Come dimostra questo articolo, noi cerchiamo di spiegare ancora quale sia il rapporto tra mente e materia (i neuroni, in questo caso), mentre questo rapporto viene dal fatto che la realtà è fluida in qualsiasi stato, da quelli fra particelle a quelli della condizione umana. Basterebbe vedere che non solo gli uomini, ma tutti gli animali, più o meno evoluti hanno la coscienza (a livelli differenti). Ma anche le piante, che pure non hanno un cervello. Come mai le piante sentono, agiscono e reagiscono? Come mai le piante riescono ad assumere diverse strategie per la riproduzione, fra cui quella di imitare nelle foglie le sembianze degli insetti impollinatori. Sembra che abbiano una loro intelligenza e coscienza di sé e dell'ambiente.
Questo si spiega solo assumendo che la coscienza nasca già dal rapporto di interrelazione degli organismi viventi. Basta questo a formare una coscienza.
Questa coscienza naturale è già presente fin dalle prime particelle che interagiscono fra di loro. E' data dal legame che hanno. E che nell'uomo e negli altri animali si complica ulteriormente formando un cervello. Se anche tutti gli animali sparissero, ci sarebbe una coscienza, che a poco a poco si evolverebbe a formare anche animali. Eh sì, perché le piante nascono per essere mangiate da altri organismi, in un unico rapporto di interrelazione fra esseri viventi.
In certi pianeti sembra che la vita non sia neanche iniziata o che sia sparita (forse in seguito a processi di autodistruzione), cosa che faremo anche noi, che abbiamo costruito armi nucleari. Quando mai si sono costruite armi senza usarle?
Piuttosto chiediamoci perché ci siamo fatti sempre la guerra (noi intelligentoni, dotati di cervello), partendo dalle pietre e dalle clave, passando all'arco e alle frecce, e poi alla polvere da sparo, e poi ai fucili e alle pistole, e poi ai cannoni, ai carrarmati e agli aerei, e infine alle armi atomiche, che stiamo accumulando a migliaia, ben decisi a distruggere il mondo!
Nessun altro animale è così stupido e aggressivo, pronto a distruggere gli altri e se stesso. Siamo come quei parassiti che uccidono l'albero distruggendo anche se stessi. Forse i neuroni non bastano, a dimostrazione che la nostra coscienza non è così evoluta come crediamo.
Forse gli atomi sono più intelligenti di noi. Ma sempre in guerra anche loro. In guerra sono le particelle, gli atomi, le molecole, gli esseri viventi, le stelle, i pianeti, le galassie e i buchi neri. L'universo nasce già in guerra.
Infatti, il legame, l'interrelazione ha due aspetti: unisce per dividere e divide per unire; unisce dividendo e divide unendo. Anche la guerra segue questa logica.
Dunque essere coscienti non serve a nulla se questa coscienza non diventa consapevolezza superiore dei legami che uniscono tutti gli esseri e tutti gli essere animati agli essere inanimati. Non siamo tutti nati da polvere di stelle. E non portiamo dentro anche i minerali?
La coscienza c'era da subito, c'era prima della nascita dei cervelli. Si è quindi evoluta negli esseri viventi e nell'uomo. Ma non si è evoluta fino a trasformare se stessa. E ancora la coscienza dei primi ominidi, poco consapevole di sé.
Per portare la coscienza a livello di consapevolezza cosmica fattiva, bisogna capire
Il "problema della coscienza" è un problema talmente difficile che parte già dal definire cosa sia la coscienza. Possiamo iniziare descrivendola come l’esperienza soggettiva di sé stessi e del mondo, un flusso ininterrotto di percezioni, emozioni e pensieri che ci rende consapevoli di ciò che accade dentro e fuori di noi. Il termine coscienza deriva dal latino conscientia, che a sua volta proviene da conscire, composto da cum (con) e scire (sapere) ed è un fenomeno così familiare da sembrare scontato, ma al tempo stesso così complesso da risultare uno dei più grandi enigmi delle neuroscienze e della filosofia della mente. Diversi scienziati e filosofi hanno provato a darne una definizione, ma il dibattito è ancora aperto e animato, ed è arrivato a coinvolgere le aree di ricerca più disparate, dalla medicina alla fisica. L'integrazione tra queste discipline e l'innovazione tecnologica sono all'opera per capire in che modo l’attività di miliardi di neuroni può produrre la ricchezza del vissuto interiore. Comprendere i meccanismi della coscienza potrebbe portare benefici rilevanti non solo a livello teorico, ma anche in ambito clinico (per monitorare stati di coma o disturbi della coscienza) e tecnologico (nello sviluppo di interfacce uomo-macchina sempre più intuitive).
Gli elementi fondamentali della coscienza
Uno dei modi per studiare la coscienza è scomporla in alcuni componenti chiave. Due degli aspetti più discussi in letteratura sono:
La consapevolezza dell’ambiente e di sé stessi: la capacità di percepire e interpretare stimoli esterni (come suoni, luci o odori) e di monitorare il proprio stato interno (pensieri, sensazioni corporee, emozioni).
L’identità personale: il senso di sé come entità distinta, con una propria storia, un insieme di ricordi e un bagaglio di emozioni che differenziano l’individuo dal resto del mondo.
Quest’ultimo elemento – ossia la percezione di un “io” che vive l’esperienza – risulta particolarmente arduo da spiegare. Il cervello non si limita a elaborare informazioni, ma genera un senso di “prima persona” che rende l’esperienza cosciente intrinsecamente soggettiva, e la inserisce in una continuità temporale che crea il senso di unità di ciò che viviamo. Per indagare l'intrinseca soggettività dell'esperienza cosciente, la filosofia ha forgiato il termine "qualia", per cercare di dare un nome all'insieme di sensazioni, sentimenti e percezioni che caratterizzano il "cosa si prova" in una specifica esperienza, piuttosto che studiarla solo sotto il profilo dei circuiti neurali.
Dal tessuto neuronale all’esperienza soggettiva
Le moderne tecniche di neuroimaging (ad esempio, risonanza magnetica funzionale – fMRI e tomografia a emissione di positroni – PET) hanno permesso di correlare alcuni stati mentali con specifiche aree cerebrali o circuiti neurali. Alcuni dei sistemi maggiormente implicati nello studio della coscienza sono:
Corteccia cerebrale: la corteccia prefrontale è spesso associata all'autoconsapevolezza, mentre le regioni parietali, occipitali e temporali costituiscono la cosiddetta "posterior hot zone", cioè una zona caratterizzata da un'elevata complessità di interconnessioni. Negli stati vegetativi, la corteccia cerebrale si attiva molto meno e interagisce con le altre aree cerebrali in maniera meno complessa. Al contrario, nei soggetti coscienti, la stimolazione della corteccia genera una risposta complessa, variabile nel tempo e nello spazio neurale e non stereotipata. Proprio la complessità di questa risposta, misurata tramite "l'indice di complessità perturbazionale" (PCI), è un indicatore dello stato di coscienza
Sistema talamocorticale: il talamo svolge un ruolo cruciale nell’“instradare” e filtrare le informazioni sensoriali verso la corteccia, un'interazione che sembra fondamentale per creare un’esperienza unitaria e coerente.
Default Mode Network: un insieme di aree corticali e sottocorticali particolarmente attive quando l’individuo è a riposo o impegnato in attività di introspezione (come ricordare eventi personali, immaginare scenari futuri o riflettere su di sé), mentre negli stati vegetativi l'attività del DMN è alterata.
I network cerebrali del Default Mode Network. Credit: Andreashorn, via Wikimedia Commons
Eppure, per quanto si possano mappare le correlazioni tra stati mentali e attivazioni neurali, spiegare come l’attività elettrica e chimica di queste strutture generi l’esperienza soggettiva resta il cosiddetto “problema difficile della coscienza” (hard problem of consciousness), così definito dal filosofo David Chalmers. Inoltre, le posizioni scientifiche sulla coscienza le attribuiscono un carattere globale e distribuito, e ciò rende ancor più difficile pensare di poter trovare il tessuto neurale degli stati coscienti.
Le teorie principali sulla coscienza
Nel tentativo di avvicinarsi a una spiegazione scientifica della coscienza, sono state proposte diverse teorie. Tre tra le più discusse sono:
Teoria dell’Informazione Integrata
Elaborata dal neuroscienziato Giulio Tononi, ipotizza che la coscienza emerga in proporzione alla capacità di un sistema di integrare informazioni. In termini semplificati, maggiore è la complessità con cui le informazioni vengono elaborate in modo unificato, più elevato è il livello di coscienza. Alcune ricerche sperimentali sfruttano misure come il cosiddetto “zap and zip” (stimolazione magnetica transcranica seguita da analisi dell’EEG) per stimare quanta informazione risulti effettivamente integrata dal cervello in un dato stato, come la veglia rispetto al sonno o all'anestesia.
Teoria dell’Orchestrazione Quantistica
Proposta da Roger Penrose e Stuart Hameroff, suggerisce che la coscienza abbia origine all’interno dei microtubuli presenti nei neuroni e sia legata alla meccanica quantistica. Secondo questa teoria, quando una sovrapposizione quantistica viene "orchestrata", cioè organizzata con informazioni cognitive e isolata dall'ambiente, oltre una certa soglia, a quel punto si avrebbe un momento di coscienza. Nonostante questa teoria sia generalmente considerata piuttosto speculativa ha il merito di proporre un approccio alternativo al problema, coinvolgendo fisica e biologia a un livello più profondo.
Teoria dello Spazio di Lavoro Globale
Formulata da Bernard Baars e sviluppata da altri scienziati come Stanislas Dehaene, vede la coscienza come un “palcoscenico” in cui diverse componenti del cervello condividono informazioni. I contenuti che raggiungono lo “spazio di lavoro globale” diventano coscienti perché vengono diffusi e distribuiti tra più sistemi specializzati (attenzione, memoria, linguaggio, ecc.). L'accesso allo spazio di lavoro globale avverrebbe attraverso una competizione: contenuti più "forti" o "urgenti", vinceranno la sfida neuronale e si propagheranno fino a raggiungere le "autostrade del cervello", che li farebbero emergere come coscienti.
Le difficoltà nello studio empirico della coscienza
Indagare la coscienza sperimentalmente presenta ostacoli unici. In primo luogo, si tratta di un fenomeno intrinsecamente soggettivo, difficilmente riducibile a semplici misure comportamentali o a letture di attività cerebrale. Inoltre, i processi neurali alla base di questa esperienza unitaria coinvolgono probabilmente un gran numero di aree e circuiti, che si influenzano a vicenda.
Tecniche come l’EEG (elettroencefalogramma) e la fMRI consentono di correlare l’attività di specifiche regioni cerebrali con la presenza o l’assenza di contenuti coscienti (ad esempio, la percezione di uno stimolo visivo), ma non ci svelano “perché” esattamente quella particolare attivazione sia accompagnata all’esperienza soggettiva. Alcune linee di ricerca tentano di isolare i cosiddetti neural correlates of consciousness (NCC, correlati neurali della coscienza), ovvero le firme neurali minime necessarie e sufficienti per un’esperienza cosciente, ma chiarire il nesso causale fra tali correlati e l’emergere della coscienza è un’impresa ancora lontana dall’essere conclusa.
Nonostante la complessità del tema, la ricerca sulla coscienza continua a progredire: nuove metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva, esperimenti sempre più sofisticati che combinano dati comportamentali e neurofisiologici, e l’integrazione tra discipline diverse (neuroscienze, fisica, filosofia, scienze informatiche) stanno ampliando il ventaglio di ipotesi e strumenti. Il problema della coscienza è così vasto da determinare la cornice di intere altre sfere del sapere, dall'epistemologia alla filosofia del libero arbitrio. Già negli anni '80, Libet poneva il problema dell'illusorietà del libero arbitrio: nei suoi esperimenti tentava di sapere l'esito di atti volontari prima ancora che le persone ne fossero consapevoli, leggendo i cambiamenti elettrici cerebrali che precedevano non solo l'atto, ma anche la consapevolezza.
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