Tra sonno e veglia, tra vita
e morte, tra silenzio e parole, tra coscienza e incoscienza, tra noto e ignoto, tra immanenza e trascendenza, tra presenza e assenza, tra consapevolezza
e inconsapevolezza, tra conscio e inconscio, tra Io e Sé… questo è lo stato intermedio dell’uomo.
Il bardo dei tibetani. Questo è lo
stato della nostra realtà, mai del tutto consapevole e spesso dominato da
pulsioni inconsce o dalla fredda coscienza razionale.
In realtà, bisogna lasciarsi
alle spalle da una parte gli istinti belluini della foresta e dall’altra la coercizione
della ragione che, per comprendere, deforma e toglie ogni possibilità di
trascendenza, di ulteriorità di senso.
Nietzsche diceva che l’uomo
è “un animale non stabilizzato”. Per forza, è un animale in evoluzione, ancora
a metà strada tra un animale, del tutto o poco cosciente, e un uomo più evoluto
e con una consapevolezza più comprensiva.
Ecco perché dall’uomo
possiamo attenderci sia le peggiori nefandezze, sia un comportamento angelico.
Ma dobbiamo toglierci dalla
testa l’idea che si possa accedere a stadi più elevati solo attraverso il
pensiero e la razionalità o annegando nelle pulsioni dell'inconscio. Ci si arriva attraverso uno stato d’animo ultraconsapevole. Noi non
possiamo arrivare a capire un senso, che è su un altro piano rispetto al
pensiero razionale e all’abituale coscienza duale.
Uno stato d’animo è uno
stato dell’anima. Infatti solo l’anima può comprendere se stessa. E questo
stato è già trascendenza.
Perché diciamo “anima mia” a
una persona che amiamo? Perché in quel momento lei ci suscita un certo stato d’animo,
un certo stato dell’anima; ci tocca una corda, ci stimola un complesso di
sensazioni e di pensieri che prima non avevamo. Tutto avviene in un istante: un
istante prima non c’era e poi compare – senza sforzi da parte nostra.
Non un senso razionale. Ma
un senso, sì, ultrarazionale. Così è per gli stati meditazionali.
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