Quando
veniamo colpiti dalla sofferenza, approfittiamone per trascendere noi stessi.
Anziché rimanere coinvolti nell’io che soffre, rendiamoci estranei,
diventiamone il testimone distaccato. Facciamo un passo indietro e guardiamo
questo io, questa persona che soffre, fisicamente o psicologicamente.
Rendiamoci
conto che noi non siamo soltanto colui che soffre, la persona turbata, ma anche
e soprattutto il testimone; e cerchiamo di non far passare al testimone i
sentimenti negativi della persona.
In
realtà, il testimone che osserva non è coinvolto da ciò che osserva, ma è
quieto e sereno.
Troppo
a lungo ci siamo identificati con un personaggio, con un attore agitato e
confuso. Ma, sotto l’attore, c’è un uomo che può svestire quei panni ed essere completamente
diverso.
Pensiamo
pure alle cose che ci fanno star male, alle cause lontane e vicine, all’intera
nostra storia passata, ai rapporti di causa ed effetto. Ma poi piantiamola lì.
Noi siamo altro. Noi ci siamo troppo identificati con i ruoli che svolgiamo.
Domandiamoci
sempre: “Ma, al di là dei ruoli psicologici, familiari e sociali, chi sono io? Qual è il nucleo imperturbabile
che giace al fondo di queste acque perennemente agitate? Quello sono io.”
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