lunedì 24 dicembre 2012
Le origini di Gesù
Figlio del carpentiere Giuseppe, Gesù apparteneva ad una modesta famiglia ebraica. Tutti abbiamo presenti le circostanze della sua nascita:
«[…]Giuseppe, che era un discendente della casata del re Davide, partì da Nazaret, in Galilea, e salì in Giudea, a Betlemme, città di Davide, per farsi censire insieme con sua moglie Maria, che aspettava un bambino. Mentre si trovavano in quel luogo giunse per Maria il momento di partorire. Ed essa diede alla luce suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo pose a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché per loro non c'era altro posto» (Lc 2, 7–12).
Da questo racconto si deduce che, se Giuseppe era della famiglia del re Davide, apparteneva comunque ad un ramo decaduto, privo di mezzi e di conoscenze.
Gesù svolse lo stesso lavoro del padre. Quando infatti tornò nella sinagoga di Nazaret a predicare, la gente – secondo Matteo – diceva: «Non è costui il figlio del carpentiere?» (Mt 13, 55) E, secondo Marco, commentava malignamente: «Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria [...]?» (Mc 6, 3).
A causa delle sue umili origini, Gesù non ebbe un'istruzione rabbinica; e anche questo sarà motivo di contrasto con gli scribi, i farisei ed i sommi sacerdoti, tutti uomini la cui mente era stata a lungo formata e «deformata» dall'insegnamento rabbinico.
L'episodio in cui Gesù dodicenne, a Gerusalemme, sfugge ai genitori, i quali lo ritrovano dopo tre giorni a discutere con i dottori del Tempio, è un tentativo dell'evangelista Luca di accreditagli una sorta di scienza infusa «[...] Seduto tra i maestri della Legge, egli li ascoltava e li interrogava. E tutti coloro che lo udivano si meravigliavano della sua intelligenza e delle sue risposte» (Lc 2, 46–47).
Per Luca, non ci si poteva aspettare niente di meno da un bambino che cresceva «pieno di sapienza e assistito dalla benedizione di Dio» (Lc 2, 40).
Ma che egli fosse un autodidatta è ammesso da Giovanni, il quale scrive che, quando Gesù salì al Tempio per insegnare, «i giudei se ne stupivano e dicevano: "Come mai costui, senza aver studiato, conosce le Scritture?"» (Gv 7, 15).
Gesù le conosceva perché, dopo aver ricevuto – come tutti i suoi coetanei – una sommaria istruzione religiosa alla scuola del paese, aveva meditato per conto suo i testi biblici: questa era la sua vocazione. Nella sua famiglia, comunque, si doveva respirare una certa aria religiosa, se è vero che anche il fratello Giacomo seguì le sue orme e se sono veri i rapporti di parentela – raccontati dal solo Luca – fra Maria ed Elisabetta (moglie del sacerdote Zaccaria) e quindi fra Giovanni il Battista e lo stesso Gesù.
La mancanza di una regolare istruzione religiosa non solo non impedì al Nazareno di approfondire gli argomenti che lo interessavano, ma anzi gli favorì una notevole autonomia di giudizio, quell'autonomia che fu alla base di ogni sua ribellione.
Pur essendo talvolta chiamato impropriamente «rabbi» (che vuol dire rabbino, dottore, maestro) e pur dando prova di conoscere parecchi passi delle Scritture e di aver recepito qualcosa dell'insegnamento rabbinico a lui contemporaneo, Gesù disconosceva il valore della tradizionale formazione culturale. Per lui, gli scribi ed i farisei avevano «annullato la parola di Dio» in nome della loro tradizione e insegnavano «come dottrina divina precetti concepiti da uomini» (Mt 15, 6–9).
Questa era la loro grande colpa, la loro ipocrisia.
Ecco perché egli diceva: «Non fatevi chiamare "rabbi" [...], non fatevi chiamare "maestri", dato che uno solo è il vostro Maestro [...]» (Mt 23, 8–10).
D'altronde, gli stessi evangelisti contrappongono l'insegnamento di Gesù a quello dei rabbini. Matteo scrive che la gente restava stupita del suo modo d'insegnare: «Egli infatti non ammaestrava come uno scriba, ma come uno che ha autorità» (Mt 7, 29). E Marco riferisce che qualcuno parlava di «una nuova dottrina spiegata con autorità» (Mc 1,27).
Benché due evangelisti – Matteo e Luca – ce lo presentino come membro della nobile stirpe del re Davide (v. cap. 5), resta il fatto incontestabile che egli non apparteneva ad una famiglia facoltosa. Non avrebbe – in caso contrario– attaccato con tanto accanimento i ricchi ed esaltato con tanto calore i diseredati della terra. «Beati voi poveri, perché il regno di Dio è vostro. Beati voi che ora avete fame, perché Dio vi sazierà [...] Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra ricompensa. Guai a voi che ora siete sazi, perché soffrirete la fame [...]» (Lc 6, 20–25).
Per di più – che fosse o non fosse nato a Betlemme – Gesù proveniva da Nazaret, un paese della Galilea, che aveva fama di ospitare gente sempliciotta.
La storia della nascita a Betlemme, come tutti i «Vangeli dell'infanzia», potrebbe essere un'aggiunta posteriore, dato che gli stessi evangelisti definiscono Gesù «il Nazareno» o «il Galileo». Il motivo di tale interpolazione viene rivelato nel Vangelo di Giovanni: «Il Cristo» afferma un anonimo interlocutore «non può venire dalla Galilea». La Scrittura dice che il Messia proverrà «dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il paese di Davide» (Gv 7, 41–42).
Nei Vangeli, invece, tutti sono convinti che Gesù provenga dalla Galilea, una regione che a quei tempi godeva di scarsa stima. Ecco infatti che cosa ne pensavano quelli che sarebbero stati due apostoli: Filippo, già convertito, e Natanaele:
«Filippo incontrò Natanaele e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia che ci aveva promesso Mosè nella Bibbia: è Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe". Natanaele replicò: "Di Nazaret? Che cosa può mai venire di buono da laggiù?"» (Gv 1, 45–46).
E, più avanti, quando Nicodemo cerca di difendere Gesù, i farisei lo rimproverano: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non può venire nessun profeta!» (Gv 7,52).
Questa origine segnerà in modo indelebile la predicazione di Gesù. Se egli fosse appartenuto a qualche ricca famiglia di latifondisti, se fosse stato un vero rabbino, se fosse stato membro di una delle ventiquattro classi di sacerdoti che si alternavano ogni settimana nel Tempio di Gerusalemme, forse non si sarebbe tanto preoccupato dei poveri e degli umili, o lo avrebbe fatto come un devoto fariseo: senza rischiare di persona.
[Da "L'altro Gesù" di Claudio Lamparelli]
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