Se
volessimo esprimere i valori della meditazione, dovremmo mettere al primo posto
la ricerca di autonomia e di padronanza, il che è tutto il contrario delle
religioni, che puntano piuttosto sulla dipendenza e sulla sottomissione ad una
presunta Autorità divina. Questo comporta trovare una “senso di scopo” nella
vita, ossia essere convinti che abbiamo un obiettivo: svilupparci, diventare
sempre più consapevoli.
È
come se avessimo un potenziale che non si è ancora del tutto sviluppato. Per
esempio, l’autonomia richiede un renderci conto dei nostri limiti, delle nostre
virtù e soprattutto dei condizionamenti da cui non ci siamo ancora liberati.
Perché
è chiaro che lo scopo ultimo è la liberazione.
Chiediamoci
dunque fino a che punto ci siamo liberati delle pressioni sociali e abbiamo
svolto il nostro compito, fino a che punto siamo autonomi e quanto invece siamo
ancora dipendenti dai giudizi e dai valori altrui.
I
mezzi impiegati si chiamano autoesplorazione o autoindagine, cioè in una parola
solo “consapevolezza”. Ancora una volta notiamo la differenza rispetto alle
religioni, in cui si viene valutati in base al nostro grado di conformità.
Non
dobbiamo né sminuirci né umiliarci rispetto al potere umano e divino, ma essere
fieri della nostra natura e delle nostre potenzialità.
Siamo
come quel leoncino che era stato allevato da un gruppo di pecore e che si
considerava e ci comportava come una di loro, finché, incontrando un altro
leone, questi gli fece capire la sua vera natura. Allora smise di belare e per
la prima volta si mise a ruggire, consapevole della propria forza.
Ecco,
mentre scopriamo che non siamo più delle pavide pecore destinate al macello dal padrone, anche
noi dobbiamo essere consapevoli della nostra vera natura,
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