Indagare sul proprio io empirico, conoscere se stessi, è importante, ma non quanto indagare sul Sé spirituale. La prima è una pratica psicologica, la seconda è una pratica meditativa.
Ma è possibile un'esperienza del Sé che non sia una esperienza di un io separato - separato da tutto il resto e ingabbiato in un corpo e in una psiche? Sì, è l'esperienza dell'essere puro e semplice, dell'essere presenti e basta: l' "io sono" senza altre determinazioni.
Seconda la tradizione dell'Advaita Vedanta, questa esperienza è contraddistinta dal trio "sat-cit-ananda": essere, coscienza e beatitudine. La realizzazione di questa presenza del puro essere è chiamata "jnana" ("conoscenza") e coincide con l'illuminazione. Ma non esiste un individuo separato che compia questa esperienza. Sussiste soltanto l' "io sono", un Io o un Sé impersonale.
Quando si realizza questa consapevolezza priva di sforzo in maniera continuativa, si parla di realizzazione del Sé. Non si può comunque dire che un ego l'abbia "ottenuta", poiché essa coincide con il superamento o con la liberazione dal e del sé empirico.
All'inizio, l'ego fa il suo lavoro, dato che svolge una ricerca sul Sé universale e si sforza di ritrovare la Totalità. Non si tratta tanto di un controllo della mente, quanto dell'essere testimoni di tutto ciò che ci capita in modo distaccato, senza esserne coinvolti.
Si ricerca la propria origine, non più confinata in un corpo e in una psiche, e non toccata né dalla nascita né dalla morte, in quanto infinita ed eterna.
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