondo deve averne uno". Si tratta di un vecchio argomento, che sembra logico, ma non lo è. Anzi, qui la logica rivela tutta la sua impotenza, essendo autocontraddittoria. Se infatti, tutte le cose hanno un autore o una causa, allora anche l'universo deve averne una... ma, aggiunge il logico, anche questa causa dovrà avere una causa - e così via all'infinito. Insomma, la logica, quando si parla di Dio, non può dimostrare niente. Ed è "logico", dato che la trascendenza opera non in base alla nostra logica, altrimenti sarebbe soltanto una Causa Prima o un Padre in grande. Insomma sarebbe qualcosa di umano. No, non va. Così non usciamo mai dalla mente umana.
La scala dell'evoluzione
Qualcuno sostiene che l'essere umano non sia un corpo che cerca di elevarsi ad un livello spirituale, ma uno spirito che cerca di fare esperienza di un corpo e di un'esistenza umana. L'idea non è nuova ed è anche affascinante. Ma pone degli interrogativi. Il primo dei quali è: il livello spirituale dovrebbe essere superiore a quello materiale; com'è possibile allora che uno spirito desideri incarnarsi? Che non fosse maturo?
Questo mi fa pensare alla reincarnazione. In base a questa legge, l'uomo realizza nell'esistenza una certa esperienza che lo può portare avanti o indietro nella scala dell'evoluzione, secondo ciò che ha veramente maturato. In altri termini, se ha acquisito distacco dal mondo materiale e saggezza, può passare ad un regno o ad una dimensione più elevata, più spirituale e più felice. Se al contrario l'individuo non riesce a oltrepassare la dimensione dei sensi, ritorna indietro... un po' come nel gioco dell'oca. In tal caso potrebbe reincarnarsi in situazioni di sofferenza, o addirittura in animali. Insomma regredisce. La verità è che l'uomo si trova ad un livello mediano nella scala dell'evoluzione - un livello che gli permette, in base al suo grado di maturazione, di andare avanti, di andare indietro o di rimanere fermo, cioè di continuare a desiderare questa esistenza. In tal caso, dovrà tornare a nascere e a morire, a nascere e a morire... finché non avrà compreso che c'è qualcosa di meglio di questo ciclo ripetitivo - e non sarà più affamato di vita.
L'esistenza umana, così com'è organizzata, con il passaggio attraverso le varie età e con l'approdo nella vecchiaia, dovrebbe già indurre l'individuo a capire che è meglio uscire definitivamente dal ciclo di vita-morte. Ma vediamo troppi vecchi alla ricerca affannosa di pillole miracolistiche per poter vivere come giovani, per poter soddisfare qualche altro desiderio. Questi dovranno ritornare più volte (nascendo, morendo e soffrendo) ... finché non si convinceranno che il livello spirituale è molto più desiderabile. Tuttavia, su quel piano, bisogna lasciar perdere la sensualità - e molti non possono farne a meno.
lunedì 24 dicembre 2012
Le origini di Gesù
Figlio del carpentiere Giuseppe, Gesù apparteneva ad una modesta famiglia ebraica. Tutti abbiamo presenti le circostanze della sua nascita:
«[…]Giuseppe, che era un discendente della casata del re Davide, partì da Nazaret, in Galilea, e salì in Giudea, a Betlemme, città di Davide, per farsi censire insieme con sua moglie Maria, che aspettava un bambino. Mentre si trovavano in quel luogo giunse per Maria il momento di partorire. Ed essa diede alla luce suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo pose a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché per loro non c'era altro posto» (Lc 2, 7–12).
Da questo racconto si deduce che, se Giuseppe era della famiglia del re Davide, apparteneva comunque ad un ramo decaduto, privo di mezzi e di conoscenze.
Gesù svolse lo stesso lavoro del padre. Quando infatti tornò nella sinagoga di Nazaret a predicare, la gente – secondo Matteo – diceva: «Non è costui il figlio del carpentiere?» (Mt 13, 55) E, secondo Marco, commentava malignamente: «Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria [...]?» (Mc 6, 3).
A causa delle sue umili origini, Gesù non ebbe un'istruzione rabbinica; e anche questo sarà motivo di contrasto con gli scribi, i farisei ed i sommi sacerdoti, tutti uomini la cui mente era stata a lungo formata e «deformata» dall'insegnamento rabbinico.
L'episodio in cui Gesù dodicenne, a Gerusalemme, sfugge ai genitori, i quali lo ritrovano dopo tre giorni a discutere con i dottori del Tempio, è un tentativo dell'evangelista Luca di accreditagli una sorta di scienza infusa «[...] Seduto tra i maestri della Legge, egli li ascoltava e li interrogava. E tutti coloro che lo udivano si meravigliavano della sua intelligenza e delle sue risposte» (Lc 2, 46–47).
Per Luca, non ci si poteva aspettare niente di meno da un bambino che cresceva «pieno di sapienza e assistito dalla benedizione di Dio» (Lc 2, 40).
Ma che egli fosse un autodidatta è ammesso da Giovanni, il quale scrive che, quando Gesù salì al Tempio per insegnare, «i giudei se ne stupivano e dicevano: "Come mai costui, senza aver studiato, conosce le Scritture?"» (Gv 7, 15).
Gesù le conosceva perché, dopo aver ricevuto – come tutti i suoi coetanei – una sommaria istruzione religiosa alla scuola del paese, aveva meditato per conto suo i testi biblici: questa era la sua vocazione. Nella sua famiglia, comunque, si doveva respirare una certa aria religiosa, se è vero che anche il fratello Giacomo seguì le sue orme e se sono veri i rapporti di parentela – raccontati dal solo Luca – fra Maria ed Elisabetta (moglie del sacerdote Zaccaria) e quindi fra Giovanni il Battista e lo stesso Gesù.
La mancanza di una regolare istruzione religiosa non solo non impedì al Nazareno di approfondire gli argomenti che lo interessavano, ma anzi gli favorì una notevole autonomia di giudizio, quell'autonomia che fu alla base di ogni sua ribellione.
Pur essendo talvolta chiamato impropriamente «rabbi» (che vuol dire rabbino, dottore, maestro) e pur dando prova di conoscere parecchi passi delle Scritture e di aver recepito qualcosa dell'insegnamento rabbinico a lui contemporaneo, Gesù disconosceva il valore della tradizionale formazione culturale. Per lui, gli scribi ed i farisei avevano «annullato la parola di Dio» in nome della loro tradizione e insegnavano «come dottrina divina precetti concepiti da uomini» (Mt 15, 6–9).
Questa era la loro grande colpa, la loro ipocrisia.
Ecco perché egli diceva: «Non fatevi chiamare "rabbi" [...], non fatevi chiamare "maestri", dato che uno solo è il vostro Maestro [...]» (Mt 23, 8–10).
D'altronde, gli stessi evangelisti contrappongono l'insegnamento di Gesù a quello dei rabbini. Matteo scrive che la gente restava stupita del suo modo d'insegnare: «Egli infatti non ammaestrava come uno scriba, ma come uno che ha autorità» (Mt 7, 29). E Marco riferisce che qualcuno parlava di «una nuova dottrina spiegata con autorità» (Mc 1,27).
Benché due evangelisti – Matteo e Luca – ce lo presentino come membro della nobile stirpe del re Davide (v. cap. 5), resta il fatto incontestabile che egli non apparteneva ad una famiglia facoltosa. Non avrebbe – in caso contrario– attaccato con tanto accanimento i ricchi ed esaltato con tanto calore i diseredati della terra. «Beati voi poveri, perché il regno di Dio è vostro. Beati voi che ora avete fame, perché Dio vi sazierà [...] Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra ricompensa. Guai a voi che ora siete sazi, perché soffrirete la fame [...]» (Lc 6, 20–25).
Per di più – che fosse o non fosse nato a Betlemme – Gesù proveniva da Nazaret, un paese della Galilea, che aveva fama di ospitare gente sempliciotta.
La storia della nascita a Betlemme, come tutti i «Vangeli dell'infanzia», potrebbe essere un'aggiunta posteriore, dato che gli stessi evangelisti definiscono Gesù «il Nazareno» o «il Galileo». Il motivo di tale interpolazione viene rivelato nel Vangelo di Giovanni: «Il Cristo» afferma un anonimo interlocutore «non può venire dalla Galilea». La Scrittura dice che il Messia proverrà «dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il paese di Davide» (Gv 7, 41–42).
Nei Vangeli, invece, tutti sono convinti che Gesù provenga dalla Galilea, una regione che a quei tempi godeva di scarsa stima. Ecco infatti che cosa ne pensavano quelli che sarebbero stati due apostoli: Filippo, già convertito, e Natanaele:
«Filippo incontrò Natanaele e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia che ci aveva promesso Mosè nella Bibbia: è Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe". Natanaele replicò: "Di Nazaret? Che cosa può mai venire di buono da laggiù?"» (Gv 1, 45–46).
E, più avanti, quando Nicodemo cerca di difendere Gesù, i farisei lo rimproverano: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non può venire nessun profeta!» (Gv 7,52).
Questa origine segnerà in modo indelebile la predicazione di Gesù. Se egli fosse appartenuto a qualche ricca famiglia di latifondisti, se fosse stato un vero rabbino, se fosse stato membro di una delle ventiquattro classi di sacerdoti che si alternavano ogni settimana nel Tempio di Gerusalemme, forse non si sarebbe tanto preoccupato dei poveri e degli umili, o lo avrebbe fatto come un devoto fariseo: senza rischiare di persona.
[Da "L'altro Gesù" di Claudio Lamparelli]
domenica 23 dicembre 2012
Priorità religiose
Stavo ascoltando il discorso di Monti alla radio (su RAI uno) quando all'improvviso la trasmissione è stata interrotta, proprio mentre si parlava di Imu. Che cosa era successo? Qualche strage, qualche colpo di Stato, qualche morte inaspettata, lo sbarco dei marziani...? Niente di tutto questo. Bisognava trasmettere l'Angelus del Papa.
Si è mai vista una ridicolaggine del genere? Si è mai visto uno Stato europeo così genuflesso davanti alla Chiesa?
sabato 22 dicembre 2012
Meretrici
Silvio Berlusconi, con la signorilità che lo contraddistingue, ricorda alla Chiesa quanto denaro le abbia fatto avere quando governava lui. In effetti, la sua specialità è dare soldi a qualcuno nel proprio interesse, in cambio di sostegno o di altre prestazioni... facendo però pagare il conto ai cittadini italiani. Questo è il punto. Siamo noi che paghiamo le sue meretrici, sia che si tratti di alcune signorine fatte eleggere a cariche pubbliche, sia che si tratti della Grande Meretrice di cui parla il libro dell'Apocalisse.
Quanto alla Chiesa, può dormire sonni tranquilli. Qualunque governo venga eletto - di destra, di sinistra o di centro - si affretterà ad elargire altri finanziamenti alle scuole cattoliche o agli insegnanti di religione. Ci mancherebbe altro!
In compenso la Chiesa ci offrirà insegnamenti di alta moralità... Sì, soprattutto, come ci si arricchisce alle spalle dei gonzi.
venerdì 21 dicembre 2012
L'infanzia di Gesù
Il Papa ha appena pubblicato un libro sull'infanzia di Gesù ed ecco che, con una rapidità incredibile, Gigi Marzullo organizza una trasmissione che parla del libro. L'iniziativa di per sé andrebbe anche bene, ma quello che non va bene è il tipo di trasmissione - una specie di messa cantata dove tutti gli ospiti sono preti o ipercattolici: non una sola voce di dissenso, non una sola voce critica. Tutti in adorante adorazione di questo libello papale, tutti impegnati a tesserne gli elogi. Tutti che davano per scontato che questi racconti evangelici sull'infanzia di Gesù fossero testi storici. Ma non è affatto così. Ci sono mille fondati motivi per sostenere, come hanno fatto grandi studiosi (anche cristiani), che si tratti di semplici favole mitologiche, costruite secondo modelli convenzionali, favole buone per costruire presepi, ma non certo per fare discorsi seri.
Non si dovrebbero organizzare in una televisione di Satato, che dovrebbe essere laica, trasmissioni del genere, prive di ogni elemento di critica. Siamo nel campo della televisione apologetica, già vista in tanti filmetti zuccherosi su Gesù e sui santi. Roba degna di una televisione parrocchiale. Purtroppo, quando si parla di religione e di papi, la "cultura" televisiva italica è incapace di uscire dall'incensamento e dall'apologia. E rivela un preoccupante deficit... di senso critico.
Non si ricorda, a memoria d'uomo, una sola trasmissione televisiva su Gesù che abbia messo intorno a un tavolo studiosi di opposte tendenze, capaci di animare un vero dibattito. Che paura, che timidezza, che senso di sottomissione all'unica religione permessa. In Tv siamo ancora nel Medioevo.
Crociate papali
Il Papa è arrivato a sostenere che il matrimonio tra omosessuali minaccia la pace. E nessuno capisce che cosa c'entri l'omosessualità con la pace. Ma, per un pontefice abituato a venerare una Madre Vergine, la logica non ha la minima importanza.
A ben vedere, la pace è minacciata proprio dalle religioni che continuano a dividere gli uomini e ad attaccare, oltre al matrimonio tra omosessuali, l'aborto, il preservativo e l'eutanasia, tutte pratiche che renderebbero ancora più civili e tolleranti le nostre società.
Ma la cosa più evidente nell'attacco papale è il tentativo di influire sulla legislazione - e quindi sulla laicità - degli Stati democratici, e in particolare dell'Italia. Questo è il vero obiettivo, del resto già anticipato dal recente discorso contro la laicità dello Stato del cardinale Scola.
Ecco chi minaccia la pace sociale. Ecco i grandi nemici dei diritti fondamentali degli uomini.
giovedì 20 dicembre 2012
La fine del mondo
Ogni tanto qualcuno si inventa una fine del mondo. E chissà perché ci si occupa più di queste sciocchezze che delle cose serie. Che sia il segno dell'irrimediabile stupidità umana? Oppure un desiderio inconscio di farla finita con un esperimento fallito - l'evoluzione sulla Terra?
Comunque sia, una fine verrà per tutti - state tranquilli. Solo che moriremo uno alla volta e non tutti insieme. Che differenza c'è? Un'apocalisse è garantita a tutti.
martedì 18 dicembre 2012
Il luogo della pace
C'è chi si da molto da fare, e lotta dall'alba al tramonto, per costruirsi una casa, una villa o comunque un rifugio in cui potersi ritirare periodicamente per ritrovare la pace. Ma le cose non sono così semplici; affidare ad un luogo esterno il proprio equilibrio espone a grandi disillusioni. I nostri pensieri, infatti, li portiamo sempre dentro di noi, e così le nostre preoccupazioni, i nostri problemi irrisolti. Non c'è niente da fare: all'esterno di noi non può esserci pace se non per brevi periodi, perché questo mondo è stato costruito sull'instabilità e sul cambiamento continuo, dentro e fuori.
La via migliore è cercare di trovare la quiete dentro di noi, riuscendo a vedere quante illusioni nutriamo, riuscendo a calmare la febbre che ci brucia. Come diceva Marco Aurelio, "in nessun altro luogo un uomo si può ritirare trovando più quiete o libertà che nella propria anima." Ma l'anima va ripulita, va purificata, va calmata, altrimenti sarà contaminata dalle stesse ansie che divorano la mente quotidiana; non ci si può staccare d'incanto dal mondo esterno e ritrovare un'anima tranquilla. Bisogna prima addestrarsi con varie armi: l'investigazione dell'interiorità, l'osservazione degli stati mentali, l'introduzione della calma. A questo serve la meditazione. Diceva il Buddha: "Coltivando nella mente un calmo pensare si giunge, in verità, in questo stesso mondo al sentiero della pace".
lunedì 17 dicembre 2012
Protestanti e cattolici: religione e corruzione
È noto che esiste uno stretto rapporto tra religione e corruzione, e tra religione e sviluppo economico. Facciamo per esempio un confronto tra Germania, patria del protestantesimo, e Italia, patria del cattolicesimo. Tutti vediamo che i tedeschi hanno più senso dello Stato e sono più ligi al dovere, più ordinati e più onesti, e tutti vediamo che gli italiani non hanno senso civico e sono più disordinati e corrotti. Come mai? Qual è il rapporto con le rispettive religioni?
Basta conoscere come ebbe origine la Riforma protestante. Era l'epoca in cui la Chiesa cattolica vendeva le assoluzioni a buon mercato. Che cosa significa? Che dietro un corrispettivo di denaro, la Chiesa prometteva uno sconto sui peccati commessi o addirittura la salvezza. In pratica, pagando, il peccatore credeva di assicurarsi una certa indulgenza da parte di Dio.
Pensandoci bene, solo l'idea di un simile scambio, di una simile compravendita, desta orrore. Offrendo soldi alla Chiesa, si credeva di ottenere un trattamento di favore. Ovviamente Lutero ne fu scandalizzato, fu scandalizzato dai mille esempi di bassezza e di corruzione della Chiesa cattolica, e da lì nacque l'iniziativa della Riforma protestante. Riforma che introdusse un rigore morale sconosciuto fin allora tra i cattolici. Per i "protestanti" nessuna Chiesa poteva mediare il rapporto tra l'uomo e Dio: ognuno diventava il sacerdote di se stesso, ognuno doveva esaminare se stesso e le proprie azioni, ognuno doveva sviluppare una propria coscienza.
Il cattolico non ha mai assorbito simili principi; per lui la Chiesa e i preti sono i mediatori ufficiali, e lui non deve farsi nessun esame di coscienza, non deve sviluppare nessuna consapevolezza. Basta a tutto il sacerdote, che gli può tranquillamente fare sconti sulla pena eterna o assolverlo dai suoi peccati. È il principio della de-responsabilizzazione, di cui vediamo i devastanti effetti nella vita quotidiana degli italiani.
Quando per esempio un politico o un funzionario ladro viene colto con le mani nel sacco, non si sente responsabile: in fondo rubava denaro dello Stato, cioè di tutti, cioè di nessuno. Non gli viene in mente l'idea che quel denaro sia stato pagato dai cittadini con enormi sacrifici. E lo stesso avviene con l'evasione fiscale: non c'è senso di responsabilità, non c'è consapevolezza. Solo ora, incomincia ad affacciarsi un barlume di coscienza. Ma, intanto, il debito pubblico è esploso.
Nella coscienza italiana c'è ancora la convinzione che basti pagare per mercanteggiare con Dio. E le donazioni dei ricchi alla Chiesa vengono spesso fatte con questa intenzione: se offro tanti soldi alla Chiesa, questa metterà una buona parola... E la Chiesa lo lascia credere in un modo o nell'altro: tu paga, io medio. Ma, in realtà, l'intera vita pubblica italiana si basa su questo intrallazzo. Non si trova un lavoro se non conosci qualcuno, non puoi fare affari se non ungi certe ruote - ci vuole sempre il mediatore. Ecco dunque il rapporto tra religione, livello di moralità e consapevolezza.
Nella testa del cattolico, Dio proprio non esiste, è lontanissimo. Ma esiste questa strana struttura, la Chiesa , tutta fatta da uomini con i quali si può sempre trattare.
venerdì 14 dicembre 2012
Osservando il respiro
Da tempo immemorabile si prende il respiro come oggetto di meditazione. Ho detto "oggetto", ma in realtà può essere considerato il soggetto. Siamo noi che respiriamo o è il respiro che respira noi? Gli oggetti di meditazione sono numerosi, potenzialmente infiniti. Ogni atto della vita, ogni processo, ogni stato mentale, ogni cosa può essere presa come oggetto di meditazione. Ma nessuna ha le caratteristiche del respiro. Innanzitutto il respiro è autonomo; che lo vogliamo o no, dobbiamo respirare; e quando cessa il respiro, siamo morti. E poi il respiro muta continuamente, in base alle circostanze e ai nostri stati d'animo. Noi siamo il nostro respiro; il nostro respiro è la nostra carta d'identità. Nello stesso tempo, pur essendo autonomo, possiamo entro certi limiti influenzarlo: possiamo fare un respiro più profondo o uno più veloce del normale.
Se osserviamo la respirazione, notiamo che cambia. Se siamo agitati, diventa più rapido e irregolare; se siamo tranquilli, diventa calmo e regolare. Può essere più o meno lento. Può essere più o meno profondo. Può essere più o meno pesante o leggero. Può essere più o meno contratto o rilassato. Noi possiamo osservarlo in ogni momento della vita, e capire dal suo stato il nostro stato. Inoltre è sempre con noi, ci accompagna per tutta l'esistenza, dal primo vagito all'ultimo respiro. Ecco perché lo prendiamo come oggetto ideale di meditazione.
Per non perdere la concentrazione, i respiri possono essere contati ("uno, due, tre, quattro..." contando o l'inspirazione o l'espirazione od ogni coppia di inspirazione-espirazione) oppure si può ripetere mentalmente: "dentro (per l'inspirazione), fuori (per l'espirazione), dentro, fuori...
Quando meditiamo, possiamo semplicemente osservarlo, essere attenti alle sue caratteristiche. In genere si raccomanda di non influenzarlo, ma il fatto di osservarlo lo cambia impercettibilmente. Però possiamo ogni tanto, quando perdiamo la concentrazione, respirare più a fondo, fare qualche respiro più ampio e più lungo. Stando seduti o comunque fermi, il respiro si calmerà. E questo ci darà una certa quiete, che ci sarà utile a diventare più calmi, in meditazione e nella vita. Ma anche quando non siamo seduti e a meditare, possiamo osservarlo. Proviamo a farlo quando saliamo le scale o quando facciamo uno sforzo, oppure quando siamo arrabbiati o tesi. In questi casi, il fatto di osservarlo ci riporterà ad uno stato di calma o comunque di consapevolezza.
Ecco il punto. Osservando il respiro, diventiamo più consapevoli di noi stessi, della situazione in cui ci troviamo in quel momento. E facciamo realmente qualcosa, un'operazione mentale, per modificare a nostro vantaggio la condizione di partenza. Questo è uno dei pregi della meditazione fondata sul respiro.
Morti precoci
Qualche volta, quando vediamo morire prematuramente qualcuno, ce la prendiamo con Dio o con il destino, oppure ci diciamo che è stato un caso, un incidente, o concludiamo che il mondo è incomprensibile e che è solo questione di fortuna o di sfortuna. Ma dobbiamo pensare che noi possiamo osservare solo una piccolissima parte della vita e che ci manca una visione d'insieme. Può darsi che il compito di quella persona si sia esaurito e che un anno o dieci anni di più non avrebbero aggiunto nulla. Può darsi che quella persona abbia vissuto in quei suoi pochi anni quello che noi - teste più dure - dobbiamo vivere in un tempo più lungo. Sì, perché la vita è come una lezione in cui bisogna imparare qualcosa. C'è chi lo impara subito e c'è chi è più tardo di comprendonio.
Questo discorso vale anche per un bambino, anche per un neonato, anche per un essere che ha vissuto per pochi minuti?
In realtà noi non sappiamo che cosa ci sia stato prima, quali vite abbia già vissuto, quale fosse il suo compito. Noi sappiamo ben poco.
Basta un soffio di vita?
Sì, anche noi siamo qui per la durata di un soffio. E poi ce ne andremo. Siamo di passaggio, in un viaggio ben più lungo. Non possiamo illuderci di piantare qui le tende. È meglio perciò tener sempre a portata di mano un bagaglio leggero, tanto leggero da potere essere portato con noi quando le sostanze del nostro corpo si scioglieranno e non rimarranno che le sostanze sottili, il filo del nostro karma. Teniamo sempre presente che il cambiamento ci attende, che siamo destinati a una grande trasformazione, che non possiamo perdere troppo tempo qui.
Il tempo che misuriamo in anni può equivalere a pochi istanti di vita. Il tempo è del tutto relativo e ottanta o novanta anni possono essere condensati in un attimo.
Non vediamo l'immensita dell'universo, il continuo viavai di esistenze? Può darsi che a quel neonato bastasse dare uno sguardo a questo mondo e che poi abbia proseguito la sua avventura altrove.
Noi non comprendiamo e quindi ci disperiamo e soffriamo. Ma, se dal nostro punto di vista, è una perdita, dal punto di vista dell'universo è un semplice spostamento. È come cambiare un vestito.
"Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più." Epicuro
Il cosmo è infinito. Noi ci incrociamo per pochi istanti e poi riprendiamo la nostra corsa, come treni in continuo movimento. Non è detto che vivere a lungo sia un segno di fortuna o di saggezza. Quella persona è semplicemente scomparsa alla nostra vista. E presto anche noi scompariremo. Che cosa contano pochi anni rispetto all'eternità?
"Una sola è la catena che ci tiene avvinti: l’amore per la vita." Seneca
Quel che è certo che prima o poi ci ritroveremo. Ma allora avremo una conoscenza più ampia delle leggi che regolano l'universo e potremo capire quello che adesso ci sembra incomprensibile. Certo, ci vuole una visione profonda delle cose. Non nasciamo mai veramente e non moriamo mai veramente. Continuiamo a trasformarci, a passare da uno stato all'altro, da una dimensione all'altra.
"Tutto è energia o manifestazione di energia. Nessuna energia si perde, nessuna energia si crea." Buddha
mercoledì 12 dicembre 2012
Twitter papali
Pover'uomo, mi fa pena. Ora che partecipa a Twitter, sarà costretto a snocciolare i peggiori luoghi comuni. Non ho mai visto un uomo così prigioniero delle sue stesse convinzioni.
Un Papa, meno parla, più ci guadagna, perché , quando deve scrivere nero su bianco, si vede che non ha niente da dire di originale, che non può pensare con la sua testa.
Ma le scrive lui quelle frasi o ha un segretario - il segretario alle banalità? Neanche un curato di campagna dice più certe cose.
Dev'essere terribile non poter più dire niente di autentico, niente di personale, essere mummie anziché uomini liberi. Mi viene in mente il Papa nel film di Nanni Moretti. Almeno lui aveva la coscienza di essere un automa, prigioniero dei ruoli e dei dogmi. Chissà se anche questo Papa prova ogni tanto un po' di frustrazione. Glielo auguro: sarebbe ancora vivo.
martedì 11 dicembre 2012
"Delicta graviora"
Monsignor Mauro Inzoli, 62 anni, il sacerdote referente di Comunione e Liberazione a Cremona che per anni ha animato il Banco Alimentare, l’annuale raccolta di viveri da donare ai poveri che in tutta Italia coinvolge centinaia di migliaia di persone, è stato ridotto allo stato laicale dalla Congregazione per la dottrina della fede. La motivazione non è nota. Ma forse pochi conoscono i «delicta graviora» di cui si occupa la norma del canone 1720 del Codice di Diritto Canonico. Eccoli qua. Oltre alla profanazione dell’eucaristia e l’attentato al Pontefice, ci sono gli abusi sui minori, l’assoluzione del complice in confessionale e l’induzione ad atti turpi in confessionale. Scegliete voi.
Certo, le mele marce ci sono dappertutto. Ma, tra le file dei sacerdoti, che dovrebbero essere esempi di moralità, sono un po' troppe.
E quanto a Comunione e Liberazione, la Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro preventivo di immobili e conti correnti bancari intestati alla Fondazione Meeting per l'amicizia tra i popoli, in base a un decreto del gip di Rimini. In sostanza, secondo l'accusa, la Fondazione Meeting avrebbe ricevuto illecitamente 310mila euro di contributi pubblici della Regione Emilia-Romagna. E pensare che questi cattolici si ripresentano periodicamente in politica per salvare il Paese dalla corruzione, come se la precedente Democrazia Cristiana non fosse morta proprio per corruzione.
lunedì 10 dicembre 2012
Dio e Demonio
La Bibbia ci dice che Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Ma noi ormai sappiamo che è il contrario: è l'uomo che ha creato Dio a sua immagine e somiglianza.
Se avete dei dubbi che Dio sia una creazione dell'uomo, provate a pensare al Demonio. Non è evidente che sia stato creato dall'uomo a sua immagine e somiglianza?
L'uomo divide Dio dal Demonio e li contrappone. Ma si tratta delle due facce di una stessa medaglia... umana. D'altronde le parole Dio e Demonio hanno una stessa radice etimologica, che significa "divisione". E il vero divino non può essere diviso.
domenica 9 dicembre 2012
Santo Natale
Chissà perché, nel periodo natalizio, ai soliti film su santi, Madonne e Gesù Cristi si affiancano filmetti per bambini che sono i più stupidi mai visti. Forse perché il Natale è la festa dei bambini? Certo, la festa delle menti infantili, che credono ancora agli dei.
È vero che i saggi ci invitano a mantenere una mente da bambini, aperta alla meraviglia e alla freschezza, ma non ci invitano a mantenere una mente da bambini deficienti.
Il giudizio di Dio
"Verrà il giudizio di Dio!" gridò Giovanni Paolo II contro i mafiosi. E lo stesso grida il cardinale di Napoli, Sepe, contro i camorristi che uccidono. Ma noi di questo giudizio che verrà dopo la morte, non sappiamo che farcene. E i mafiosi se ne ridono. Ci vorrebbe un intervento divino già qui su questa Terra. Ma questo non si è mai visto. La cosa strana è che queste invocazioni vengono da cristiani che credono che Dio sia sceso in questo mondo per intervenire nelle vicende degli uomini.
Il mondo però non è cambiato. A dimostrazione che quell'intervento è stato solo un'illusione, un pio ma infondato desiderio. È dunque un'ammissione di fallimento.
A combattere il male, restano soltanto i nostri mezzi, che sarebbero più che sufficienti se non sprecassimo energie e tempo a pregare un Dio che è morto - anzi, che non è mai nato.
I mezzi ci sono, perché il principio divino è dentro di noi, non in qualche mitologico cielo.
sabato 8 dicembre 2012
Gli dei del cristianesimo
Dopo aver perseguitato il paganesimo, dopo aver distrutto i magnifici templi pagani e averne trasformati alcuni in chiese, il cristianesimo ne assorbì l'eredità religiosa, al punto di poter essere definito la sua ultima espressione. Basta entrare in una chiesa cristiana, con le statue e le immagini di Gesù, della Madonna e di una pletora di santi per capire che siamo ancora all'interno del paganesimo. Il cristiano è un adoratore di dei, che vuole concepire e vedere direttamente, proprio come facevano i pagani. E, come i pagani, immagina i suoi dei sotto forma umana. Il primo di questi dei è naturalmente l'ebreo Gesù, il figlio del carpentiere trasformato in "Figlio di Dio" e Dio egli stesso. Infatti, il cristiano non riesce a concepire divinità astratte, ma vuole uomini e donne concrete. Dio è per lui un concetto troppo vago, troppo spirituale, non si vede. Mentre un uomo è ben visibile e ben rappresentabile. Anche lo Spirito Santo è un concetto troppo vago: come si fa a rappresentare un principio del genere? No, molto meglio la Madonna. Questa sì che è rappresentabile: basta prendere una donna, vestirla con abiti sfarzosi, metterle una coroncina in testa e dipingerle un'espressione inebetita - ed ecco fatto un feticcio perfetto per l'adorazione. E poi, finalmente, una figura femminile in mezzo a tutti questi omaccioni, e la riedizione della Dea dei pagani, della Madre Terra, delle Vergine sacra. Ma bisogna un po' abbellirla e mitizzarla. Non si può immaginare una Dea con le mestruazioni o che si accoppia o partorisce dalla vagina. No, basta costruirle qualche mito: l'assunzione in cielo, il parto miracoloso, il dogma della verginità perpetua e quella della concezione immacolata, e siamo a posto. Poco conta che l'originale fosse una povera donna ebrea, con un caterva di figli e un marito che qualcosa avrà ben fatto. Tutto questo va censurato. Ed ecco la Dea perfetta da dare in pasto agli adoratori della donna, della madre e della sposa. Insomma, il materialismo pagano trasformato in religione. Non a caso il cristiano non crede all'eternità dell'anima, non se ne fida: non è abbastanza materiale. No vuole la resurrezione dei corpi.
venerdì 7 dicembre 2012
La libertà religiosa
Ovviamente, il cardinale Scola, l'oscurantista di Comunione e Liberazione messo dal papa a capo della diocesi di Milano, ha esaltato, nel suo "Discorso alla città", l'Editto di Costantino del 313, con cui fu concessa la libertà religiosa ai cristiani. Ma non ha accennato al fatto che da quel momento la libertà religiosa fu vietata dai cristiani a tutti gli altri. Nel 380, Teodosio con l'Editto di Tessalonica toglieva la libertà di culto ai pagani, e, con i successivi editti del 391-392, ebbe inizio la sanguinaria intolleranza cattolica che perseguitò, fra gli altri, catari, valdesi ed ebrei, e portò al matrimonio tra Chiesa e potere imperiale. Non a caso Dante, nell'Inferno, scrive: "Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, con la sua conversion, in quella dote che da te prese il primo ricco patre!"
Ci si tolga dunque dalla testa l'idea che la Chiesa sia mai stata favorevole alla libertà religiosa. Il teologo Vito Mancuso su Repubblica (del 7/12/2012) ricorda che lo sviluppo del tema della libertà religiosa fu merito dei laici dell'Illuminismo e che la Chiesa assunse questo principio solo nel 1965 con la "Dignitatis humanae" del Concilio Vaticano II. Ancora nel 1870 il papa Gregorio XVI definiva la libertà religiosa deliramentum, e lo stesso fecero nel 1870 Pio IX e nel 1888 Leone XIII.
Questa è la verità storica. Si smetta dunque di sostenere che la libertà religiosa fu un prodotto delle cultura cattolica. La cultura cattolica è sempre stata nemica della libertà, del ricorso alla coscienza individuale e della democrazia. Ed, evidentemente, lo è tuttora. E, purtroppo, questo immenso macigno pesa ancora sulla cultura italiana in generale.
Il cardinale Scola
Il cardinale Scola non ci ha messo molto a svelare il suo vero pensiero. Questo successore (controriformista) di Martini e Tettamanzi, e non per nulla proveniente dalle file di Comunione e Liberazione, afferma, nel tradizionale "Discorso alla città", che la laicità dello Stato mette a rischio la libertà religiosa. L'arcivescovo di Milano, sostenitore di una concezione religiosa integralista (e voluto proprio per questo dal papa) sostiene che la laicità dello Stato, sull'esempio francese, "ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso" e che "la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l'idea di neutralità, il sostegno a una visione del mondo che poggia sull'idea secolare e senza Dio".
Ma non si vede che cosa proponga lui. Anzi lo si vede benissimo: non uno Stato laico, ma uno Stato confessionale, più che ben predisposto a genuflettersi davanti alla Chiesa. Perché non c'è alternativa: o lo Stato è laico o è confessionale. E, se è laico, non deve essere ben predisposto verso nessuno. Deve essere neutrale. Deve distinguere nettamente tra Stato e Chiesa. Se lo Stato si schierasse dalla parte di una visione religiosa del mondo non sarebbe più laico, ma confessionale.
Insomma, con questo campione della destra, Milano non è più la capitale del dialogo con i non credenti. Al contrario Scola sollecita "i cristiani" a "testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione pubblica della fede". Altro che laicità dello Stato: qui siamo al solito tentativo della religione di condizionare la vita pubblica.
Non è lo Stato laico che mette in pericolo la libertà religiosa, ma è la Chiesa.
giovedì 6 dicembre 2012
La dittatura di Dio
È noto che le religioni trovano una speciale consonanza nei regimi totalitari. Chi vuole comandare in nome di un Dio (che si è inventato) non ama né la critica né la democrazia. Vuole il potere assoluto. Così cerca il dittatore di turno, e lo appoggia... venendo a sua volta appoggiato.
È successo in Europa pochi decenni fa quando la Chiesa non ha detto una parola contro i regimi fascisti e nazisti. È successo in Sud-America dove la Chiesa non si è opposta ai dittatori e anzi ha tributato loro funerali religiosi. E succede oggi in Egitto dove i Fratelli Musulmani appoggiano il colpo di Stato del presidente Morsi. Tra chi mira al potere assoluto, laici e religiosi, ci si intende sempre.
Qualunque istituzione democratica si sente in dovere di opporsi alle dittature, ma le religioni no. Le religioni appoggiano ogni genere di regime totalitario. Evidentemente, tra i "peccati" contro Dio non c'è la dittatura. E infatti non se ne parla nei libri sacri delle varie religioni. Tra i comandamenti, non si dice che ci si deve opporre al dittatore.
In verità, chi ama la democrazia vuole la liberazione dell'uomo da ogni tipo di schiavitù, anche da quella religiosa. E chi ama le dittature vuole asservire le coscienze degli uomini. D'altronde, che cosa aspettarsi da religioni che presentano Dio come il dittatore assoluto?
"Ascolta, si fa sera..."
Ho ascoltato alla radio una predica in cui si raccontavano le solite cose da preti. Che bisogna combattere il "peccato" - e fin qui potrebbe andar bene. Ma poi ecco che si aggiunge che il peccato è non credere in Dio, è rifiutare Dio, il quale sarebbe la fonte dell'amore, della felicità, della pace, bla-bla-bla...
Il peccato sarebbe rifiutare Dio? Ma come si può sostenere una sciocchezza del genere? I preti non si guardano mai in giro? Non si accorgono che ci sono persone che non credono in Dio e che sono molto più morali di tanti credenti? E, allora, come la mettiamo? Chi crede in Dio, ma è un assassino, sarebbe più morale (e dunque più grato a Dio) di un non credente che non commette peccati? O forse i peccati li commettono solo gli atei?
Perché si continuano a ripetere questi triti ritornelli? Perché i preti non si aggiornano un po'? Il mondo è cambiati dai tempi di san Paolo. Chi ha stabilito che non credere in Dio sia il massimo peccato? E come la mettiamo con i terroristi musulmani o con i mafiosi che credono in Dio ma che commettono atroci delitti?
"Ascolta, si fa sera"... anzi notte profonda - la notte della ragione.
mercoledì 5 dicembre 2012
La rinuncia
Il termine rinuncia non piace: sembra avere una connotazione negativa. Rinunciare per noi significa privarci di qualcosa, e puzza di sacrificio e di penuria. Ma le cose non stanno così. Si può rinunciare a qualcosa di dannoso: per esempio, chi non rinuncerebbe al mal di denti o ad un cibo avariato? Certo, questa non sarebbe una rinuncia, ma evitare qualcosa di doloroso. Se però pensiamo a un cibo molto buono, ma anche dannoso per il nostro colesterolo, ecco che ci avviciniamo di più al significato di rinuncia in senso spirituale o religioso. Rinuncio a qualcosa che sembra all'apparenza buono, ma che risulta alla fine deleterio. E qui si apre il dibattito. Quante cose rientrano in questa categoria dell' "apparentemente buono ma sostanzialmente cattivo"? Purtroppo molte, e non sempre è chiaro fin dall'inizio quali siano. Non si può stabilire in anticipo un elenco astratto e dogmatico. Questo fa bene, questo fa male. Se fosse così semplice, tutto sarebbe chiaro. E invece ci troviamo in un mondo dove tutto è ambiguo e ambivalente. Una cosa può far bene e a uno e far male a un altro; una cosa può far bene in un certo momento e far male in un altro momento. Allora, come orientarci? Resta il fatto che la conoscenza e la riflessione giocano un ruolo molto importante. Nel caso del cibo, se io fossi del tutto ignorante, mangerei sicuramente cose che alla fine mi farebbero schiattare. Lo stesso avviene in campo spirituale: che cosa fa bene alla mia evoluzione e che cosa la danneggia?
Una volta si diceva che la sessualità era la nemica dell'uomo religioso. Gli asceti dell'antichità si vietavano un sacco di cose e praticamente rinunciavano a qualsiasi piacere. Ma si tratta di un grande errore. Questi tipi di rinuncia possono essere molto deleteri. Nessuno è mai andato in paradiso o ha raggiunto l'illuminazione solo rinunciando ai piaceri della vita. Semmai, così facendo, è sicuro che vivrà in una specie di inferno anticipato. Agli effetti dell'evoluzione spirituale, una sessualità felice può essere più utile della castità: la repressione infatti accresce il malessere psicologico, allontana dagli altri e può portare a perversioni in altri campi. Nello stesso tempo, una cattiva sessualità, una sessualità ossessiva o fatta con odio o indifferenza, può essere altrettanto negativa. In entrambi i casi, veniamo bloccati e non ci evolviamo. Questo è il punto. Dobbiamo meditare ogni volta su che cosa fa bene o male alla nostra salute spirituale e non scegliere partiti presi. Dobbiamo rinunciare all'illusione che ci sia un decalogo di queste cose inciso per sempre nella pietra. Anche questa è una rinuncia.
Capite ora in quanti altri modi si può usare il termine rinuncia? Rinunciare alle illusioni, rinunciare ai preconcetti, rinunciare al dogmatismo, rinunciare alle certezze infondate, rinunciare alle ossessioni, ecc. E queste rinunce sono molto più importanti di quelle semplicemente materiali.
La resurrezione dei corpi
Sappiamo che i primi cristiani non avevano la nozione di anima. Ciò che nei Vangeli viene tradotto (dal greco) come "anima", in realtà è un'altra cosa. Per loro contava solo il corpo. San Paolo pensava che i credenti venissero assunti con il corpo in cielo. Fu, sant'Agostino, riprendendo il dualismo platonico, che introdusse il concetto di anima: il credente doveva salvarsi l'anima, e in questa operazione il corpo con la sua sensualità era il nemico. Ma resta il fatto che i cristiani credono alla resurrezione dei corpi, non a quello dell'anima. Se restassero sola anima, sarebbero delusi. Loro vogliono vivere così come sono, con il loro corpo, magari glorificato e migliorato, magari nell'età più giusta, magari intorno ai trent'anni. E chi non lo vorrebbe? (Forse chi ha qualche difetto fisico.) Ma certo è una bella pretesa! Ecco perché il cristianesimo è la religione più corporea, più fisica. Il suo Dio non è un puro spirito - diventa addirittura un uomo, un corpo umano.
Insomma il cristianesimo è la religione più materialista del mondo.
lunedì 3 dicembre 2012
Veder chiaro
In meditazione (e nella vita) è necessario essere consapevoli degli stati mentali che si provano momento per momento: l'agitazione, l'avversione, l'odio, la gelosia, il desiderio, la paura, l'ansia. l'agitazione, la noia, ecc. È una buona abitudine definire questi stati mentali, che si susseguono, apponendo loro un'etichetta: "Questa è agitazione, questa è avversione...ecc." in modo da isolarli con precisione. Già il fatto di esserne consapevoli, li smorza, attenuando la loro negatività. Lo scopo della meditazione è infatti non solo prendere coscienza degli stati d'animo che ci occupano la mente, ma anche di favorire uno stato di calma, di distacco e di chiarezza. Questa operazione è utile agli effetti della meditazione, e agli effetti della vita stessa, che diventerà più tranquilla ed equilibrata. Ovviamente questo tipo di meditazione può essere fatto in qualsiasi momento della giornata e in qualunque posizione. Come mi sento ora? Qual è lo stato d'animo prevalente? Per disattivare stati come l'odio o l'ira, che disturbano fortemente l'individuo facendolo soffrire e impedendogli di vedere imparzialmente le cose, si può accompagnare la presa di coscienza con la respirazione e/o con la ripetizione mentale di un mantra, per esempio "calma": per esempio "cal" durante l'inspirazione e "ma" durante l'espirazione. La calma infatti è il fattore fondamentale per liberarsi delle preoccupazioni contingenti e approdare ad uno stato di equanimità che permette di vedere con chiarezza se stessi e il mondo che ci circonda. È questo vedere cui si allude con il termine illuminazione.
La chiara visione che si raggiunque con questo metodo ci aiuterà a capire meglio le verità fondamentali del mondo e comunque ci aiuterà a superare le difficoltà e le sofferenze.
“Nella calma e nella tranquillità c'è guarigione, mentre nel calore e nella passione non può esserci cura.” Milindapanha
venerdì 30 novembre 2012
Gioventù bruciata
Una volta per "gioventù bruciata" si intendevano quei giovani che si davano all'alcool, al sesso promiscuo e alla droga. Erano bruciati nel senso che si bruciavano da soli. Ma oggi vengono bruciati. Da chi? Dai politici cialtroni e ladri che hanno pensato solo a se stessi, dall'economia che, per tenere bassi i costi del lavoro, sta immiserendo interi popoli, da una scuola che non sa quali valori insegnare, da una religione che è fallita da almeno duemila anni e da una famiglia in cui tutti si ignorano e nessuno sa più che cosa sia l'attenzione per l'altro. Allora, propongo a questi giovani smarriti e in apparenza senza futuro di lasciar perdere valori e fedi e di puntare solo sul loro sviluppo personale... inteso come arte di vivere, come capacità di valorizzare se stessi e come sfida a un nemico potente e insidioso che si chiama "conformismo". Devono pensare proprio in termini di "nemico".
Se uno tentasse di ucciderti, tu che cosa faresti? Reagiresti, immagino. Ebbene, fa' conto che ci sia un nemico che tenta di ammazzarti: chiamalo "società dei conformisti", degli uomini addormentati, degli sfruttatori, degli uomini di potere, dei ricchi, dei venditori di sogni fasulli, dei mediatori religiosi, dei commercialisti dell'anima... Sono loro che tentano di fare di te un automa ubbidiente, un cagnolino da salotto, un individuo imbalsamato e disperato la cui unica fuga sta nella droga, nel lavoro, nella famiglia o nell'incoscienza. Tu difenditi, lotta contro tutti - e sii te stesso. La tua battaglia sia questa: essere te stesso contro chi vuole farti schiavo. Sarà la tua miglior vendetta contro chi vuole annullarti.
giovedì 29 novembre 2012
Essere consapevoli
Quando parliamo di sviluppo della consapevolezza, non ci riferiamo soltanto a qualche esercizio di meditazione, come quello di seguire il respiro. La consapevolezza va applicata all'intera vita personale e sociale. La consapevolezza va esercitata anche a livello politico. Quando non si è consapevoli, quando si delega, quando non ci si interessa, quando si dorme... ecco che saltano fuori mille diavoli. E siamo noi, siamo sempre noi i creatori del nostro destino. Rendetevene conto, e siate vigili.
Satana
Apprendo che a Milano è in aumento la richiesta di esorcisti. E non mi meraviglio, visti i tempi. Ma le gente si sbaglia: la causa dei suoi problemi non è il Diavolo - è Monti. E, prima ancora di Monti, è stato un tizio che ha governato questo paese per diciotto anni. E, purtroppo, questo tizio è stato eletto da milioni di cittadini, molti dei quali oggi chiamano l'esorcista. Lascino perdere: piuttosto, si chiedano perché hanno dormito per diciotto anni. Perché non si sono accorti di niente? Eppure, giorno dopo giorno, questo tizio ha devastato il paese.
Ora si svegliano. Ma si rendano conto che il loro sonno, il sonno della ragione, ha creato questi mostri.
Anche Satana è un prodotto nostro, è un prodotto della nostra mancanza di consapevolezza. Non si sfugge a questa legge: quando non si è consapevoli, si sta creando un Demonio. Poi, alla fine, questo si concretizza... e fa male.
martedì 27 novembre 2012
Esperienze di confine
Sentiamo spesso raccontare di persone che si sono trovate in coma e che hanno avuto esperienze straordinarie: di solito la visione di un tunnel che porta a una grande luce, oppure la comparsa di persone care o di figure religiose cui si è particolarmente legati. Di solito si tratta di esperienze estatiche: ci si trova al di fuori del corpo, si provano sensazioni di amore e si pace, si odono musiche celestiali, ecc. A dir la verità, qualcuno riferisce anche di esperienze spaventose, di tipo infernale. Insomma, paradiso e inferno vanno a braccetto, come al solito. E, sempre per dirla tutta, se il paradiso era così bello, non si capisce perché quelle persone siano tornate indietro. Che l'eternità annoi dopo pochi minuti? Oppure si tratta di esperienze dell'inconscio?
Comunque, quello che vorrei sottolineare è la presenza delle figure religiose, che guarda caso appartengono alla propria tradizione; per esempio, il cristiano vede apparire Gesù o qualche santo e il buddhista vede apparire le divinità della propria religione. Questo mi fa sospettare che ciò che si vede in simili esperienze NDE (near death experiences) sia ancora un prodotto della mente, anche perché, se qualcuno le racconta, vuol dire che non è veramente morto; ci è andato vicino, ma è ancora vivo.
Non vorrei però mettermi a sottilizzare. Può anche darsi che siano assaggi dell'aldilà, ossia di un'altra dimensione. Morti o non morti, in fondo, l'universo, in tutte le sue dimensioni, non è che un prodotto della mente. Anche la mente è fatta di quella stessa sostanza di cui è fatto tutto. E un pensiero o un sogno sono "reali" come un sasso. Infatti, il nostro modo di pensare è coerente con il nostro modo di fare esperienza, e viceversa. Siamo tutti fatti della stessa sostanza, che però vibra a livelli differenti, dal più grossolano (il nostro mondo con la materia) al più “sottile” (la mente, la coscienza, lo spirito e chissà che altro). Atomi, molecole, particelle sub-atomiche, pianeti, stelle e galassie sono tutte costruite con questa sostanza – che compone anche la nostra mente e che probabilmente compone anche gli altri mondi.
Dunque, noi in un certo senso siamo ciò che pensiamo. Quando dalla dimensione grossolana, materiale, della vita, passiamo a quella più sottile resta il puro contenuto delle nostre menti, e quindi tutto ciò che abbiamo pensato e appreso. In tal senso, anche il nostro “aldilà” è forgiato dai nostri pensieri. Stiamo dunque attenti a ciò in cui crediamo, al paradiso o all'inferno in cui crediamo, al Dio o al Diavolo in cui crediamo, perché rischiamo di ritrovarceli di fronte, come proiezione della nostra stessa mente.
Ognuno in sostanza ha il proprio aldilà... ha l'aldilà che si merita, così come ha l'aldiqua che si merita. Ecco perché è così importante curare la propria mente, e cercare di vedere tutto con un certo distacco, utilizzando un'attenzione il più possibile limpida, equilibrata e decondizionata. Controlliamo i contenuti della nostra coscienza, anche se si tratta di semplici pensieri o immaginazioni. Cerchiamo di esserne consapevoli e di prenderne le distanze. Un giorno potremmo scoprire che le nostre fantasie sono diventate realtà.
Se la nostra interiorità è troppo piena di odi e di passioni, di recriminazioni e di sensi di colpa, di paure e di violenze, un giorno potremmo trovarci a disagio. Insomma, purifichiamoci, depuriamoci, calmiamo i nostri spiriti bollenti (mai espressione fu più appropriata), facciamo diminuire la febbre della malattia che ci affligge.
Questo non è un invito a compensare i pensieri negativi con pensieri positivi, ma ad evadere da un simile dualismo. Se cerchiamo una felicità maggiore, troveremo anche una sofferenza maggiore. Usciamo perciò da questo puerile gioco a dividerci in due.
Abbassiamo i toni (altra espressione indovinata), raffreddiamo la mente, siamo più distaccati e imparziali. E guardiamo le passioni umane per ciò che sono: malattie di crescita.
sabato 24 novembre 2012
Le due meditazioni di base
La meditazione di quiete (shamatha) può essere eseguita quando si è calmi e piuttosto immobili: ci si può concentrare su qualche funzione del corpo, sul proprio respiro o sul proprio benessere momentaneo allo scopo di essere sempre più calmi e lucidi. La calma porta inevitabilmente ad una visione chiara e distaccata, ad una sorta di saggezza; ossia si vedono le cose e noi stessi con distacco, profondità e benevolenza. Tutto appare più sereno, più netto e più semplice. Si parla quindi di attenzione nuda o pura. Se si guarda il mondo, si vede chiaramente che tutte le cose sono impermanenti, transitorie, un misto di gioia e di dolori e che sono anche correlate le une alle altre, cosicché nessuna di esse può esistere da sola. In tal senso si dice che non hanno un sé.
Ma non si può essere sempre tranquilli, in pace e rilassati. Una volta che ci alziamo dal cuscino, la vita ci incalza. I pensieri si moltiplicano, i sentimenti e le emozioni diventano frenetiche, le sensazioni si alternano di continuo. In questi periodi si può passare alla consapevolezza di consapevolezza (vipassana), che è un po' come camminare nel buio: dovete tenere gli occhi e le orecchie aperti, dovete tenere tutti i sensi all'erta, dovete tenere tutti i muscoli pronti, dovete tenere l'intera mente concentrata e vigile, attenta a ogni particolare. È un tipo di meditazione che può essere eseguito in ogni momento della giornata, durante qualsiasi attività, che siate calmi o agitati. Se siete preoccupati, irritati, nervosi, annoiati, ansiosi, sono eccitato, sono smanioso, ecc., allora spostate l'attenzione su questi stati mentali: sono preoccupato, sono irritato, sono nervoso, sono annoiato, sono ansioso, sono smanioso, ecc. Questa forma di meditazione vi aiuterà a conoscervi meglio e vi terrà in uno stato di vigilanza che vi condurrà ad una visione più chiara delle cose.
Le tecniche di sviluppo mentale servono proprio a questo: a rendervi più sensibili e intelligenti, a vivere meglio, a vedere tutto con chiarezza.
venerdì 23 novembre 2012
Panta rei
Tutto cambia - cambia il mondo, cambia ognuno di noi... momento per momento. Questa è l'unica legge chiara. Siamo immersi in un divenire che non ci lascia mai stare fermi. Sì, ci sono periodi o fasi in cui le cose sembrano essersi stabilizzate. Ma non è che un'illusione, una tregua... prima o poi anche quella fase passerà. Panta rei: tutto scorre. Tuttavia cambiare significa passare da una crisi all'altra, da una trasformazione all'altra, talvolta in meglio, talvolta in peggio. Anzi, la sensazione di distruzione, di perdita, di spaesamento, è in un primo momento inevitabile.
Prendiamo questo periodo politico e sociale. Siamo in crisi. Il paese si è bloccato. Anziché andare avanti, come ci eravamo abituati, andiamo indietro. E noi siamo presi dalla paura. Crisi significa cambiamento, ma i cambiamenti spaventano, perché molti si risolvono in peggioramenti.
Anche le nostre esistenze individuali passano da un cambiamento all'altro - e da una crisi all'altra. Nascere è il primo mutamento, poi crescere, poi uscire dall'infanzia ed entrare nella giovinezza, quindi approdare alla maturità e infine arrivare all'età grigia della vecchiaia. E ogni volta dobbiamo adattarci, nel bene o nel male. Perché non c'è alternativa. Siamo immersi in un fiume che comunque ci trascina nella sua corsa. Nessuno può fermarsi. Nessuno può dire: fermate il mondo e lasciatemi scendere!
L'aspetto che più spaventa è che la vita non va verso un'apoteosi di benessere, ma va verso il suo disfacimento. La vecchiaia è esattamente questo. Tutto si deteriora, tutto esaurisce, sia fisicamente sia mentalmente. Sembra dunque che l'esistenza nasca all'insegna del peggioramento, che sia soltanto un'illusione che finisce male. Un inganno? Una cosa inutile?
Però, possiamo notare che, mentre tutto cambia, alcune cose rimangono fisse. La curva della vita non è linea inclinata verso il basso. Ma è una sinusoide, una curva che prima sale fino al suo massimo splendore e poi scende inesorabilmente. Dunque, è un ciclo. E, all'interno di questo ciclo, esistono altri cicli. Si tratta di un andamento che si ripete costante, che sembra eterno. E che riguarda non solo le esistenze individuali, ma anche il mondo, le stelle e l'intero universo. Nascita, crescita, decrescita. Nascita, sviluppo, morte.
È questo le scenario che si presenta ai nostri occhi: ogni cosa cambia di continuo, ma all'interno di cicli. Ecco il punto cui volevo arrivare: niente ci prova che l'andamento ciclico sia finito. Anzi tutto ci mostra che, finito il ciclo, ne incomincia un altro. E, dunque, la morte non è mai l'ultima parola. La morte è solo la fine di un ciclo... con l'inevitabile inizio di un altro ciclo. Allora, tutto quello che abbiamo vissuto, tutto quello che abbiamo fatto, nel bene e nel male, acquista un senso e ci permette di passare al nuovo cambiamento portandoci dietro il nostro valore aggiunto... se l'avremo aggiunto.
Il Dio dei favoritismi
Qualcuno potrebbe sostenere che anche il buddhismo crede in una qualche forma di Divinità, dal momento che crede in una Legge suprema (il Dharma) che regola il mondo. Però si noti la differenza: non c'è un Dio che l'abbia creata, non c'è un Dio che intervenga nell'universo per proteggere od ostacolare, non c'è un Dio che faccia miracoli per questo o per quello. Il Dharma è una legge imparziale, obiettiva, come una legge fisica, come la legge di gravità. Ed è una legge retributiva: ad ogni azione corrisponde una conseguenza. Se fai male, pagherai questo male, nella vita attuale o in un'altra vita . Se fai bene, otterrai dei vantaggi, oggi o domani. Quindi ognuno è artefice di se stesso, ognuno ha il destino che si merita. E nessuno può cambiare questa Legge.
Invece, chi crede in Dio-Persona crede in un Potere che può intervenire a suo piacimento a cambiare le cose, magari con un miracolo, a suo insindacabile giudizio. "Io sono il Padrone e faccio quel che mi pare!" Si prenda il caso di Giobbe, perseguitato ingiustamente, senza una ragione, da un Signore intemperante e capriccioso, un po' come un satrapo orientale.
Anche Gesù, equiparato dai suoi credenti al "Figlio di Dio" e dunque a Dio, fa i suoi miracoli per favorire qualcuno, o perché lo conosce personalmente o perché è un amico o un parente di qualcun altro. Lazzaro, per esempio, era il fratello di Marta e Maria, amiche e seguaci di Gesù. E una donna guarita era la suocera di Pietro. Questo vi ricorda qualcosa?
Sì, la nostra società cattolica - la società dei favori, dei privilegi, dei raccomandati, di quelli che conoscono le persone giuste, di quelli che sono parenti o amici di qualcuno che conta, ecc.
Insomma, come uno è, così è il suo Dio - e, viceversa, il Dio in cui crediamo forgia la nostra società. Se dunque c'è tanta ingiustizia e arbitrarietà, se non c'è imparzialità, sapete da dove viene questa forma mentis.
mercoledì 21 novembre 2012
Orrori cattolici
Dopo gli orrori ebraico-musulmani, ecco gli orrori cattolici.
Ci risiamo con i preti pedofili. Ma quanti ce ne sono? Pare proprio che i pedofili sentano un irresitibile impulso a farsi preti, forse perché il loro ambiente di lavoro favorisce il contatto con le giovani vittime. Oggi si apprende che il cappellano del carcere di San Vittore a Milano è stato arrestato perché accusato da sei detenuti stranieri di aver richiesto prestazioni sessuali in cambio di condizioni di favore all'interno della prigione. Ora, senza fare del moralismo, ciò che colpisce in queste vicende è la doppia vita e la doppia personalità di questi sacerdoti, che da una parte fanno bei discorsi sulla necessità di aiutare e "salvare" gli individui e dall'altra li sfruttano sessualmente. Evidentemente, l'educazione cattolica nei seminari crea una scissione nella personalità di questi soggetti. Da una parte le esigenze ideali di una professione-missione e dall'altra l'incoercibile pulsione sessuale. Ma la verità è che non basta reprimere la sessualità per farla scomparire: lo sanno tutti. Anzi, la repressione le fa imboccare vie deviate e in più crea quel tipico comportamento dei preti cattolici che con vocette in falsetto, lunghe gonne e frasi preconfezionate vorrebbero salvare gli altri senza riuscire a capire niente di se stessi e senza poter dar sfogo alle proprie esigenze naturali. Un'educazione profondamente sbagliata, che non tiene conto della più elementare psicologia. Oltretutto, questi preti non si limitano a fare soltanto sesso (che è un diritto inalienabile dell'essere umani), ma fanno anche un sesso ricattatorio, ossia sfruttano il loro piccolo o grande potere per violentare giovani vittime. Sono doppiamente perversi. Non sono quelli di cui Gesù diceva che avrebbero fatto meglio a legarsi una macina al collo e buttarsi a mare? Come mai non si ricordano nemmeno del Vangelo? Un bell'esempio di moralità! La Curia esprime come al solito "sconcerto e stupore"... poveretta, cade sempre dal pero, non conosce i suoi sacerdoti. Ma non dovrebbe esercitare un'azione di controllo?
E pensare che ci sono famiglie che credono ancora che l'educazione cattolica sia la più morale e pagano fior di rette per mandare i loro figli nelle scuole dei preti e delle suore. Di recente proprio una suora è stata accusata di aver violentato una bambina.
Ma la galleria degli orrori cattolici non finisce qui. Sentite questa notizia presa da Repubblica.it e riferita da Michela Marzano: "Savita è morta di setticemia all'University Hospital di Galway, in Irlanda. Era una dentista trentunenne di origine indiana, incinta di quattro mesi. E questo bambino lo voleva veramente. Solo che, durante la gravidanza, qualcosa è andato storto. E quando la donna si è presentata in ospedale dichiarando di soffrire di dolori lancinanti, i medici, nonostante le evidenti complicazioni, hanno rifiutato di praticare un aborto terapeutico. 'Finché si sente il battito cardiaco del feto, non possiamo far niente. L'Irlanda è un Paese cattolico', le hanno risposto in ospedale. Costringendo Savita ad aspettare e a soffrire in silenzio. Fino a quando il cuore del feto ha smesso di battere. Anche se, per la madre, era ormai troppo tardi."
Che dire? Che il fanatismo religioso e il dogmatismo distruggono la ragione umana.
martedì 20 novembre 2012
"Ascolta, Israele..."
Conoscete una religione che non metta tra i suoi comandamenti "non ammazzare"? Tutte lo dicono e lo ripetono. Ma... ci sono le eccezioni. Molti paesi hanno la pena di morte e molti altri eliminano regolarmente quella parte dei loro cittadini che appare riottosa e ribelle - vedi la Cina, la Siria e compagnia bella. Però ce ne è uno che si sente in diritto di uccidere chi vuole anche al di fuori dei propri confini. E si chiama Israele: sì, la culla delle tre maggiori religioni monoteiste, quelle che hanno influenzato gli uomini. Ciò che colpisce in questo paese, che pure è nato in ultimo da un genocidio della propria gente, è l'indifferenza verso le vite altrui - e in particolare dei palestinesi. Ogni tanto Israele ammazza qualche palestinese, dichiarando che era un terrorista. E noi dobbiamo credergli - e poco importa se, per ammazzare questo terrorista, vengono uccisi anche innocenti. A Israele non interessa. Chi c'è c'è. E tutti gli altri Stati stanno a guardare, magari protestano formalmente, ma non fanno niente. Così Israele continua ad ammazzare chi vuole. Proprio in questi giorni sta ammazzando centinaia di palestinesi, di cui la metà donne e bambini.
Che dire? Come minimo che esiste una doppia morale: quella privata per cui ammazzare è un delitto e quella degli Stati per cui uccidere non è un crimine, ma quasi un dovere. Lo vediamo continuamente: anche le democrazie occidentali e cristiane, quando si tratta di uccidere qualche nemico, non sono seconde a nessuno. Sappiamo che Israele è minacciata di sterminio. Ed ha diritto di difendersi. Però, dovrebbe anche andarsene dai territori occupati, secondo quanto stabilito dall'accordo di Oslo. E poi perché questo ammazzare all'ingrosso, senza distinguere tra una persona e un'altra, tra un adulto e un bambino? Perché non dire mai una parola di scusa o di rimorso? Forse perché il loro Dio ordina nella Bibbia di uccidere uomini, donne, bambini e perfino animali dei nemici di Israele? "Così Giosuè non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, Dio di Israele" (Gs 10, 40). Occhio per occhio, dente per dente? Tuttavia i conti non tornano. Per un israeliano ucciso ci sono dieci o cento palestinesi. Nemmeno i nazisti avevano una simile sproporzione. Che si sia attivata una specie di sindrome di Stoccolma, per cui le vittime diventano a loro volta carnefici?
"Ascolta, Israele": questa non è una guerra - è un massacro.
Schiacciati dagli opposti fanatismi religiosi, gli israeliani e i palestinesi moderati, laici, di buon senso e amanti della tranquilla convivenza, sono costretti a vivere nel terrore.
Insomma a che cosa servono le religioni? Sono sicuro che molti di questi generali e di questi aviatori che massacrano gli altri esseri umani non hanno nessuna crisi di coscienza e che magari tutte le sere pregano il loro Dio. Ripeto: a che cosa servono le religioni? A scannarsi meglio? Non è evidente che sono tutte fallite nel loro compito di migliorare gli uomini? Oggi, dichiararsi ebrei, cristiani o musulmani è come dichiararsi interisti o laziali - un'appartenenza e basta. Ma, quando si tratta di applicare i principi religiosi di quelle religioni ai comportamenti privati e più ancora a quelli pubblici, l'etica religiosa scompare, come se si trattasse di una semplice mano di vernice stesa su una natura belluina che non è emendabile.
lunedì 19 novembre 2012
Energia cosmica
Pensate a come siamo ottusi noi esseri umani. Per secoli abbiamo contrapposto nettamente spirito a materia, per secoli abbiamo adottato una logica dualistica che permette ogni tipo di separazione. Un grande filosofo razionalista come Cartesio ("cogito ergo sum") era convinto, ancora poco tempo fa, che gli animali non fossero che macchine, come del resto tutta la natura: chi non "cogitava", chi non pensava, era una essere inferiore. Così si sono potuto discriminare le donne, a cui si è attribuita un'anima dopo averci a a lungo riflettuto; e così si è ritenuto che certi popoli, poco "cogitanti", potessero essere fatti schiavi - erano macchine anche loro. E, poi, da pochi decenni, si è scoperto che la materia, come la intendiamo noi, non esiste... perché tutto è energia. Ma che cos'è l'energia? Non è certo qualcosa di tangibile e di visibile: chi vede i fotoni, chi vede le innumerevoli particelle? Solo le macchine, non noi. Noi ne vediamo gli effetti.
Infine si è scoperto che anche le macchine sono fatte dei nostri stessi elementi e che, quando le usiamo per osservare la "materia", in realtà la influenziamo e la cambiamo. Dunque, tutto è energia, ma un'energia che contiene in sé anche la possibilità di interazione, di informazione e di coscienza. Insomma, non solo la materia non esiste, ma tutto è... spirito, quello che una volta si chiamava spirito e che ora si chiama con altri nomi. È la stessa cosa: tutto è un prodotto immateriale, evanescente, imprendibile, misterioso, infinito.
Qual è la conclusione? Che non possiamo affermare impunemente che ci sia qualcosa che non sia spirito: tutto è spirituale, tutto è la manifestazione di un'unica energia, tutto ha un principio di intelligenza. Anche una piante, anche un sasso, anche un elettrone. Figuriamoci se adesso possiamo dire che gli animali non hanno un'anima! Non solo: tutto è unito, tutto è in comunicazione, tutto è fatto della stessa sostanza, tutto è Uno.
A questo punto, quanto è vecchia quella vecchia idea che Dio stia in cielo, in qualche posto separato. Dio è dappertutto, in ogni cosa e in ogni essere. E noi stiamo ancora a parlare di "amore verso il prossimo". Ma il prossimo siamo noi! A forza di credere nelle vecchie idee religiose e fisiche, abbiamo costruito un mondo di muri, dove tutti sono separati, divisi, contrapposti e in guerra. Ecco come le idee - cioè lo spirito - forgiano il cosmo in cui viviamo. Ed ecco come le idee - cioè lo spirito - possono di nuovo cambiare il mondo. Ma bisogna crederci, convincercene, illuminarci... insomma cambiare il paradigma mentale.
Relativismo papale
Ogni volta che accendo la radio la domenica mattina, sento la vocetta del Papa che ripete monotono le sue litanie, tra cui quella che tutto il male del mondo nasce dal "relativismo". A me sembra il contrario: gran parte del male nasce dal fatto che qualcuno crede "in modo assoluto" alla propria fede. Ne abbiamo in esempio un Terra Santa dove si scontrano le tre religioni assolutiste che devastano le menti umane, spingendole a farsi la guerra: ebraismo, cristianesimo e islam. Ognuna è convinta della propria verità assoluta e quindi vorrebbe distruggere le altre. "Il mio Dio è l'unico vero, il mio profeta è l'unico vero..." e i vostri sono falsi malvagi. E così si odiano tutti. Non c'è niente fare: le religioni monoteiste, con la loro fede assoluta, sono ciò che mina la convivenza umana.
Dunque, il Papa dice una sciocchezza, palesemente falsa. In compenso ha a sua disposizione tutti i mass media dello Stato italiano, il quale, come tutti sanno, non è uno Stato democratico, moderno, ma uno Stato confessionale. Ha un'unica cultura: quella cattolica. E lo si vede. È ai primi posti nella classifica della corruzione mondiale, proprio perché il cattolicesimo è una religione assolutista che non istilla nei suoi seguaci il senso civico, che vede nello Stato una gallina dalle uova d'oro, una gallina da sfruttare a suo piacimento. Così lo Stato (cioè tutti noi) sborsa milioni di euro per mantenere il Vaticano, i suoi preti e i suoi insegnanti di religione. Di recente, mentre la gente perde il lavoro e si tagliano i servizi ai cittadini, è stato riconfermato lo stanziamento a favore delle scuole "private" che al 90 per cento sono cattoliche. Nello stesso tempo si fa di tutto per non far pagare le tasse agli edifici commerciali di proprietà del Vaticano.
Come diceva Napoleone, ""io sono circondato da preti che ripetono incessantemente che il loro regno non è in questo mondo, eppure allungano le mani su tutto quello che possono prendere." Questa è la morale insegnata dall'assolutismo cattolico: e questi sono gli italiani, che sono figli di quella "cultura". Anche loro allungano le mani su tutto ciò che possono prendere. Tanto lo Stato non esiste, è qualcosa da depredare.
venerdì 16 novembre 2012
Belle parole
Tutti noi, fin da bambini, abbiamo dovuto imparare a impiegare bene le parole. Magari padroneggiamo due o più lingue. E, nella nostra civiltà, è evidente che chi manipola meglio le parole fa più strada. Basta accendere radio o televisione per ascoltare politici, giornalisti, professori, avvocati, sindacalisti, esperti d'arte, economisti e compagnia bella. Sono loro i modelli vincenti, sono loro che occupano i posti più alti della scala sociale. Sanno parlare bene, sanno esprimersi, sanno sviscerare problemi e sanno attirare l'attenzione delle masse che indirizzano in un senso o nell'altro.
Ma le parole, e i concetti che ne stanno alla base, sono strade già tracciate e persorse da altri - non sono una nostra creazione. Dunque, quando le usiamo, in realtà diventiamo dei ripetitori. Dove è finita, allora, la nostra autenticità? Le parole sono concetti standard, mezzi usurati, convenzioni, idee altrui, ed è difficile che diventino "nostre". Quando cerchiamo di esprimere qualcosa di autentico, qualcosa di profondamente sentito o pensato, che cosa facciamo? Rientriamo nei vecchi solchi delle parole e li seguiamo? Com'è possibile esprimere - e anche solo provare - qualcosa di assolutamente personale? Se ci poniamo il problema, scopriamo di essere terribilmente condizionati. Le parole servono ad esprimerci, ma sono anche troppo vecchie, troppo limitate. E ciò che dico o penso io non può che essere qualcosa di ripetitivo, di non personale. Siamo soltanto dei cloni? Siamo degli automi?
Ci crediamo persone uniche, ma utilizziamo pensieri e parole che sono luoghi comuni. Siamo sicuri di essere veri individui? Lo sapete che la parola persona significa "maschera"? E credete che i sentimenti che provate per chi amate siano davvero "vostri", o sono anch'essi produzioni in serie? Se si incomincia a ragionare così, si rischia di impazzire. Ma è una pazzia utile. È come se noi fossimo soltanto delle copie - è come se tutto ciò che pensiamo, sentiamo ed esprimiamo fosse la ripetizione di cose già pensate, provate ed espresse. Alla fine esistiamo veramente o siamo semplici maschere - maschere che sono vuote dentro, che non hanno nessuna sostanza? Altro che anima! Siamo come le formiche. Morti noi, ci sarà un'altra maschera, ci sarà un'altra formica, che ripeterà le stesse cose che abbiamo detto, provato e fatto noi.
Però, riusciamo ad avere questi pensieri e questi dubbi - cosa che le formiche non possono avere. E qui può incominciare il nostro riscatto, la nostra lenta risalita, il nostro risveglio. In che modo? Disimparando tutto ciò che ci è stato insegnato, decondizionandoci, smettendo per un po' di parlare e perfino di pensare. Se vogliamo essere noi stessi, se vogliamo diventare individui autentici, se vogliamo acquisire un'anima, dobbiamo tornare come bambini incapaci di parlare e di scrivere, dobbiamo dimenticare la nostra mente, che è stata così a lungo manipolata, che è il prodotto della società e della cultura.
Questo processo di depurazione o di decondizionamento è ciò che chiamiamo meditazione. Che quindi non può ricorrere né a parole né ai soliti concetti dualistici di bene-male, giusto-sbagliato, vero-falso, vita-morte, eccetera eccetera. Che cosa rimane a nostra disposizione? La nostra attenzione priva di concetti, la nostra consapevolezza nuda, la nostra esperienza diretta, senza filtri. Stare in silenzio, guardare il mondo con distacco, liberarci delle frasi fatte, fare il vuoto interiore... Quello che rimarrà, sarà un'ombra del sé che cerchiamo.
I cinque impedimenti... e gli altri
Il buddhismo classifica in cinque categorie gli impedimenti alla meditazione: il desiderio, l'avversione, il torpore, l'agitazione e il dubbio. E si tratta di concetti intuitivi. Se, mentre meditiamo, proviamo un forte desiderio per qualcosa o un forte odio per qualcos'altro, è chiaro che la nostra concentrazione andrà a farsi benedire e che l'attenzione sarà sviata. Lo stesso succede con il torpore e l'agitazione. Quanto al dubbio, se incominciamo a chiederci che cosa stiamo lì a fare e se non sia tutto inutile, non potremo andare avanti. In tutti questi casi, la soluzione è spostare l'attenzione sul nuovo stato d'animo, in modo da indebolirlo e da farlo passar via. Non dobbiamo infatti dimenticare che si tratta comunque di stati d'animo o di pensieri transitori, che presto se ne andranno.
Ma esistono altri impedimenti che sono molto più subdoli, perché sono sostanziati di piacevolezza: la gioia, l'esultanza, la felicità, l'amore, la soddisfazione, l'orgoglio, ecc. Tutti questi stati d'animo non vengono percepiti come ostacoli. Ma in realtà lo sono. Lo sono perché anch'essi sono stai d'animo transitori, che possono abbandonarci da un momento all'altro lasciando magari il posto ai loro contrari. In effetti, nell'illustrazione dei quattro livelli (jhana) della meditazione, viene specificato che i primi sono sostanziati di gioia, ma l'ultimo, il più elevato, supera questo stato d'animo e assume il carattere del distacco e dell'equanimità, un atto di pura coscienza.
Lo scopo della meditazione non è cercare uno stato d'animo euforico, ma avere una mente sempre più chiara e capace di vedere senza condizionamenti sentimentali.
giovedì 15 novembre 2012
Guerra in Terra Santa
Sarà anche "Santa", ma quella Terra è sempre in guerra. Come mai? Non è per caso una dimostrazione che queste tre religioni - ebraismo, cristianesimo e islam, imparentate fra loro - hanno appestato il mondo con le loro idee sbagliate? Prendetene coscienza e lasciatele perdere. Ci guadagnerà la pace.
"Il male grande e innominabile che sta al centro della nostra cultura è il monoteismo. Da un barbarico testo dell'età del bronzo, noto come Vecchio Testamento, si sono evolute tre religioni antiumane (...). Coloro che che rifiutano [il loro Dio] devono essere convertiti o ammazzati, per il loro stesso bene. " R. Dawkins
mercoledì 14 novembre 2012
La consapevolezza del respiro
La consapevolezza del respiro è uno dei metodi più semplici e più seguiti nel campo della meditazione. Come esercizio, parte già dal Buddha stesso (e prima ancora dalla tradizione dello Yoga) ed è incredibile quanto sia tuttora valido. Consiste nel seguire con attenzione il respiro che entra ed esce, concentrandosi di solito sulla sensazione che l'aria produce nelle narici. Con questo metodo, si riporta la consapevolezza a qualcosa di reale e al momento presente, al qui e ora, interrompendo le solite elucubrazioni mentali, le fantasie e i pensieri. Basta un attimo, ed ecco che lo scenario è cambiato. Si esce dall'ambito della mente e si entra in quello della realtà. L'esercizio è consigliabile, per la sua semplicità e immediatezza, a chi incominci a meditare, e comunque non va abbandonato nemmeno da chi ha più esperienza.
Tuttavia non bisogna confondere il mezzo con il fine. Quando si indirizza l'attenzione al respiro si ottengono due scopi: si interrompono i pensieri e ci si riporta al presente. Ma il vero scopo è risvegliare la consapevolezza generale, è rendersi conto della condizione in cui ci si trova in quel momento e in ogni momento. È come dare un taglio netto, è come svegliarsi da un sogno, è come fare un riepilogo, è vedersi così come si è.
Essere consapevoli, essere sempre più consapevoli, è lo scopo ultimo della meditazione, anzi dell'essere umano. Comunque, ha poco senso insistere a lungo su questo esercizio, sperando di ottenere chissà quali risultati. Infatti, dopo qualche minuto, l'attenzione si disperde di nuovo. È invece preferibile ripetere l'operazione più volte al giorno. Lo si può fare in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Ed è ogni volta un metodo che serve a riportarci al presente, a schiarirci la mente e a farci ritrovare noi stessi.
martedì 13 novembre 2012
Non negare l'evidenza
Quando si leggono testi buddhisti, si ha l'impressione di un pensiero pessimista. Ma l'insistere sugli aspetti negativi dell'esistenza nasce da uno sforzo di superarli. Soltanto che il metodo è diverso da quello che seguiamo di solito. Noi neghiamo l'evidenza della sofferenza, ci ripetiamo che tutto va bene e cerchiamo di massimizzare il piacere - proprio per annegare la negatività. Invece il metodo buddhista non è basato sul trucco dell'evitamento e cerca innanzitutto di esaminare attentamente il problema, di sviscerare la questione, nella convinzione che solo se prendiamo coscienza della difficoltà e dei suoi meccanismi potremo uscirne... Va tutto bene, va tutto bene... ma se vi muore una persona cara, se perdete il lavoro o se vi ammalate, non va bene per niente, e la sofferenza è inevitabile. Per superare il problema, dobbiamo per prima cosa ammetterlo e guardarlo bene in faccia, non negarlo o cercare di annegarlo in qualche supplemento di piacere. Noi soffriamo, noi abbiamo a che fare con un aspetto negativo dell'esistenza. Non si tratta dunque di pessimismo, ma di realismo. Il metodo per uscire dalla sofferenza sta nello studiarla, nel cercarne le cause.
Meditare non significa scegliere solo le cose positive e costruirci un immaginario positivo (che cadrebbe rovinosamente alla prima difficoltà portandoci alla disperazione), ma significa portare l'attenzione su ogni cosa, bella o brutta che sia. Se soffriamo, ci conviene entrare profondamente nel dolore, e cercare di capirne le cause. Dobbiamo guardarlo da vicino, senza tentativi di addolcimento. Il vero metodo per superarlo è l'attenzione concentrata, non la rimozione. Vediamo troppe persone naufragare nell'alcool, nelle droghe, nel sesso, nel conformismo o nelle fedi religiose. Si spengono a poco a poco, si suicidano volontariamente... tutto pur di non guardare in faccia la realtà della sofferenza.
lunedì 12 novembre 2012
Costantino e la tolleranza
Si è aperta a Milano una mostra sull'imperatore Costantino, noto per aver aperto alla libertà di culto. Infatti, con l'editto del 313 d.C. stabilì di "concedere ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita." Fu senza dubbio un primo esempio di tolleranza religiosa. Ma come fu utilizzata questa libertà? Sappiamo tutti che i cristiani divennero del tutto intolleranti e si misero a perseguitare le altre religioni e a distruggere i templi pagani. Insomma, fine della tolleranza e inizio di una brutta storia che sfociò nell'Inquisizione, nelle crociate, nelle guerre tra cattolici e protestanti, negli scismi, nelle scomuniche, ecc. E non dimentichiamo che solo pochi decenni fa, nella "civilissima" Europa cristiana, furono varate "leggi razziali" contro gli ebrei e fu progettato il loro sterminio, nel totale silenzio della Chiesa. Non ci raccontiamo allora la storia che con il cristianesimo si inaugurò una nuova era di tolleranza religiosa. Fu tutto il contrario. L'idea di tolleranza fu mantenuta viva non dai religiosi, ma dai pensatori laici.
D'altronde, non esiste una sola religione teista che non abbia come corollario l'odio verso le altre concorrenti. Il mondo musulmano è lì a testimoniarlo. Ma che dire degli ebrei ortodossi o degli induisti? Tutte le religioni predicano l'amore e la pace, ma, a parte il buddhismo, seminano guerra.
venerdì 9 novembre 2012
Il senso della vita
Ogni tanto, nel corso dell'esistenza, smarriamo il senso della vita - magari c'è stata una perdita affettiva, magari c'è stato un cambiamento improvviso, magari ci ritroviamo soli, magari abbiamo perso il lavoro, magari dobbiamo vivere con chi non ci piace, magari non possiamo vivere con chi vorremmo, e così via. Allora ci sentiamo persi, inutili, vuoti, stanchi, senza prospettive per il futuro; si è spenta una luce e non sappiamo come riaccenderla.
Prima o poi, capita a tutti, perché l'esistenza è un cambiamento continuo, perché è un passare da una crisi all'altra, perché niente dura a lungo, perché stiamo invecchiando... Dov'è il nuovo senso, la nuova direzione? E dov'è finita la nostra voglia di vivere?
Il problema è che cerchiamo questo senso al di fuori di noi; e, se ci aspettiamo che le cose cambino grazie a circostanze esterne o ad altre persone, potremmo attendere a lungo. In fondo, la vita non ha un senso razionale - l'unico suo senso è il vivere stesso. E la direzione è sempre la stessa: quella della vita di tutti i giorni, quella degli anni che passano...
Il senso deve essere cercato dentro di noi. Noi abbiamo perso la strada (anche se non per colpa nostra), noi dobbiamo ritrovarla. Per ricominciare, bisogna ripartire dalle piccole cose: da una mattina di sole, da una nuova primavera, da un buon cibo, da una pianta che cresce, dalle parole di un amico o di un libro, ecc. Al di là dei grandi eventi, la felicità è sempre disponibile dentro di noi: è una questione di punti di vista, di saper guardare. Quando avremo sollecitato questo senso della felicità interiore, potremo affrontare anche i problemi esterni. Ma l'importante è riuscire a cambiare la prospettiva. Come diceva Ugo Ojetti, "la felicità è un modo di vedere".
mercoledì 7 novembre 2012
ll ciclo quotidiano della vita e della morte
Il buddhismo ci spinge ad uscire dal ciclo delle nascite e delle morti e ci fa immaginare un grandioso sistema di universi o di piani di realtà su cui possiamo transitare, avanzando o retrocedendo in base a come ci comportiamo. Questo può essere vero, ed è comunque una bella metafora. Ma, nel frattempo, noi ci dobbiamo occupare del quotidiano - ed anche qui scopriamo che ci sono continuamente momenti in cui ci sentiamo vivi e momenti in cui ci sentiamo morti, momenti in cui siamo pieni di energia e momenti in cui siamo pieni di sconforto, momenti di speranza e momenti di delusione, momenti di pace e momenti di guerra, momenti di attrazione e momenti di avversione, momenti di lucidità e momenti di confusione, momenti di vivacità e momenti di noia, eccetera eccetera; insomma l'esistenza è un continuo morire e rinascere, qui o chissà dove, un continuo alternarsi di piaceri e di sofferenze, di alti e di bassi. Questa è la vita - ci diciamo. Ed è vero: il nostro è un piano di cambiamenti e di contrasti costanti. Però è possibile trascendere il proprio limitato punto di vista, guardare le cose con distacco e raggiungere una visione più calma e più profonda delle cose. Questo non eliminerà i cambiamenti, ma ci darà la possibilità di dare ad essi una direzione, un senso e una coerenza che ci porteranno a migliorare la qualità della nostra vita.
Identikit degli esseri umani
Secondo la legge del karma, ognuno rinasce in un pianeta o in un piano di realtà adatto alle sue capacità e al suo grado di evoluzione. L'anima viene attirata nella terra e nella famiglia che le è più affine. Il comportamento tenuto e che terrà è ovviamente una conseguenza proprio del grado di evoluzione raggiunto. Orbene, quale sarà l'identikit delle anime che si incarneranno sul pianeta Terra? Gli esseri umani devono essere abbastanza intelligenti, ma non molto - appena al di sopra delle scimmie: quindi hanno un grado di evoluzione minimo. La loro mente è confusa ed è incapace di vedere la realtà così com'è; più che altro proietta sogni, fantasticherie, avversioni e preferenze. Inoltre è dominata da un dualismo insanabile: crede davvero che il bene si contrapponga al male; ed è al continuo inseguimento di desideri insaziabili. Inutile dire che gli esseri umani hanno una scarsa consapevolezza di ciò che sono e che, anzi, si credono esseri divini. E, infine, questa razza poco evoluta crede ancora in un Dio creatore, un Dio-Persona, che dispensi premi e punizioni e che mandi profeti e Messia come se fossero meteoriti. Insomma, si aspettano l'illuminazione dall'alto e non hanno ancora capito che ognuno deve cercarsela in se stesso.
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