L’Io è la persona che
conosciamo e con cui ci identifichiamo abitualmente (io mi chiamo così e così,
e sono fatto così e così), ma è solo una parte di ciò che siamo, perché esiste
una parte inconscia che non conosciamo e che non controlliamo. La parte
inconscia, l’inconscio, è quell’insieme di impulsi, di desideri e di
motivazioni che ci dirigono senza che ce ne rendiamo conto. Noi conosciamo
l’io, le sue manifestazioni, il suo ordine, il suo linguaggio e la sua
razionalità. Ma ci sfugge tutto il resto: quella specie di bozzolo che ci
avvolge e che è sempre a priori rispetto al nostro sforzo di scandagliarlo. Quando
cerchiamo di conoscerlo, scopriamo che è un po’ come cercare di afferrare la
propria ombra.
Il Sé è l’insieme della
parte coscia e della parte inconscia, è la totalità. E in esso è anche compresa
la parte superconscia. Conoscere la parte inconscia è molto difficile, richiede
tempo ed è possibile solo parzialmente. Il soggetto, infatti, non può essere
fatto a sua volta oggetto. Con che cosa si conoscerà ciò che conosce? si
domandava l’Upanishad. Il Sé superconscio può essere conosciuto solo essendolo,
solo personificandolo. Ma il problema è che si trova nella zona inconscia.
È un po’ come se il nostro
essere avesse la forma di una montagna. La parte bassa è la zona conscia e
razionale, quella in cui abitiamo tutti i giorni. Poi viene la parte inconscia
che è difficilmente accessibile. E, infine, in cima si trova la parte
superconscia, quella che vorremmo scandagliare. Purtroppo, per giungere in
vetta, dobbiamo passare per la terra dell’inconscio.
Passare per questa terra è
molto pericoloso, perché lì c’è l’origine di ogni nostro contrasto e di ogni
nostra irrazionalità e a-razionalità. Lì ci sono anche i materiali rimossi
dalla nostra ragione e gli impulsi più primitivi. Entrare là dentro significa
precipitare nel caos e nella follia. Bisogna dunque trovare un passaggio, una
via, che ci permetta di evitare i pericoli e di procedere verso la cima della
montagna. Come fare?
Poiché ciò che conosciamo,
ogni nostra “immagine”, è in realtà non qualcosa che si riflette dentro di noi,
ma qualcosa che ricostruiamo noi stessi, bisogna utilizzare come via e
passaggio proprio queste nostre immagini, considerandole in parte anche
riflessi della nostra mente superconscia. Se per esempio chiudiamo gli occhi e
rievochiamo agli occhi della mente una di queste immagini, possiamo utilizzarla
come un traghetto che ci porti sull’altra riva, quella del superconscio, dato
che una sua parte – la sua luce – proviene proprio da quella vetta.
Tra le immagini più
utilizzate c’è quella della luce. A occhi chiusi possiamo vedere verso il
centro della fronte una luminosità, un punto luminoso (fovea) che possiamo
considerare proiezione e simbolo della luce della vetta, della verità, della
conoscenza, di Dio o della Trascendenza. Se vi penetriamo sempre più
profondamente, riusciamo a saltare la pericolosa zona inconscia e incamminarci
verso l’alto, senza peraltro illuderci che ciò che si cerca sia qualcosa di
fisso e di definitivo.
Nessun commento:
Posta un commento