venerdì 7 dicembre 2012

Il cardinale Scola


Il cardinale Scola non ci ha messo molto a svelare il suo vero pensiero. Questo successore (controriformista) di Martini e Tettamanzi, e non per nulla proveniente dalle file di Comunione e Liberazione, afferma, nel tradizionale "Discorso alla città", che la laicità dello Stato mette a rischio la libertà religiosa. L'arcivescovo di Milano, sostenitore di una concezione religiosa integralista (e voluto proprio per questo dal papa) sostiene che la laicità dello Stato, sull'esempio francese, "ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso" e che "la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l'idea di neutralità, il sostegno a una visione del mondo che poggia sull'idea secolare e senza Dio".
Ma non si vede che cosa proponga lui. Anzi lo si vede benissimo: non uno Stato laico, ma uno Stato confessionale, più che ben predisposto a genuflettersi davanti alla Chiesa. Perché non c'è alternativa: o lo Stato è laico o è confessionale. E, se è laico, non deve essere ben predisposto verso nessuno. Deve essere neutrale. Deve distinguere nettamente tra Stato e Chiesa. Se lo Stato si schierasse dalla parte di una visione religiosa del mondo non sarebbe più laico, ma confessionale.
Insomma, con questo campione della destra, Milano non è più la capitale del dialogo con i non credenti. Al contrario Scola sollecita "i cristiani" a "testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione pubblica della fede". Altro che laicità dello Stato: qui siamo al solito tentativo della religione di condizionare la vita pubblica.
Non è lo Stato laico che mette in pericolo la libertà religiosa, ma è la Chiesa.

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