Quando in meditazione si parla di mente, non ci si riferisce alla semplice mente razionale, né a qualche funzione specifica. Ma semplicemente al nostro essere consapevoli. La mente è ciò che siamo, in essenza.
Quando consigliamo di svuotare la mente, invitiamo ad oltrepassare l'orizzonte degli eventi fenomenici per situarci all'origine della Singolarità che proietta questo cosmo di ombre e di riflessi - una Singolarità che è sostanzialmente una coscienza.
Se mi metto davanti ad uno specchio, vedo un'immagine senza sostanza. Ma anche il corpo che produce quel riflesso è a sua volta un riflesso. All'origine non c'è niente di ciò che vedo e percepisco, ma una coscienza che proietta immagini che noi, poi, reifichiamo.
Non possiamo cogliere questa Mente originale se non ci svuotiamo di pensieri, di volizioni, di desideri e di attaccamenti, e se non rimane soltanto la consapevolezza della consapevolezza - uno stato di chiarezza privo di concetti.
venerdì 31 gennaio 2014
L'amore
D'accordo l'amore per un uomo o per una donna. Ma...
... ma bisogna capire che questo amore per una persona che diventerà vecchia, che è limitata come noi, che un po' ci ama e un po' no, che come noi è fatta di carne e di ossa, che come noi è piena di contraddizioni e di divisioni, che come noi un giorno morirà... è un'esigenza che non potrà mai essere soddisfatta da nessun essere umano, da nessuna cosa terrena. L'amore umano, quello nostro o quello altrui, prima o poi ci deluderà.
Nell'amore c'è dunque sempre un'insoddisfazione, un'imperfezione, una mancanza. In fondo, ciò che amiamo sta al di là di qualsiasi oggetto o essere definito. Sì, il nostro amore è un'esigenza di infinito.
E dunque bisogna utilizzarlo come una scala per spiccare un ulteriore balzo. A questo serve l'amore.
... ma bisogna capire che questo amore per una persona che diventerà vecchia, che è limitata come noi, che un po' ci ama e un po' no, che come noi è fatta di carne e di ossa, che come noi è piena di contraddizioni e di divisioni, che come noi un giorno morirà... è un'esigenza che non potrà mai essere soddisfatta da nessun essere umano, da nessuna cosa terrena. L'amore umano, quello nostro o quello altrui, prima o poi ci deluderà.
Nell'amore c'è dunque sempre un'insoddisfazione, un'imperfezione, una mancanza. In fondo, ciò che amiamo sta al di là di qualsiasi oggetto o essere definito. Sì, il nostro amore è un'esigenza di infinito.
E dunque bisogna utilizzarlo come una scala per spiccare un ulteriore balzo. A questo serve l'amore.
mercoledì 29 gennaio 2014
La pratica della calma
Il modo migliore per raggiungere la calma è stare a lungo immobili in un posto sereno e tranquillo. Da un'ora in su. Stare seduti in un modo comodo e rilassato, senza cercare né volere nulla. Magari davanti a una finestra o in un ambiente naturale. Forse vi addormenterete. Va bene lo stesso. Dopo il sonno, tutto sarà più calmo, e vedrete più chiaro; quando ci si risveglia, il cervello è sempre più limpido e fresco.
La mente si acquieta solo se si rimane a lungo immobili e silenziosi. Serve a poco cercare di scacciare volontariamente i pensieri... se non c'è la calma, se non c'è un lungo periodo di immobilità, di riposo e di silenzio. La calma viene da sé - non può essere forzata.
Ovviamente, all'inizio, la calma ottenuta durerà poco. Ma, se si insiste nella pratica, durerà sempre di più. Soprattutto si avvertirà la necessità di questa pratica e dei suoi benefici.
Se non si è calmi, si è come sugheri sballottati dalle onde, su e giù, avanti e indietro, senza tregua, senza pace. E sono gli altri e gli avvenimenti sociali che ci trascinano.
Ottenendo un po' di calma, otterremo anche una visione chiara della nostra condizione - della confusione, del caos e del rumore in cui viviamo abitualmente. E penseremo: "Siamo pazzi!"
Proprio così: lo stato normale è una condizione di follia collettiva. Tutti si agitano e urlano, tutti si scontrano.
La calma è la condizione cui tutti aspirano, anche se non se ne rendono conto. Lottano accanitamente per accumulare qualcosa che dovrebbe renderli calmi. Ma quello che cercano ce l'avevano già in partenza.
Anche se non avete un centesimo, anche se siete soli, anche se nessuno vi aiuta, potrete con questo metodo ottenere la calma. E con la calma otterrete una visione chiara. E con una visione chiara, risolverete meglio i vostri problemi. Anzi, i vostri problemi si risolveranno.
La mente si acquieta solo se si rimane a lungo immobili e silenziosi. Serve a poco cercare di scacciare volontariamente i pensieri... se non c'è la calma, se non c'è un lungo periodo di immobilità, di riposo e di silenzio. La calma viene da sé - non può essere forzata.
Ovviamente, all'inizio, la calma ottenuta durerà poco. Ma, se si insiste nella pratica, durerà sempre di più. Soprattutto si avvertirà la necessità di questa pratica e dei suoi benefici.
Se non si è calmi, si è come sugheri sballottati dalle onde, su e giù, avanti e indietro, senza tregua, senza pace. E sono gli altri e gli avvenimenti sociali che ci trascinano.
Ottenendo un po' di calma, otterremo anche una visione chiara della nostra condizione - della confusione, del caos e del rumore in cui viviamo abitualmente. E penseremo: "Siamo pazzi!"
Proprio così: lo stato normale è una condizione di follia collettiva. Tutti si agitano e urlano, tutti si scontrano.
La calma è la condizione cui tutti aspirano, anche se non se ne rendono conto. Lottano accanitamente per accumulare qualcosa che dovrebbe renderli calmi. Ma quello che cercano ce l'avevano già in partenza.
Anche se non avete un centesimo, anche se siete soli, anche se nessuno vi aiuta, potrete con questo metodo ottenere la calma. E con la calma otterrete una visione chiara. E con una visione chiara, risolverete meglio i vostri problemi. Anzi, i vostri problemi si risolveranno.
martedì 28 gennaio 2014
Calmare la mente
Molti credono che l'illuminazione sia uno stato in cui si vedono e si capiscono cose straordinarie. Ma c'è un'illuminazione che è piuttosto trovare uno stato che è straordinariamente normale: lo stato dell'equilibrio, della serenità, del distacco, della leggerezza, della visione equanime, della saggezza.
La calma della mente è uno di questi stati d'animo. Non si tratta solo di calmare i pensieri ma di acquietare l'intero complesso psico-fisico. Non sentire più le varie tensioni esistenziali - del confronto, della lotta, del conflitto, della divisione rispetto agli altri e a se stessi. Sentire di non dover arrivare da nessuna parte.
Trovarsi all'improvviso perfettamente normali, ordinari, centrati e soddisfatti di esserlo, senza ambizioni, senza pretese, senza tensioni. Sapersi accontentare del presente esattamente per quello che è. Si tratta di momenti rari - e per questo eccezionali. Perfettamente rilassati e distesi. Né stanchi né sovreccitati. Lucidi. Sani.
Trovarsi quasi miracolosamente a proprio agio, non perché si è vinto un terno al lotto o ci è innamorati (esaltazione squilibrata), ma perché ci si trova bene così come si è, propria là dove si è, senza ulteriori necessità. Allora non c'è neppure bisogno di una comprensione razionale. Si vede con chiarezza, gioiosamente, naturalmente.
Quindi, prima di cercare stati alterati di coscienza, si cerchi questo tipo di serena illuminazione. Senza sforzarsi, però... altrimenti si è già fallito.
Come ci si arriva? Ovviamente addestrandosi giorno per giorno alla calma e comprendendo il suo valore. (Ovviamente all'inizio un minimo di sforzo e di intenzionalità ci vuole). Per un po' non si ottiene niente, o si ottengono brevi esperienze. Ma un bel giorno... L'importante è la metodicità, anche quando (o proprio perché) la vita è un tumulto.
Sembra strano, ma calmare la mente - una mente perfettamente calma - è una forma di illuminazione... oltre che di benedizione. Anche se non si ottiene altro, è comunque un conseguimento essenziale sulla via.
Le idee migliori, le ispirazioni migliori, nascono da questo stato d'animo. Sembra poco, sembra minimalista... e invece è tanto. Se poi riusciamo a conservare questo stato o un riflesso di questo stato anche quando riprendiamo le attività più stressanti, abbiamo conquistato una realizzazione fondamentale.
Ce ne rendiamo conto quando riprende lo scontento, l'insoddisfazione, la mancanza, il desiderio, la lotta, l'ansia... cioè, la nostra vita abituale - che però non è né normale né naturale.
Come si capisce, calmare la mente è calmare la nostra vita, è calmare la nostra anima.
La calma della mente è uno di questi stati d'animo. Non si tratta solo di calmare i pensieri ma di acquietare l'intero complesso psico-fisico. Non sentire più le varie tensioni esistenziali - del confronto, della lotta, del conflitto, della divisione rispetto agli altri e a se stessi. Sentire di non dover arrivare da nessuna parte.
Trovarsi all'improvviso perfettamente normali, ordinari, centrati e soddisfatti di esserlo, senza ambizioni, senza pretese, senza tensioni. Sapersi accontentare del presente esattamente per quello che è. Si tratta di momenti rari - e per questo eccezionali. Perfettamente rilassati e distesi. Né stanchi né sovreccitati. Lucidi. Sani.
Trovarsi quasi miracolosamente a proprio agio, non perché si è vinto un terno al lotto o ci è innamorati (esaltazione squilibrata), ma perché ci si trova bene così come si è, propria là dove si è, senza ulteriori necessità. Allora non c'è neppure bisogno di una comprensione razionale. Si vede con chiarezza, gioiosamente, naturalmente.
Quindi, prima di cercare stati alterati di coscienza, si cerchi questo tipo di serena illuminazione. Senza sforzarsi, però... altrimenti si è già fallito.
Come ci si arriva? Ovviamente addestrandosi giorno per giorno alla calma e comprendendo il suo valore. (Ovviamente all'inizio un minimo di sforzo e di intenzionalità ci vuole). Per un po' non si ottiene niente, o si ottengono brevi esperienze. Ma un bel giorno... L'importante è la metodicità, anche quando (o proprio perché) la vita è un tumulto.
Sembra strano, ma calmare la mente - una mente perfettamente calma - è una forma di illuminazione... oltre che di benedizione. Anche se non si ottiene altro, è comunque un conseguimento essenziale sulla via.
Le idee migliori, le ispirazioni migliori, nascono da questo stato d'animo. Sembra poco, sembra minimalista... e invece è tanto. Se poi riusciamo a conservare questo stato o un riflesso di questo stato anche quando riprendiamo le attività più stressanti, abbiamo conquistato una realizzazione fondamentale.
Ce ne rendiamo conto quando riprende lo scontento, l'insoddisfazione, la mancanza, il desiderio, la lotta, l'ansia... cioè, la nostra vita abituale - che però non è né normale né naturale.
Come si capisce, calmare la mente è calmare la nostra vita, è calmare la nostra anima.
lunedì 27 gennaio 2014
I giorni della memoria
È inutile ricordare dei semplici fatti se non si capisce il perché di quei fatti. Nel bailamme di discorsi retorici e di filmetti che rievocano i campi di sterminio degli ebrei, non si dice mai che lo sterminio nazista fu solo l'ultima manifestazione di un antisemitismo che è sempre stato coltivato dai cristiani. Potremmo dire che la responsabilità ultima è proprio dei Vangeli, dove, al momento della condanna, Ponzio Pilato si lava le mani e dice al popolo ebraico: "Non sono responsabile di questo sangue; vedetevela voi!" E il popolo risponde: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli!" (Matteo 27, 25). E poi c'è la parabola dei "vignaioli perfidi", dove Gesù stesso parla del solito Dio-Padrone, che un giorno "farà morire miseramente quei malvagi", ossia i vignaioli che non solo avevano bastonato i servi inviati dal Padrone ma ne avevano anche ucciso "il figlio", "l'erede". Matteo commenta: "Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro..." (Mt 21, 45; Mc 12, 1-12; Lc 20, 9-19).
Sono questi brani che fomentarono l'odio anti-ebraico dei cristiani e di molti Padri della Chiesa, e li portarono a intraprendere, quando andava bene, la conversione forzata degli ebrei e, quando andava male, il loro sterminio attraverso i numerosi pogrom che andarono avanti dalle origini del cristianesimo fino ad Hitler.
Ciò che non si perdonava agli ebrei era non solo l'uccisione di Gesù, ma anche il non averlo voluto riconoscere come Messia.
La colpa è dunque dei Vangeli e dei cristiani, i quali o se ne stettero zitti mentre gli ebrei dei vari paesi europei venivano portati via o collaborarono a catturarli. In Italia, per esempio, non un cristiano alzò la voce quando furono promulgate le leggi razziali. E la Chiesa, sempre pronta a difendere i feti, si guardò bene dal protestare e non aprì bocca mentre gli ebrei venivano deportati. In realtà, con il nazismo, si realizzava l'antico progetto dei Padri della Chiesa di sopprimere tutti gli ebrei.
Il Papa polacco aveva fatto qualche timido accenno alle responsabilità dei cristiani nello sterminio degli ebrei. Ma poi con il Papa tedesco tutto è stato messo a tacere. E così se chiedi oggi ad un giovane perché tutto questo è avvenuto, non saprà rispondere o ti parlerà di un atto di follia di un solo individuo, Hitler.
Ebbene, in questi giorni di rievocazioni, non sento mai parlare delle responsabilità ultime della Shoah. Neppure in Israele si ha il coraggio di ammettere questa verità. Ma, se non si va al fondo di questo problema, non si può escludere un ritorno dell'antisemitismo, che cova sempre sotterraneamente sotto molti cristiani, e qualche nuovo pogrom.
Sono questi brani che fomentarono l'odio anti-ebraico dei cristiani e di molti Padri della Chiesa, e li portarono a intraprendere, quando andava bene, la conversione forzata degli ebrei e, quando andava male, il loro sterminio attraverso i numerosi pogrom che andarono avanti dalle origini del cristianesimo fino ad Hitler.
Ciò che non si perdonava agli ebrei era non solo l'uccisione di Gesù, ma anche il non averlo voluto riconoscere come Messia.
La colpa è dunque dei Vangeli e dei cristiani, i quali o se ne stettero zitti mentre gli ebrei dei vari paesi europei venivano portati via o collaborarono a catturarli. In Italia, per esempio, non un cristiano alzò la voce quando furono promulgate le leggi razziali. E la Chiesa, sempre pronta a difendere i feti, si guardò bene dal protestare e non aprì bocca mentre gli ebrei venivano deportati. In realtà, con il nazismo, si realizzava l'antico progetto dei Padri della Chiesa di sopprimere tutti gli ebrei.
Il Papa polacco aveva fatto qualche timido accenno alle responsabilità dei cristiani nello sterminio degli ebrei. Ma poi con il Papa tedesco tutto è stato messo a tacere. E così se chiedi oggi ad un giovane perché tutto questo è avvenuto, non saprà rispondere o ti parlerà di un atto di follia di un solo individuo, Hitler.
Ebbene, in questi giorni di rievocazioni, non sento mai parlare delle responsabilità ultime della Shoah. Neppure in Israele si ha il coraggio di ammettere questa verità. Ma, se non si va al fondo di questo problema, non si può escludere un ritorno dell'antisemitismo, che cova sempre sotterraneamente sotto molti cristiani, e qualche nuovo pogrom.
domenica 26 gennaio 2014
Il volto di Dio
In principio era il Verbo, cioè la Parola? Sbagliato. Come avrebbe fatto la Parola ad esprimersi se non fosse stata preceduta dal Silenzio? Come si sarebbe distinta dal "rumore di fondo"? La musica non potrebbe esistere senza il silenzio.
In principio era l'Essere? Sbagliato. Come avrebbe fatto l'Essere a staccarsi dallo sfondo... se non ci fosse stato appunto il Vuoto? Non un semplice Non-essere, che è il contrario dell'Essere; ma un Vuoto che è gravido di potenzialità.
Perché questo discorso che può apparire astrattamente filosofico? Perché si sappia qual è la realtà ultima o prima, perché ci si sappia adeguare quando si cerca l'Origine, perché non ci si fermi al mondo degli dei, che sono semplici ipostasi.
In principio era l'Essere? Sbagliato. Come avrebbe fatto l'Essere a staccarsi dallo sfondo... se non ci fosse stato appunto il Vuoto? Non un semplice Non-essere, che è il contrario dell'Essere; ma un Vuoto che è gravido di potenzialità.
Perché questo discorso che può apparire astrattamente filosofico? Perché si sappia qual è la realtà ultima o prima, perché ci si sappia adeguare quando si cerca l'Origine, perché non ci si fermi al mondo degli dei, che sono semplici ipostasi.
L'antisemitismo
Nel clima d'ignoranza generale, molti credono che Hitler fosse un pazzo che un giorno si mise a perseguitare gli ebrei per pura malvagità. Ma che fastidio gli potevano dare gli ebrei? La verità è che i massacri nazisti furono solo le ultime manifestazioni di un antisemitismo europeo che anche nei secoli precedenti aveva tentato di sterminare questo popolo. Nei paesi cristiani, raramente la sua esistenza fu sicura. In ogni momento potevano scatenarsi dei pogrom contro le comunità ebraiche. E molti se ne scatenarono in tutta Europa. Perché mai?
Perché i popoli cristiani non potevano sopportare questo popolo che negava che il Messia fosse venuto e fecero continui tentativi o di convertirlo con la forza o di sterminarlo. Una mappa dei peggiori pogrom va dalla Spagna (1492) al Portogallo (1497), dalla Francia (1242, 1348, 1306, 1394, 1395) alla Gran Bretagna (1190, 1194, 1290), dalla Germania (1096, 1348, 1350) alla Polonia, dalla Lituania (1495) alla Russia (1648). Il primo ghetto fu costituito a Venezia nel 1516.
L'antisemitismo ha dunque antiche radici storiche e religiose, e parte direttamente dai Vangeli, con le loro frasi in cui si attribuiva la colpa dell'uccisione di Gesù all'intero popolo giudaico. Come si vede, non tutte le radici del cristianesimo hanno dato buoni frutti e sono da conservare.
I grandi nemici degli ebrei furono e sono proprio i cristiani. Molto meno i musulmani, che non vedevano nel giudaismo una minaccia alla loro fede e che consideravano gli ebrei un popolo che un giorno si sarebbe convertito - ma non con la violenza. Oggi, l'odio dei musulmani è fomentato dal fatto che gli ebrei sono tornati in Palestina, strappando le terre ai legittimi proprietari.
In conclusione, finché esisterà il cristianesimo, esisterà l'antisemitismo. Come si vede ancora oggi in Francia.
Perché i popoli cristiani non potevano sopportare questo popolo che negava che il Messia fosse venuto e fecero continui tentativi o di convertirlo con la forza o di sterminarlo. Una mappa dei peggiori pogrom va dalla Spagna (1492) al Portogallo (1497), dalla Francia (1242, 1348, 1306, 1394, 1395) alla Gran Bretagna (1190, 1194, 1290), dalla Germania (1096, 1348, 1350) alla Polonia, dalla Lituania (1495) alla Russia (1648). Il primo ghetto fu costituito a Venezia nel 1516.
L'antisemitismo ha dunque antiche radici storiche e religiose, e parte direttamente dai Vangeli, con le loro frasi in cui si attribuiva la colpa dell'uccisione di Gesù all'intero popolo giudaico. Come si vede, non tutte le radici del cristianesimo hanno dato buoni frutti e sono da conservare.
I grandi nemici degli ebrei furono e sono proprio i cristiani. Molto meno i musulmani, che non vedevano nel giudaismo una minaccia alla loro fede e che consideravano gli ebrei un popolo che un giorno si sarebbe convertito - ma non con la violenza. Oggi, l'odio dei musulmani è fomentato dal fatto che gli ebrei sono tornati in Palestina, strappando le terre ai legittimi proprietari.
In conclusione, finché esisterà il cristianesimo, esisterà l'antisemitismo. Come si vede ancora oggi in Francia.
sabato 25 gennaio 2014
Baby predicatori
Non mi meraviglio che ci siano bambini che predicano il Vangelo o il Corano. L'ho sempre detto: le religioni di massa, con i loro Padreterni, sono fenomeni infantili, miti che vanno bene per un'umanità la cui evoluzione mentale e psicologica è quella di un bambino di dieci anni.
giovedì 23 gennaio 2014
Vedere con chiarezza
Noi vogliamo sempre qualcosa, tendiamo sempre a qualcosa, miriamo sempre a qualcosa... anche quando desideriamo l'illuminazione, la liberazione o la redenzione. Si tratta sempre di desideri dell'ego, di tentativi di realizzazione di tipo egoico. Anche in campo spirituale e religioso, si cerca di "salvare la propria anima." C'è sempre un ego che vuole perpetuarsi. Gonfio d'orgoglio.
Ma in meditazione non dobbiamo tendere a nulla, dobbiamo liberare la mente dal volere qualcosa. In tal senso si parla di fare il vuoto o il silenzio.
Quando la mente è vuota, priva di giudizi, di concetti, di intenzioni, di pensieri, di elaborazioni intellettuali, di attaccamenti o di rifiuti, allora si vedono le cose per quel che sono, con chiarezza. Non c'è altra via.
Ma in meditazione non dobbiamo tendere a nulla, dobbiamo liberare la mente dal volere qualcosa. In tal senso si parla di fare il vuoto o il silenzio.
Quando la mente è vuota, priva di giudizi, di concetti, di intenzioni, di pensieri, di elaborazioni intellettuali, di attaccamenti o di rifiuti, allora si vedono le cose per quel che sono, con chiarezza. Non c'è altra via.
martedì 21 gennaio 2014
Chi siamo?
Noi ci crediamo individui, esseri separati e indipendenti, e crediamo di poterci osservare così come osserviamo un oggetto qualsiasi. Ma non è così.
Prima di tutto, non siamo esseri separati, né dagli altri né dal mondo. Esistiamo perché esistono e sono esistiti altri esseri come noi. Siamo tutti interconnessi, sia orizzontalmente sia verticalmente nel tempo. Nello stesso tempo, siamo parte di un ambiente che fa parte di un mondo che fa parte di un universo, ecc. Siamo fatti delle stesse particelle di cui sono fatte tutte le cose nel cosmo - particelle che sono soltanto cariche, onde o pacchetti d'energia.
Quando poi cerchiamo di conoscere noi stessi, incontriamo una difficoltà insuperabile. Noi siamo sempre il soggetto che conosce, non l'oggetto che conosciamo. Nel momento in cui ci pensiamo, in realtà ci rappresentiamo, ma non siamo più il soggetto conoscente.
Naturalmente abbiamo un'identità personale, anche se si tratta di qualcosa di illusorio che, oltretutto, è condizionato pesantemente.
Ma chi siamo veramente? Certo possiamo fornire dati anagrafici, fisici, psicologici... Ma si tratta di elementi parziali, che non ci dicono ancora chi siamo. Certe parti di noi ci restano sconosciute. Se qualcuno ci avesse seguiti e osservati fin dalla nascita saprebbe molte cose, ma non saprebbe ancora chi siamo. E noi stessi non lo sappiamo.
Allora, più che fornire dati parziali, più che ricordare il passato, più che porci domande, dobbiamo metterci in silenzio, senza pensare, senza proiettare, senza concettualizzare, senza rappresentare qualcosa di noi. Dobbiamo cercare di "coglierci", non di pensarci. Dobbiamo cercare di rilassarci, di interrompere la tensione esistenziale, di arrestare l'interminabile produzione di discorsi interiori, di ricordi, di previsioni, di preoccupazioni, di ansie e di fantasie, eccetera eccetera... Dobbiamo insomma lasciar da parte la frenetica attività mentale che ci abita e che ci impedisce di coglierci.
Siamo come l'uomo che cerca di afferrare la propria ombra, siamo come il cane che cerca di prendere la propria coda. Non serve a niente correre sempre di più. Dobbiamo fermarci.
Prima di tutto, non siamo esseri separati, né dagli altri né dal mondo. Esistiamo perché esistono e sono esistiti altri esseri come noi. Siamo tutti interconnessi, sia orizzontalmente sia verticalmente nel tempo. Nello stesso tempo, siamo parte di un ambiente che fa parte di un mondo che fa parte di un universo, ecc. Siamo fatti delle stesse particelle di cui sono fatte tutte le cose nel cosmo - particelle che sono soltanto cariche, onde o pacchetti d'energia.
Quando poi cerchiamo di conoscere noi stessi, incontriamo una difficoltà insuperabile. Noi siamo sempre il soggetto che conosce, non l'oggetto che conosciamo. Nel momento in cui ci pensiamo, in realtà ci rappresentiamo, ma non siamo più il soggetto conoscente.
Naturalmente abbiamo un'identità personale, anche se si tratta di qualcosa di illusorio che, oltretutto, è condizionato pesantemente.
Ma chi siamo veramente? Certo possiamo fornire dati anagrafici, fisici, psicologici... Ma si tratta di elementi parziali, che non ci dicono ancora chi siamo. Certe parti di noi ci restano sconosciute. Se qualcuno ci avesse seguiti e osservati fin dalla nascita saprebbe molte cose, ma non saprebbe ancora chi siamo. E noi stessi non lo sappiamo.
Allora, più che fornire dati parziali, più che ricordare il passato, più che porci domande, dobbiamo metterci in silenzio, senza pensare, senza proiettare, senza concettualizzare, senza rappresentare qualcosa di noi. Dobbiamo cercare di "coglierci", non di pensarci. Dobbiamo cercare di rilassarci, di interrompere la tensione esistenziale, di arrestare l'interminabile produzione di discorsi interiori, di ricordi, di previsioni, di preoccupazioni, di ansie e di fantasie, eccetera eccetera... Dobbiamo insomma lasciar da parte la frenetica attività mentale che ci abita e che ci impedisce di coglierci.
Siamo come l'uomo che cerca di afferrare la propria ombra, siamo come il cane che cerca di prendere la propria coda. Non serve a niente correre sempre di più. Dobbiamo fermarci.
lunedì 20 gennaio 2014
Gli interpreti di Dio
È un'antica pretesa quella dei sacerdoti di essere mediatori tra l'uomo e Dio. Un'idea curiale, burocratica e gerarchica... sostenuta ovviamente da una casta che in tal modo ottiene una funzione, un riconoscimento e una ricompensa. Nell'India antica, per esempio, esistevano i brahmani, i quali affermavano che il rapporto con il divino e anche l'ordine sociale dipendevano dai loro rituali. Oggi, questa concezione è ancora presente nel cristianesimo, dove il prete si pone come l'unico interprete autorizzato della volontà divina.
Non a caso lo ritroviamo in tutte le cerimonie pubbliche, a fianco delle autorità statali.
Il cattolico si rivolge al prete un po' come si rivolge ad un patronato. Spera di essere trattato con più considerazione e con più cura; spera di poter mercanteggiare meglio.
Ma domandiamoci: che bisogno c'è di ricorrere a sacerdoti e a rituali per rivolgersi a Dio? Chi ci vieta di farlo direttamente, in prima persona? Crediamo che Dio sia una specie di Papa con tutta la sua corte, che bisogna ingraziarsi?
Chi ci ha messo in testa un'idea del genere? Chi, se non i preti stessi?
Dio non solo non è un Potere esterno. Addirittura è... ciascuno di noi. Ma, poiché non ne siamo consapevoli, ci rivolgiamo prima all'esterno e poi ad un mediatore. E rivolgendoci all'esterno e ad un mediatore, ecco che manchiamo completamente il divino. Siamo irrimediabilmente divisi da Dio. Cioè, è Dio che si divide da se stesso.
Così ci toccherà rimandare tutto al prossimo giro. Cioè, Dio dovrà rimandare tutto al prossimo giro.
Non a caso lo ritroviamo in tutte le cerimonie pubbliche, a fianco delle autorità statali.
Il cattolico si rivolge al prete un po' come si rivolge ad un patronato. Spera di essere trattato con più considerazione e con più cura; spera di poter mercanteggiare meglio.
Ma domandiamoci: che bisogno c'è di ricorrere a sacerdoti e a rituali per rivolgersi a Dio? Chi ci vieta di farlo direttamente, in prima persona? Crediamo che Dio sia una specie di Papa con tutta la sua corte, che bisogna ingraziarsi?
Chi ci ha messo in testa un'idea del genere? Chi, se non i preti stessi?
Dio non solo non è un Potere esterno. Addirittura è... ciascuno di noi. Ma, poiché non ne siamo consapevoli, ci rivolgiamo prima all'esterno e poi ad un mediatore. E rivolgendoci all'esterno e ad un mediatore, ecco che manchiamo completamente il divino. Siamo irrimediabilmente divisi da Dio. Cioè, è Dio che si divide da se stesso.
Così ci toccherà rimandare tutto al prossimo giro. Cioè, Dio dovrà rimandare tutto al prossimo giro.
domenica 19 gennaio 2014
L'agnello di Dio
I Vangeli cercano di presentarci Gesù come l'agnello di Dio che viene immolato per la salvezza di tutti. "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" Giovanni 1,29. Certo, questo era l'unico modo che avevano per giustificare quello che obiettivamente appare come il fallimento di Gesù.
Ma resta il fatto che il Dio in cui credevano quegli uomini era ancora quello barbarico dei sacrifici di sangue, quello degli animali o degli uomini immolati per placare l'ira di Dio. Era una visione arcaica e sanguinaria.
Visione arcaica e sanguinaria che purtroppo contraddistingue ancora il cristianesimo, che appare una religione vecchia e superata, una religione materialista, un corpo estraneo nel mondo moderno, non all'altezza dei tempi.
Una delle grandi colpe del cristianesimo è proprio questa: di tenere la mente di tanti uomini immersa in idee obsolete sul divino.
Ma resta il fatto che il Dio in cui credevano quegli uomini era ancora quello barbarico dei sacrifici di sangue, quello degli animali o degli uomini immolati per placare l'ira di Dio. Era una visione arcaica e sanguinaria.
Visione arcaica e sanguinaria che purtroppo contraddistingue ancora il cristianesimo, che appare una religione vecchia e superata, una religione materialista, un corpo estraneo nel mondo moderno, non all'altezza dei tempi.
Una delle grandi colpe del cristianesimo è proprio questa: di tenere la mente di tanti uomini immersa in idee obsolete sul divino.
sabato 18 gennaio 2014
La volontà divina
Un fulmine ha colpito la gigantesca statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro, mozzandogli le dita di una mano. Una volta i fulmini erano considerati segni del Cielo.
Quale sarà la volontà del Cielo? E c'è una volontà o, come temo, un'assoluta indifferenza, anzi un'assoluta incomunicabilità?
Ma perché si costruiscono chiese, perché si costruiscono statue? Per un bisogno di Dio o per un bisogno degli uomini?
E quale sarebbe questo bisogno? Quello di confinare il divino in qualcosa costruito dall'uomo? Quello di poter trattare in qualche modo con la trascendenza? Quello di acquisire qualche merito?
Pretese di menti infantili, che di Dio non hanno capito nulla.
Quale sarà la volontà del Cielo? E c'è una volontà o, come temo, un'assoluta indifferenza, anzi un'assoluta incomunicabilità?
Ma perché si costruiscono chiese, perché si costruiscono statue? Per un bisogno di Dio o per un bisogno degli uomini?
E quale sarebbe questo bisogno? Quello di confinare il divino in qualcosa costruito dall'uomo? Quello di poter trattare in qualche modo con la trascendenza? Quello di acquisire qualche merito?
Pretese di menti infantili, che di Dio non hanno capito nulla.
giovedì 16 gennaio 2014
La via spirituale
Gli uomini si trovano a vari livelli di evoluzione. Ci sono quelli che sono totalmente identificati con ciò che fanno e con ciò che pensano, ossia con l'esistenza terrena, e ad essi sarebbe inutile parlare di spiritualità, perché non ascolterebbero nemmeno; hanno altre cose da fare: devono pensare a far denaro, a fare figli, a diventare importanti o a conquistare tutte le donne o gli uomini possibili. Poi ci sono quelli che hanno compreso di essere soltanto fenomeni transitori e illusori, ma che pensano di non poter far nulla per cambiare la situazione. Quindi ci sono coloro che vorrebbero fare qualcosa e che si impegnano con questa o quella pratica. E naturalmente ci sono coloro che si trovano a innumerevoli livelli intermedi.
Quando si capisce che il mondo è una specie di fantasma e che la vita è una specie di sogno, ci si trova in realtà all'inizio del percorso. Questo è il punto di partenza: il senso di irrealtà, il senso di insoddisfazione, il dubbio, capire che la felicità non può consistere nell'avere il maggior numero possibile di cose.
Una volta raggiunto questo barlume di comprensione, il cammino è avviato. Potranno esserci deviazioni, soste, ritardi, ripensamenti ed errori, ma la via è segnata: non si potrà più tornare a quella grezza concezione di un mondo soltanto materiale, in cui bisogna arraffare il più possibile. Si è capito che la nostra realizzazione non avverrà mai a quel livello, ma che è necessario sviluppare una visione spirituale delle cose.
Per andare avanti su questa strada, ci vorrà forse una vita intera... o anche più vite. Però il dado è tratto.
Quando si capisce che il mondo è una specie di fantasma e che la vita è una specie di sogno, ci si trova in realtà all'inizio del percorso. Questo è il punto di partenza: il senso di irrealtà, il senso di insoddisfazione, il dubbio, capire che la felicità non può consistere nell'avere il maggior numero possibile di cose.
Una volta raggiunto questo barlume di comprensione, il cammino è avviato. Potranno esserci deviazioni, soste, ritardi, ripensamenti ed errori, ma la via è segnata: non si potrà più tornare a quella grezza concezione di un mondo soltanto materiale, in cui bisogna arraffare il più possibile. Si è capito che la nostra realizzazione non avverrà mai a quel livello, ma che è necessario sviluppare una visione spirituale delle cose.
Per andare avanti su questa strada, ci vorrà forse una vita intera... o anche più vite. Però il dado è tratto.
Il Diavolo
Si capisce perché i credenti siano così restii ad abbandonare la credenza in Satana. In fondo, come succede sempre con gli opposti complementari, il Diavolo è il più grande sostenitore della causa di Dio.
Così, chi crede nel Diavolo crede in Dio e chi crede in Dio crede nel Diavolo. I due sono come le due facce di una stessa medaglia. D'altronde, la loro comune origine etimologica è evidente in quel prefisso "di" che indica dualità.
Nella stessa Bibbia, il "serpente" è all'inizio al servizio di Dio. Nel racconto della Genesi, dove il "serpente" inganna Eva, si capisce che lavora alla dipendenze di Dio, anzi è una maschera di Dio stesso, dal momento che contribuisce alla caduta (e alla crescita) della prima coppia, cui si aprono finalmente gli occhi.
Nel libro di Giobbe (2, 1-7), non solo Satana è al servizio del Signore, ma è l'avvocato del processo. D'altra parte, se Dio era onnisciente, come non avrebbe previsto l'intervento del suo alter ego?
Ecco perché nel Vangelo di Giovanni (3, 14), Gesù viene paragonato al "serpente": "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo".
Insomma, Dio e il Diavolo sono una coppia inseparabile: dove va l'uno, va anche l'altro. Soltanto se si concepisce il divino al di fuori della dualità, si esce da questo giochetto infantile delle maschere e si può incominciare a capire qualcosa del divino.
Così, chi crede nel Diavolo crede in Dio e chi crede in Dio crede nel Diavolo. I due sono come le due facce di una stessa medaglia. D'altronde, la loro comune origine etimologica è evidente in quel prefisso "di" che indica dualità.
Nella stessa Bibbia, il "serpente" è all'inizio al servizio di Dio. Nel racconto della Genesi, dove il "serpente" inganna Eva, si capisce che lavora alla dipendenze di Dio, anzi è una maschera di Dio stesso, dal momento che contribuisce alla caduta (e alla crescita) della prima coppia, cui si aprono finalmente gli occhi.
Nel libro di Giobbe (2, 1-7), non solo Satana è al servizio del Signore, ma è l'avvocato del processo. D'altra parte, se Dio era onnisciente, come non avrebbe previsto l'intervento del suo alter ego?
Ecco perché nel Vangelo di Giovanni (3, 14), Gesù viene paragonato al "serpente": "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo".
Insomma, Dio e il Diavolo sono una coppia inseparabile: dove va l'uno, va anche l'altro. Soltanto se si concepisce il divino al di fuori della dualità, si esce da questo giochetto infantile delle maschere e si può incominciare a capire qualcosa del divino.
La vergogna della Chiesa
Alludendo ai preti pedofili, una categoria non in via d'estinzione, Papa Francesco ha detto che sono "la vergogna della Chiesa". Ed è vero. Ma perché così tanti pervertiti sono presenti in un'istituzione che qualcuno crede sia d'origine divina mentre mostra di essere anche troppo umana?
Perché la Chiesa pretende da loro una repressione sessuale che è, tra l'altro, la negazione di uno dei diritti naturali dell'uomo. E, quando si reprime l'energia sessuale, essa finisce per prendere vie traverse, quale appunto la pedofilia.
Qualche giorno fa, è morto un prete che aveva stuprato una quattordicenne. Dalla violenza era nato un bambino che il sacerdote, nonostante la prova del Dna, non aveva mai voluto riconoscere.
Il figlio, nato da quella violenza, non ha voluto partecipare ai funerali.
Ha fatto bene.
Perché la Chiesa pretende da loro una repressione sessuale che è, tra l'altro, la negazione di uno dei diritti naturali dell'uomo. E, quando si reprime l'energia sessuale, essa finisce per prendere vie traverse, quale appunto la pedofilia.
Qualche giorno fa, è morto un prete che aveva stuprato una quattordicenne. Dalla violenza era nato un bambino che il sacerdote, nonostante la prova del Dna, non aveva mai voluto riconoscere.
Il figlio, nato da quella violenza, non ha voluto partecipare ai funerali.
Ha fatto bene.
mercoledì 15 gennaio 2014
Il distacco
Il distacco è molto importante sulla via. Perché è il segno che l'individuo si rende sempre più conto di essere un'entità illusoria ed è sempre meno condizionato dalle passioni e dagli interessi del mondo.
Con il distacco, l'uomo vede più obiettivamente se stesso e gli altri, capisce la tragicommedia del mondo, prende le distanze dal futile gioco sociale ed entra nel mondo della spiritualità. E così incomincia anche a indagare sulla propria reale consistenza, su ciò che dà una vera felicità.
L'uomo non evoluto, invece, si illude ancora che la felicità sia data dagli oggetti materiali, dalla ricchezza e dal gran numero di relazioni sessuali.
Il distacco accresce la ricerca spirituale e la ricerca spirituale accresce il distacco.
In un individuo, il distacco è segno sicuro della presenza della dimensione spirituale.
Con il distacco, l'uomo vede più obiettivamente se stesso e gli altri, capisce la tragicommedia del mondo, prende le distanze dal futile gioco sociale ed entra nel mondo della spiritualità. E così incomincia anche a indagare sulla propria reale consistenza, su ciò che dà una vera felicità.
L'uomo non evoluto, invece, si illude ancora che la felicità sia data dagli oggetti materiali, dalla ricchezza e dal gran numero di relazioni sessuali.
Il distacco accresce la ricerca spirituale e la ricerca spirituale accresce il distacco.
In un individuo, il distacco è segno sicuro della presenza della dimensione spirituale.
Corpo e mente
Noi crediamo che il nostro io sia realmente esistente come un oggetto qualsiasi. Ma, a parte il fatto che anche gli oggetti più solidi non sono che balletti di atomi, il nostro io è semplicemente uno stato della coscienza, un concetto. Certo, questo concetto è legato ad un corpo, ma il corpo a sua volta è una danza di elettroni, ben poco consistente e duraturo.
Quando ci addormentiamo in un sonno senza sogni, dove va a finire il nostro io? E quando muore anche il corpo? In realtà, quando non c'è una mente che lo pensa, l'io semplicemente non c'è.
L'io o il sé è dunque un concetto della mente, tant'è vero che uno schizofrenico, che ne ha due o più, li ritiene tutti veri. E anche noi, quando sogniamo di essere qualcun altro, lo riteniamo perfettamente reale.
Ma la sostanza dell'io è quella di un'idea della mente - un'idea più o meno provvisoria e illusoria.
Questa constatazione ci dice però anche qualcosa di positivo: se infatti il sé esiste in quanto è pensato in un certo modo dalla mente, se la mente lo pensasse in un modo diverso, sarebbe ipso facto diverso.
Quando ci addormentiamo in un sonno senza sogni, dove va a finire il nostro io? E quando muore anche il corpo? In realtà, quando non c'è una mente che lo pensa, l'io semplicemente non c'è.
L'io o il sé è dunque un concetto della mente, tant'è vero che uno schizofrenico, che ne ha due o più, li ritiene tutti veri. E anche noi, quando sogniamo di essere qualcun altro, lo riteniamo perfettamente reale.
Ma la sostanza dell'io è quella di un'idea della mente - un'idea più o meno provvisoria e illusoria.
Questa constatazione ci dice però anche qualcosa di positivo: se infatti il sé esiste in quanto è pensato in un certo modo dalla mente, se la mente lo pensasse in un modo diverso, sarebbe ipso facto diverso.
lunedì 13 gennaio 2014
La nostra vera natura
Quando il cielo è coperto dalle nuvole, non possiamo vedere il sole. Ma il sole è sempre lì, e, se le nuvole vengono spazzate via dal vento, ecco che ricompare.
Fuor di metafora, questa è la situazione del Sé, ossia della sorgente che cerchiamo. È sempre presente, pur essendo oscurata dalle nuvole delle varie attività mentali. Se sospendiamo queste attività, la sorgente risplende di nuovo.
Ora, la meditazione formale (stare seduti, seguire il respiro, ripetere un mantra, ecc.), essendo un prodotto di uno sforzo della mente, non è in grado di vedere la sorgente. La sua stessa attività la nasconde. Che fare allora?
Bisogna rivolgere l'attenzione non all'ego, non alle attività mentali, ma ricercare direttamente il Sè. Il Sé è il sole sempre presente, le nuvole sono le attività mentali basate sull'ego. Tolte le nuvole, il Sé risplende di nuovo.
Non si tratta, però, di pensare il Sé, ma di esperirlo - un'attività che è più simile ad un ricordare o ad un risvegliarsi da un sogno. Quando uscite da un sogno, vi rendete conto che la realtà è un'altra e ve ne ricordate immediatamente.
Questo risvegliarsi, questo ricordare qualcosa di dimenticato, significa diventare consapevoli. Si diventa consapevoli, da una parte, di non essere quel vecchio io e, dall'altra parte, di quale sia la nostra vera natura.
Fuor di metafora, questa è la situazione del Sé, ossia della sorgente che cerchiamo. È sempre presente, pur essendo oscurata dalle nuvole delle varie attività mentali. Se sospendiamo queste attività, la sorgente risplende di nuovo.
Ora, la meditazione formale (stare seduti, seguire il respiro, ripetere un mantra, ecc.), essendo un prodotto di uno sforzo della mente, non è in grado di vedere la sorgente. La sua stessa attività la nasconde. Che fare allora?
Bisogna rivolgere l'attenzione non all'ego, non alle attività mentali, ma ricercare direttamente il Sè. Il Sé è il sole sempre presente, le nuvole sono le attività mentali basate sull'ego. Tolte le nuvole, il Sé risplende di nuovo.
Non si tratta, però, di pensare il Sé, ma di esperirlo - un'attività che è più simile ad un ricordare o ad un risvegliarsi da un sogno. Quando uscite da un sogno, vi rendete conto che la realtà è un'altra e ve ne ricordate immediatamente.
Questo risvegliarsi, questo ricordare qualcosa di dimenticato, significa diventare consapevoli. Si diventa consapevoli, da una parte, di non essere quel vecchio io e, dall'altra parte, di quale sia la nostra vera natura.
La pratica della meditazione
Meditare è all'inizio un'attività della mente. Ma ciò che si cerca è al di là della mente: questo è il paradosso.
La pratica della meditazione formale non è quindi in grado di trovare ciò che cerca... a meno che non consista nel far tacere la mente, per far risplendere ciò che veniva tenuto in ombra.
Non siamo noi che illuminiamo la sorgente. Noi possiamo solo toglierle gli ostacoli per far sì che brilli da sola.
La pratica della meditazione formale non è quindi in grado di trovare ciò che cerca... a meno che non consista nel far tacere la mente, per far risplendere ciò che veniva tenuto in ombra.
Non siamo noi che illuminiamo la sorgente. Noi possiamo solo toglierle gli ostacoli per far sì che brilli da sola.
domenica 12 gennaio 2014
La ricerca spirituale
La ricerca del Sé non ha niente a che fare con la ricerca psicologica, perché, mentre questa seconda è è un'analisi della mente, la prima vuol andare al di là della mente. In tal senso la ricerca spirituale incomincia quando finisce la ricerca psicologica, quando si vuole uscire dai limiti dell'io empirico.
Il Sé o l'Io spirituale non è il sé o l'io psicologico, ma la sua sorgente, che non ha niente di determinato e di finito. Questa Sorgente si trova là dove cessano i concetti, il dualismo mentale e la distinzione tra conoscente, conosciuto e conoscenza.
Ed il bello è che è sempre presente, pur essendo eclissata dall'ego mentale. La gente non lo sa e cerca all'esterno ciò che ha all'interno.
Il Sé o l'Io spirituale non è il sé o l'io psicologico, ma la sua sorgente, che non ha niente di determinato e di finito. Questa Sorgente si trova là dove cessano i concetti, il dualismo mentale e la distinzione tra conoscente, conosciuto e conoscenza.
Ed il bello è che è sempre presente, pur essendo eclissata dall'ego mentale. La gente non lo sa e cerca all'esterno ciò che ha all'interno.
venerdì 10 gennaio 2014
L'indagine sul Sé
Indagare sul proprio io empirico, conoscere se stessi, è importante, ma non quanto indagare sul Sé spirituale. La prima è una pratica psicologica, la seconda è una pratica meditativa.
Ma è possibile un'esperienza del Sé che non sia una esperienza di un io separato - separato da tutto il resto e ingabbiato in un corpo e in una psiche? Sì, è l'esperienza dell'essere puro e semplice, dell'essere presenti e basta: l' "io sono" senza altre determinazioni.
Seconda la tradizione dell'Advaita Vedanta, questa esperienza è contraddistinta dal trio "sat-cit-ananda": essere, coscienza e beatitudine. La realizzazione di questa presenza del puro essere è chiamata "jnana" ("conoscenza") e coincide con l'illuminazione. Ma non esiste un individuo separato che compia questa esperienza. Sussiste soltanto l' "io sono", un Io o un Sé impersonale.
Quando si realizza questa consapevolezza priva di sforzo in maniera continuativa, si parla di realizzazione del Sé. Non si può comunque dire che un ego l'abbia "ottenuta", poiché essa coincide con il superamento o con la liberazione dal e del sé empirico.
All'inizio, l'ego fa il suo lavoro, dato che svolge una ricerca sul Sé universale e si sforza di ritrovare la Totalità. Non si tratta tanto di un controllo della mente, quanto dell'essere testimoni di tutto ciò che ci capita in modo distaccato, senza esserne coinvolti.
Si ricerca la propria origine, non più confinata in un corpo e in una psiche, e non toccata né dalla nascita né dalla morte, in quanto infinita ed eterna.
Ma è possibile un'esperienza del Sé che non sia una esperienza di un io separato - separato da tutto il resto e ingabbiato in un corpo e in una psiche? Sì, è l'esperienza dell'essere puro e semplice, dell'essere presenti e basta: l' "io sono" senza altre determinazioni.
Seconda la tradizione dell'Advaita Vedanta, questa esperienza è contraddistinta dal trio "sat-cit-ananda": essere, coscienza e beatitudine. La realizzazione di questa presenza del puro essere è chiamata "jnana" ("conoscenza") e coincide con l'illuminazione. Ma non esiste un individuo separato che compia questa esperienza. Sussiste soltanto l' "io sono", un Io o un Sé impersonale.
Quando si realizza questa consapevolezza priva di sforzo in maniera continuativa, si parla di realizzazione del Sé. Non si può comunque dire che un ego l'abbia "ottenuta", poiché essa coincide con il superamento o con la liberazione dal e del sé empirico.
All'inizio, l'ego fa il suo lavoro, dato che svolge una ricerca sul Sé universale e si sforza di ritrovare la Totalità. Non si tratta tanto di un controllo della mente, quanto dell'essere testimoni di tutto ciò che ci capita in modo distaccato, senza esserne coinvolti.
Si ricerca la propria origine, non più confinata in un corpo e in una psiche, e non toccata né dalla nascita né dalla morte, in quanto infinita ed eterna.
Sedere in silenzio
Quando ci sediamo sulla poltrona del dentista e vediamo il trapano, siamo pieni di tensione e di paura - tensione e paura che ci fanno sentire in modo orribile e accrescono la nostra sofferenza. Se a quel punto ci rilassiamo, scopriremo che il dolore effettivo sarà inferiore a quello immaginato.
Il dolore nella vita è inevitabile, ma la mente che vorrebbe evitarlo lo ingigantisce. In realtà, la maggior parte della sofferenza è di natura mentale e consiste nello sforzo di evitare il dolore e di cercare una sicurezza impossibile. Se riuscissimo a vedere la realtà così com'è, senza aspettative e senza immaginazioni, senza pensieri e senza parole, accettando sia la gioia sia il dolore, momento per momento, non solo vedremmo le cose con chiarezza, ma soffriremmo di meno.
La comprensione è il fondamento di tutto, e ci permette di utilizzare non una mente divisa, separata dall'esperienza e tesa, ma una mente ben più vasta, che è aperta ad ogni avvenimento e che è più vicina alla natura della realtà.
La sospensione della mente abituale, che di fatto è l'abbandono dell'illusione di essere un io diviso, un io solitario che decide da sé il proprio destino, ci porta ad un'apertura mentale, ad un'ampiezza di visione, che ci fa distendere e ci apre enormi potenzialità. Molti uomini di genio hanno confermato che le idee migliori le hanno avute quando la rigida razionalità taceva e la loro mente era silenziosa, come sospesa.
In effetti quando ci sediamo in silenzio e non pretendiamo di controllare noi stessi e il mondo, quando non ci poniamo obiettivi particolari, quando siamo rilassati, diventiamo più distesi, gioiosi e ispirati. Siamo soprattutto aperti a ciò che è, alla realtà, a quella mente di fondo che si sente ed è parte del tutto.
Non abbiamo neppure più paura della morte, perché ci rendiamo conto che la morte è un ritorno a quella sorgente da cui hanno origine anche la nascita e la vita.
Dicevano i maestri zen cinesi: "Se vuoi vederlo, guardalo; se lo pensi, lo hai già perduto".
Il dolore nella vita è inevitabile, ma la mente che vorrebbe evitarlo lo ingigantisce. In realtà, la maggior parte della sofferenza è di natura mentale e consiste nello sforzo di evitare il dolore e di cercare una sicurezza impossibile. Se riuscissimo a vedere la realtà così com'è, senza aspettative e senza immaginazioni, senza pensieri e senza parole, accettando sia la gioia sia il dolore, momento per momento, non solo vedremmo le cose con chiarezza, ma soffriremmo di meno.
La comprensione è il fondamento di tutto, e ci permette di utilizzare non una mente divisa, separata dall'esperienza e tesa, ma una mente ben più vasta, che è aperta ad ogni avvenimento e che è più vicina alla natura della realtà.
La sospensione della mente abituale, che di fatto è l'abbandono dell'illusione di essere un io diviso, un io solitario che decide da sé il proprio destino, ci porta ad un'apertura mentale, ad un'ampiezza di visione, che ci fa distendere e ci apre enormi potenzialità. Molti uomini di genio hanno confermato che le idee migliori le hanno avute quando la rigida razionalità taceva e la loro mente era silenziosa, come sospesa.
In effetti quando ci sediamo in silenzio e non pretendiamo di controllare noi stessi e il mondo, quando non ci poniamo obiettivi particolari, quando siamo rilassati, diventiamo più distesi, gioiosi e ispirati. Siamo soprattutto aperti a ciò che è, alla realtà, a quella mente di fondo che si sente ed è parte del tutto.
Non abbiamo neppure più paura della morte, perché ci rendiamo conto che la morte è un ritorno a quella sorgente da cui hanno origine anche la nascita e la vita.
Dicevano i maestri zen cinesi: "Se vuoi vederlo, guardalo; se lo pensi, lo hai già perduto".
mercoledì 8 gennaio 2014
La via della gioia
L'individuo che pensa di essere un io separato, immerso nel fiume del divenire, entra già nel mondo della sofferenza. Quando siamo felici o gioiosi, scompare addirittura il senso dell'ego. In realtà non ci chiediamo più niente: svanisce la domanda. La mente non è divisa e neppure tesa.
Nella sofferenza, invece, il senso dell'ego è fortissimo e crea barriere che ci separano da tutto e da tutti.
Dobbiamo dunque riflettere sul fatto che, quando siamo rilassati, ci sentiamo bene, mentre, quando prevale la tensione, soffriamo.
Tendersi significa separarsi e penare, rilassarsi significa sciogliersi e gioire. Naturalmente i due stati d'animo sono complementari.
Ora, finché viviamo in questo mondo di opposti, il polo da scegliere e da prolungare il più possibile sarà ovviamente quello della distensione. Ma non ci facciamo illusioni: se c'è l'uno c'è anche l'altro. L'ideale perciò è riandare all'origine di entrambi, uscendo per un momento dal gioco dialettico.
Nella sofferenza, invece, il senso dell'ego è fortissimo e crea barriere che ci separano da tutto e da tutti.
Dobbiamo dunque riflettere sul fatto che, quando siamo rilassati, ci sentiamo bene, mentre, quando prevale la tensione, soffriamo.
Tendersi significa separarsi e penare, rilassarsi significa sciogliersi e gioire. Naturalmente i due stati d'animo sono complementari.
Ora, finché viviamo in questo mondo di opposti, il polo da scegliere e da prolungare il più possibile sarà ovviamente quello della distensione. Ma non ci facciamo illusioni: se c'è l'uno c'è anche l'altro. L'ideale perciò è riandare all'origine di entrambi, uscendo per un momento dal gioco dialettico.
La meditazione come terapia
"La Stampa" dell'8-1-2014 pubblica un articolo in cui si evidenzia che mezz'ora di meditazione al giorno aiuta combattere ansia e depressione. Ne riporto una parte: "Il dottor Madhav Goyal, professore presso la Divisione di Medicina Interna Generale della Facoltà di Medicina della Johns Hopkins University, ha potuto confermare attraverso i suoi studi che la meditazione offre sollievo all’ansia e i sintomi legati alla depressione alla stregua dei più tradizionali antidepressivi.
Durante la ricerca è stato valutato l’evolversi positivamente dei sintomi legati a queste problematiche, tra cui anche insonnia e fibromialgia e, in misura minore, anche vere e proprie malattie mentali.
Il team di ricerca ha esaminato, in particolare, gli effetti della 'meditazione di consapevolezza', o Mindfulness, una forma di meditazione molto semplice che si basa sulla concentrazione sul respiro e sulla consapevolezza dei propri pensieri.
Si inizia concentrandosi sul proprio respiro, dopo di che, quando mente e corpo cominciano a divagare, si focalizza per un po’ l’attenzione e si tenta di dare un nome al proprio pensiero, alla propria emozione, tentando di riconoscerla. Infine, si ritorna al respiro. E si continua così per diverso tempo fino a che la persona, con il tempo, non impara a mantenere costantemente l’attenzione sul respiro. Tutto ciò sembra essere molto utile anche per alleviare dolore e stress.
Per arrivare a determinate conclusioni sono stati revisionati 47 studi clinici condotti nel 2013 che coinvolgevano oltre 3.500 volontari affetti da depressione, stress, ansia, insonnia, malattie cardiache, dolori cronici e cancro.
Dai risultati è emerso che i partecipanti avevano mostrato miglioramenti in particolare in caso di ansia, depressione e dolori cronici in seguito a un programma di otto settimane basato su mezz’ora al giorno di meditazione Mindfulness.
Lo studio, pubblicato su Jama Internal Medicine, mette ancora una volta in evidenza come le pratiche antiche, in questo caso le più semplici, siano quelle da cui si possono trarre ottimi benefici."
In altri articoli apparsi sul "Venerdì" di Repubblica del 27-12-2013 (a cura di Giovanna Lodato) si dice che la meditazione allevia i dolori cronici grazie alla sua capacità "di focalizzare l'attenzione sulla parte del corpo interessata dal dolore, agendo così sulla sua percezione." Si aggiunge che questa pratica è di aiuto nell'abbassare l'ipertensione e che cambia addirittura la chimica del corpo. "Lo studio, pubblicato su 'Psychoneuroendocrinology' ha rilevato che in persone che praticano abitualmente la meditazione, dopo una sessione di otto ore, si assisteva appunto a un cambiamento nell'espressione di alcuni geni, con la conseguente modifica del metabolismo e la riduzione di molecole che producono stress e infiammazioni."
Naturalmente, la meditazione usata come terapia medica sottolinea il fatto che psiche e soma sono connessi. Purtroppo, vivere è comunque una forma di sofferenza. Non si tratta allora di curare questo o quel disturbo, ma quella particolare malattia generale che consiste nel male di vivere. Insomma, per una vera guarigione, bisogna spostarsi dal piano psico-somatico al piano spirituale.
Durante la ricerca è stato valutato l’evolversi positivamente dei sintomi legati a queste problematiche, tra cui anche insonnia e fibromialgia e, in misura minore, anche vere e proprie malattie mentali.
Il team di ricerca ha esaminato, in particolare, gli effetti della 'meditazione di consapevolezza', o Mindfulness, una forma di meditazione molto semplice che si basa sulla concentrazione sul respiro e sulla consapevolezza dei propri pensieri.
Si inizia concentrandosi sul proprio respiro, dopo di che, quando mente e corpo cominciano a divagare, si focalizza per un po’ l’attenzione e si tenta di dare un nome al proprio pensiero, alla propria emozione, tentando di riconoscerla. Infine, si ritorna al respiro. E si continua così per diverso tempo fino a che la persona, con il tempo, non impara a mantenere costantemente l’attenzione sul respiro. Tutto ciò sembra essere molto utile anche per alleviare dolore e stress.
Per arrivare a determinate conclusioni sono stati revisionati 47 studi clinici condotti nel 2013 che coinvolgevano oltre 3.500 volontari affetti da depressione, stress, ansia, insonnia, malattie cardiache, dolori cronici e cancro.
Dai risultati è emerso che i partecipanti avevano mostrato miglioramenti in particolare in caso di ansia, depressione e dolori cronici in seguito a un programma di otto settimane basato su mezz’ora al giorno di meditazione Mindfulness.
Lo studio, pubblicato su Jama Internal Medicine, mette ancora una volta in evidenza come le pratiche antiche, in questo caso le più semplici, siano quelle da cui si possono trarre ottimi benefici."
In altri articoli apparsi sul "Venerdì" di Repubblica del 27-12-2013 (a cura di Giovanna Lodato) si dice che la meditazione allevia i dolori cronici grazie alla sua capacità "di focalizzare l'attenzione sulla parte del corpo interessata dal dolore, agendo così sulla sua percezione." Si aggiunge che questa pratica è di aiuto nell'abbassare l'ipertensione e che cambia addirittura la chimica del corpo. "Lo studio, pubblicato su 'Psychoneuroendocrinology' ha rilevato che in persone che praticano abitualmente la meditazione, dopo una sessione di otto ore, si assisteva appunto a un cambiamento nell'espressione di alcuni geni, con la conseguente modifica del metabolismo e la riduzione di molecole che producono stress e infiammazioni."
Naturalmente, la meditazione usata come terapia medica sottolinea il fatto che psiche e soma sono connessi. Purtroppo, vivere è comunque una forma di sofferenza. Non si tratta allora di curare questo o quel disturbo, ma quella particolare malattia generale che consiste nel male di vivere. Insomma, per una vera guarigione, bisogna spostarsi dal piano psico-somatico al piano spirituale.
lunedì 6 gennaio 2014
Il peccato: il gioco di Dio
Il concetto di peccato è legato a quello di consapevolezza, non a quello di Dio. I "peccati contro Dio" sono in realtà peccati contro un gruppo di peccati stabiliti dagli uomini in determinate epoche. I "decaloghi" non sono stabiliti da Dio, ma dall'uomo - che crea sia una propria immagine di Dio sia un proprio elenco di peccati. Un tempo si pensava che l'omosessualità, i rapporti prematrimoniali e la masturbazione fossero peccati. Ma oggi non lo si crede più. Nell'elenco dei peccati biblici, non c'è quello di non pagare le tasse. Ma chi non paga le tasse, danneggia un'intera società, anche se va a messa tutte le mattine. Questo ci deve far dubitare dell'intera impalcatura.
Forse mentire è un peccato? Ma si può mentire a fin di bene. Rubare è peccato? Ma se rubo a coloro che si sono arricchiti rubando o truffando? Non è dunque il caso di stilare elenchi fissi di peccati. Questo lo fanno i codici penali, e li chiamano "reati". Ma anche qui è tutto approssimativo, relativo e mutevole, perché cambiano le opinioni degli uomini.
Si dirà: uccidere è certamente un peccato. Però, attenzione, il più grande assassino è proprio Dio. Lui ammazza tutti. Dunque Dio è il più grande peccatore? E perché in tempo di guerra diventa lecito uccidere? Perché tante nazioni hanno la pena di morte? Perché capi di Stato, anche di paesi democratici (Stati Uniti, Israele, ecc.), ordinano impunemente di uccidere chiunque ritengono un nemico, e non si preoccupano tanto di ammazzare anche vittime innocenti? Anche Obama finirà all'inferno?
Ci si preoccupa tanto della condotta "immorale" di leader che hanno amanti, ma non degli assassinii che hanno ordinato ai loro eserciti o ai loro servizi segreti. Quanti morti ha fatto George Bush con la guerra in Iraq, dopo aver mentito spudoratamente sulle armi chimiche? Eppure nessuno lo tratta come un criminale. E non mi risulta che nessuno abbia eccepito niente sull'uccisione di Saddam o di Bin Laden. Dov'è finito "nessuno tocchi Caino"?
E non parliamo dei peccati di tanti Papi, che con le loro guerre e le loro persecuzioni hanno fatto morire certamente più persone di Hitler o di Stalin.
Allora, dov'è il concetto di un peccato "oggettivo"? Tutto è soggettivo. Il peccato sembra essere una convenzione come tutte le altre. Ed è inevitabile. Non potete non fare il male. "Quando voglio fare il bene, il male è accanto a me" (San Paolo, Lettera ai Romani 7, 21)
E veniamo alla coscienza. Eugenio Scalfari, folgorato dalle parole di Papa Francesco, sembra essersi convinto che se uno agisce in base alla propria coscienza non può commettere peccato - e Dio lo perdonerà. Povero Scalfari, a cosa si è ridotto! Perciò, se Stalin o un criminale nazista hanno ucciso migliaia di persone perché così dettava loro la coscienza, non hanno commesso nessun peccato e saranno perdonati da Dio?
Paradossalmente, più uno è sensibile e consapevole, più gli sembra di sbagliare e più si sente in colpa. Questo perché si rende conto di non essere cosciente di tante cose. Il criminale, invece, vive tranquillo e sereno. Un nazista tedesco per esempio, colpevole di aver ucciso trecento e più italiani per rappresaglia dopo un attentato, è morto recentemente a cento anni e non risulta che avesse il minimo senso di colpa: anzi si era convertito al cattolicesimo... forse perché gli avevano detto che il Dio cattolico perdona tutti. D'altronde era convinto che Dio fosse un Hitler in grande, o che Hitler fosse Dio, non so. Ha fatto quel che gli dettava la coscienza.
Pochi sono consapevoli dei reati ambientali. Eppure, oggi le cose cambiano e si affaccia una nuova coscienza: se getto in mare plastica, petrolio o scorie chimiche o se utilizzo un'automobile particolarmente inquinante, posso provocare danni agli altri uomini, agli animali, all'ecosistema e alla Terra intera - e magari posso far venire il cancro a qualcuno. Non è un peccato da poco. Ma un peccato di cui fino a poco tempo fa nessuno era consapevole.
La verità è che noi in tanti casi non siamo sicuri se quello che facciamo sia un peccato o meno. Tutto è incerto e troviamo sempre mille giustificazioni. Pochi sono i casi in cui ci sentiamo veramente in colpa. Un capo mafioso raramente ha il senso del peccato, tant'è vero che molti, prima di uccidere qualcuno, si rivolgono per protezione a Dio o alla Madonna. Anche questi saranno perdonati? Perché non erano consapevoli? O anche Dio è una grande mafioso?
Solo i consapevoli hanno un senso di colpa. Ma anche la coscienza è condizionata. Magari ciò che riteniamo un peccato non lo è e ciò che non riteniamo un peccato lo è.
Insomma non serve a niente compilare liste di peccati. Bisogna fare i conti tutti i giorni con la propria coscienza, e anche questa ha limiti evidenti. L'incertezza regna evidente in campo etico...
... Questo per una dimensione umana, quotidiana, di gente che deve affrontare problemi impellenti. Ma, per una dimensione più profonda o più elevata, il peccato può essere non solo fare il male, ma anche fare il bene. Lo dicono chiaramente non i testi biblici, ma le Upanishad o il taoismo. Qui Scalfari dovrebbe allargare un po' l'orizzonte.
Bene e male, infatti, sono una coppia indissolubile, l'uno il complemento dell'altro. Se c'è l'uno, state sicuri che c'è anche l'altro. Ed è stupido pensare che un Dio li abbia creati per vedere che cosa avremmo scelto. Un piccolo gioco sadico, che vorrebbe continuamente metterci alla prova... solo per punirci o per premiarci - insomma un gioco da biscazziere, dove alla fine vince sempre il banco.
Anche perché non c'è scelta: devi scegliere il bene. E, allora, devi scegliere in base a un gioco truccato. Se ci fossero tre, quattro o dieci alternative, potremmo scegliere. Ma così no.
E se uno non volesse giocare a questo gioco scemo? E se uno sapesse contare le carte, verrebbe espulso dal Casinò? Allora, qui non si vuole che uno vinca, qui si vuole che uno perda comunque. Ah, il nostro Dio ci imbroglia!
Il domatore che ammaestra l'elefante e che gli dà uno zuccherino se fa bene (cioè se obbedisce agli ordini) o una bastonata se fa male (cioè se disobbedisce), non è un tipo simpatico... non è uno che ti dà una vera scelta. È solo un prepotente, uno che la fa da padrone. Così appare l'odioso Dio della tradizione giudaico-cristiano-islamica. Che cosa può fare l'elefante se non chinare il capo e diventare un automa? Ma lui avrebbe preferito non essere costretto a fare questo gioco scemo; lui avrebbe preferito andarsene libero per la foresta, là dove nessuno lo avrebbe costretto a scegliere tra lo zuccherino e la bastonata.
Ma se il male è il prezzo che paghiamo per essere un po' liberi all'interno di una scelta che ci viene imposta, allora il male è prezioso, allora è superiore addirittura al bene - e il bene è soltanto una museruola. Se il male è ciò in base al quale si manifesta il bene, allora il peccato è una condizione necessaria, addirittura benedetta. Felix culpa! Tutto a gloria di Dio, anche il male.
"Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: 'Rabbi, chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?' Rispose Gesù: 'Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio'" (Vangelo di Giovanni 9, 1-2).
Avete capito bene? È Dio che ha creato il male per manifestare la propria potenza! Ragazzi, guardatemi! Io sì che sono grande! E ora acceco qualcuno, così se ne accorgono tutti...
D'altronde, san Paolo che "tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia" (Lettera ai Romani 3, 23-24).
Avete capito il gioco di Dio? Fa tutti peccatori in modo da poterli graziare... Grazie tante!
... No, sarebbe molto "meglio" cambiare il gioco, cioè cambiare coscienza. E questo è un compito difficilissimo, il prossimo passo evolutivo - o l'effetto dell'illuminazione che vi fa uscire dai giochetti del grande Illusionista.
Nel frattempo, rifiutatevi di fare il male... rifiutatevi di fare il bene. Fate lo sciopero etico. Dite al vostro Dio che ne avete abbastanza di zuccherini e di bastonate. E che voi aspirate alla vera libertà, non alla "libertà condizionata", alla "libertà vigilata" dei carcerati con permesso di uscita.
Fate in modo che la mente duale (e illusoria) con il suo inutile conflitto si ritiri, e, al suo posto, compaia la mente universale... con la sua armonia.
Forse mentire è un peccato? Ma si può mentire a fin di bene. Rubare è peccato? Ma se rubo a coloro che si sono arricchiti rubando o truffando? Non è dunque il caso di stilare elenchi fissi di peccati. Questo lo fanno i codici penali, e li chiamano "reati". Ma anche qui è tutto approssimativo, relativo e mutevole, perché cambiano le opinioni degli uomini.
Si dirà: uccidere è certamente un peccato. Però, attenzione, il più grande assassino è proprio Dio. Lui ammazza tutti. Dunque Dio è il più grande peccatore? E perché in tempo di guerra diventa lecito uccidere? Perché tante nazioni hanno la pena di morte? Perché capi di Stato, anche di paesi democratici (Stati Uniti, Israele, ecc.), ordinano impunemente di uccidere chiunque ritengono un nemico, e non si preoccupano tanto di ammazzare anche vittime innocenti? Anche Obama finirà all'inferno?
Ci si preoccupa tanto della condotta "immorale" di leader che hanno amanti, ma non degli assassinii che hanno ordinato ai loro eserciti o ai loro servizi segreti. Quanti morti ha fatto George Bush con la guerra in Iraq, dopo aver mentito spudoratamente sulle armi chimiche? Eppure nessuno lo tratta come un criminale. E non mi risulta che nessuno abbia eccepito niente sull'uccisione di Saddam o di Bin Laden. Dov'è finito "nessuno tocchi Caino"?
E non parliamo dei peccati di tanti Papi, che con le loro guerre e le loro persecuzioni hanno fatto morire certamente più persone di Hitler o di Stalin.
Allora, dov'è il concetto di un peccato "oggettivo"? Tutto è soggettivo. Il peccato sembra essere una convenzione come tutte le altre. Ed è inevitabile. Non potete non fare il male. "Quando voglio fare il bene, il male è accanto a me" (San Paolo, Lettera ai Romani 7, 21)
E veniamo alla coscienza. Eugenio Scalfari, folgorato dalle parole di Papa Francesco, sembra essersi convinto che se uno agisce in base alla propria coscienza non può commettere peccato - e Dio lo perdonerà. Povero Scalfari, a cosa si è ridotto! Perciò, se Stalin o un criminale nazista hanno ucciso migliaia di persone perché così dettava loro la coscienza, non hanno commesso nessun peccato e saranno perdonati da Dio?
Paradossalmente, più uno è sensibile e consapevole, più gli sembra di sbagliare e più si sente in colpa. Questo perché si rende conto di non essere cosciente di tante cose. Il criminale, invece, vive tranquillo e sereno. Un nazista tedesco per esempio, colpevole di aver ucciso trecento e più italiani per rappresaglia dopo un attentato, è morto recentemente a cento anni e non risulta che avesse il minimo senso di colpa: anzi si era convertito al cattolicesimo... forse perché gli avevano detto che il Dio cattolico perdona tutti. D'altronde era convinto che Dio fosse un Hitler in grande, o che Hitler fosse Dio, non so. Ha fatto quel che gli dettava la coscienza.
Pochi sono consapevoli dei reati ambientali. Eppure, oggi le cose cambiano e si affaccia una nuova coscienza: se getto in mare plastica, petrolio o scorie chimiche o se utilizzo un'automobile particolarmente inquinante, posso provocare danni agli altri uomini, agli animali, all'ecosistema e alla Terra intera - e magari posso far venire il cancro a qualcuno. Non è un peccato da poco. Ma un peccato di cui fino a poco tempo fa nessuno era consapevole.
La verità è che noi in tanti casi non siamo sicuri se quello che facciamo sia un peccato o meno. Tutto è incerto e troviamo sempre mille giustificazioni. Pochi sono i casi in cui ci sentiamo veramente in colpa. Un capo mafioso raramente ha il senso del peccato, tant'è vero che molti, prima di uccidere qualcuno, si rivolgono per protezione a Dio o alla Madonna. Anche questi saranno perdonati? Perché non erano consapevoli? O anche Dio è una grande mafioso?
Solo i consapevoli hanno un senso di colpa. Ma anche la coscienza è condizionata. Magari ciò che riteniamo un peccato non lo è e ciò che non riteniamo un peccato lo è.
Insomma non serve a niente compilare liste di peccati. Bisogna fare i conti tutti i giorni con la propria coscienza, e anche questa ha limiti evidenti. L'incertezza regna evidente in campo etico...
... Questo per una dimensione umana, quotidiana, di gente che deve affrontare problemi impellenti. Ma, per una dimensione più profonda o più elevata, il peccato può essere non solo fare il male, ma anche fare il bene. Lo dicono chiaramente non i testi biblici, ma le Upanishad o il taoismo. Qui Scalfari dovrebbe allargare un po' l'orizzonte.
Bene e male, infatti, sono una coppia indissolubile, l'uno il complemento dell'altro. Se c'è l'uno, state sicuri che c'è anche l'altro. Ed è stupido pensare che un Dio li abbia creati per vedere che cosa avremmo scelto. Un piccolo gioco sadico, che vorrebbe continuamente metterci alla prova... solo per punirci o per premiarci - insomma un gioco da biscazziere, dove alla fine vince sempre il banco.
Anche perché non c'è scelta: devi scegliere il bene. E, allora, devi scegliere in base a un gioco truccato. Se ci fossero tre, quattro o dieci alternative, potremmo scegliere. Ma così no.
E se uno non volesse giocare a questo gioco scemo? E se uno sapesse contare le carte, verrebbe espulso dal Casinò? Allora, qui non si vuole che uno vinca, qui si vuole che uno perda comunque. Ah, il nostro Dio ci imbroglia!
Il domatore che ammaestra l'elefante e che gli dà uno zuccherino se fa bene (cioè se obbedisce agli ordini) o una bastonata se fa male (cioè se disobbedisce), non è un tipo simpatico... non è uno che ti dà una vera scelta. È solo un prepotente, uno che la fa da padrone. Così appare l'odioso Dio della tradizione giudaico-cristiano-islamica. Che cosa può fare l'elefante se non chinare il capo e diventare un automa? Ma lui avrebbe preferito non essere costretto a fare questo gioco scemo; lui avrebbe preferito andarsene libero per la foresta, là dove nessuno lo avrebbe costretto a scegliere tra lo zuccherino e la bastonata.
Ma se il male è il prezzo che paghiamo per essere un po' liberi all'interno di una scelta che ci viene imposta, allora il male è prezioso, allora è superiore addirittura al bene - e il bene è soltanto una museruola. Se il male è ciò in base al quale si manifesta il bene, allora il peccato è una condizione necessaria, addirittura benedetta. Felix culpa! Tutto a gloria di Dio, anche il male.
"Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: 'Rabbi, chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?' Rispose Gesù: 'Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio'" (Vangelo di Giovanni 9, 1-2).
Avete capito bene? È Dio che ha creato il male per manifestare la propria potenza! Ragazzi, guardatemi! Io sì che sono grande! E ora acceco qualcuno, così se ne accorgono tutti...
D'altronde, san Paolo che "tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia" (Lettera ai Romani 3, 23-24).
Avete capito il gioco di Dio? Fa tutti peccatori in modo da poterli graziare... Grazie tante!
... No, sarebbe molto "meglio" cambiare il gioco, cioè cambiare coscienza. E questo è un compito difficilissimo, il prossimo passo evolutivo - o l'effetto dell'illuminazione che vi fa uscire dai giochetti del grande Illusionista.
Nel frattempo, rifiutatevi di fare il male... rifiutatevi di fare il bene. Fate lo sciopero etico. Dite al vostro Dio che ne avete abbastanza di zuccherini e di bastonate. E che voi aspirate alla vera libertà, non alla "libertà condizionata", alla "libertà vigilata" dei carcerati con permesso di uscita.
Fate in modo che la mente duale (e illusoria) con il suo inutile conflitto si ritiri, e, al suo posto, compaia la mente universale... con la sua armonia.
Epifania
Quanto sono infantili i miti cristiani! Addirittura una festa della "manifestazione" non riferita all'apparizione dell'universo mondo (che sarebbe stata una bella festa, una festa col botto del Big Bang), ma di un unico bambinello, di cui nessuno in realtà si era mai accorto. Bella favoletta! E dov'erano Biancaneve e i sette nani?
Ma che esibizionista, questo Dio!
E poi quel bambinello non era tanto umile... se venivano a visitarlo addirittura i Re Magi dal lontano Oriente. Chissà Giuseppe e Maria dove avranno messo l'oro, l'argento e la mirra? Forse in qualche banca, per far studiare il figlio in vista della futura professione... di Messia?
Ma che esibizionista, questo Dio!
E poi quel bambinello non era tanto umile... se venivano a visitarlo addirittura i Re Magi dal lontano Oriente. Chissà Giuseppe e Maria dove avranno messo l'oro, l'argento e la mirra? Forse in qualche banca, per far studiare il figlio in vista della futura professione... di Messia?
domenica 5 gennaio 2014
Intelligenza e bisogno
C'è un vuoto creativo e una vuoto sterile. Il primo è quello di un'energia che non si è ancora manifestata e ribolle in modo magmatico in attesa di esplodere in un'azione: per esempio il vuoto prima della creazione o il vuoto mentale prima dell'illuminazione. Il secondo è quello della stagnazione, della pigrizia, della rinuncia. Un esempio di quest'ultimo si trova nel film di Paolo Sorrentino La grande bellezza, dove viene ritratta una società di ricchi e di alti prelati che non hanno niente da fare e niente da dire, che passano le giornate fra banchetti, chiacchiere oziose e spettacoli futili. Il film è la rappresentazione di una società dorata che non avendo nessuno stimolo a cambiare fa della conservazione e della contemplazione della bellezza la sua unica attività. Forse, se avessero bisogno di lavorare, non sarebbero così inetti.
L'intelligenza non fiorisce tra i ricchi. È il bisogno che spinge a capire e a darsi da fare.
L'intelligenza non fiorisce tra i ricchi. È il bisogno che spinge a capire e a darsi da fare.
Unioni gay
Ma come mai, mentre il Papa dice:"Chi sono io per giudicare?", i nostri politici di destra subito si oppongono ad ogni idea di riconoscere le unioni gay? Sono più papisti del Papa?
Questo dimostra che l'ideologia cattolica rappresenta il più grande ostacolo alle riforme sociali in questo Paese. Il cattolicesimo si conferma così una catena che impedisce allo Stivale di fare qualunque passo in avanti, come invece fanno gli altri Stati europei. E noi rimaniamo indietro, perdiamo tutte le occasioni.
L'argomento che le unioni omosessuali sarebbero contro natura è infondato... perché ci sono sempre state e quindi sono naturali.
Ma, attenzione, la mancanza di riforme sociali, e quindi culturali, si traduce anche in una decadenza economica.
Questo dimostra che l'ideologia cattolica rappresenta il più grande ostacolo alle riforme sociali in questo Paese. Il cattolicesimo si conferma così una catena che impedisce allo Stivale di fare qualunque passo in avanti, come invece fanno gli altri Stati europei. E noi rimaniamo indietro, perdiamo tutte le occasioni.
L'argomento che le unioni omosessuali sarebbero contro natura è infondato... perché ci sono sempre state e quindi sono naturali.
Ma, attenzione, la mancanza di riforme sociali, e quindi culturali, si traduce anche in una decadenza economica.
sabato 4 gennaio 2014
L'India sacra
Ci sono persone che vanno in India alla ricerca di guru, i quali si limitano a spillare loro quattrini. Cercano l'India della spiritualità e trovano un paese materialista, superstizioso, con differenze sociali spaventose e fortemente arretrato sul piano dei diritti civili e del trattamento delle donne. È vero che ci sono stati grandi maestri, ma, per conoscere il loro pensiero, basta leggere qualche libro. A che serve andare in India?
La vera India della spiritualità è dentro di noi, nel nostro cuore e nella nostra mente. È lì che bisogna "andare", non in qualche luogo fisico.
"Più si va lontano, meno si conosce" diceva Lao-tzu.
Non andate in India, non andate a Gerusalemme, non andate a Roma, non andate a Lourdes, non andate alla Mecca... Se cercate la religione, Dio è dappertutto e soprattutto dentro di voi. Se cercate la spiritualità, lo spirito dove volete che sia... se non dentro di voi?
... E se siete cristiani...
E se siete cristiani, non andate a san Pietro e nelle altre chiese. Lì non c'è niente di più che nella vostra stanza. Volete che Dio abiti in qualche edificio? Non siate così ingenui! Quando viene un terremoto, le chiese sono le prime a crollare. Lì troverete una casta di preti che vuole spillarvi quattrini, come in ogni altra parte del mondo. Lì troverete qualcuno che vuole vendervi la sua idea di Dio e che vuole influenzare, per dominarvi meglio, la vostra mente. Ma siete voi che dovete farvi la vostra idea di Dio, la vostra esperienza di Dio. Non dovete prendere a prestito quella di altri.
Se siete cristiani, leggete le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (6, 6): "Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega Dio in segreto". Vi risulta che nei Vangeli Gesù consigli di andare nelle chiese?
Ora, che cosa sono più importanti, le parole di Gesù o le parole dei preti e dei papi?
Imparate a pensare con la vostra testa: già questo è un atto spirituale.
venerdì 3 gennaio 2014
Diventare consapevoli
È più facile moltiplicare pani e pesci che rendere consapevole un uomo.
Eppure è proprio questo il prodigio dell'illuminazione, allorché un uomo diventa per la prima volta consapevole di essere... di essere un frammento della natura universale. In quel momento non è soltanto lui che diventa cosciente, ma l'intero universo che prende coscienza di se stesso.
Si ripete il prodigio della creazione.
Eppure è proprio questo il prodigio dell'illuminazione, allorché un uomo diventa per la prima volta consapevole di essere... di essere un frammento della natura universale. In quel momento non è soltanto lui che diventa cosciente, ma l'intero universo che prende coscienza di se stesso.
Si ripete il prodigio della creazione.
Tra gli opposti
Da evitare sia la volontà di potenza di tipo occidentale, che pretende di imporre il proprio dominio alla natura, sia il fatalismo di tipo orientale, che crede di non poter cambiare nulla e si abbandona al destino, a Dio o al karma.
Anche se viviamo in un mondo di illusioni e di apparenze, per gli anni che ci sono stati dati in sorte dobbiamo fare i conti con il gioco delle ombre e degli opposti. Dobbiamo agire "come se" tutto fosse migliorabile. D'altronde, non possiamo fare diversamente. L'illusione del progresso è parte integrante del gioco.
La natura è più forte dell'uomo e in un momento può spazzare via ogni individuo. Ma, per quel momento, questi può dire: "Io c'ero...ero consapevole e ho fatto quel che potevo". Non gli si chiede altro.
Anche se viviamo in un mondo di illusioni e di apparenze, per gli anni che ci sono stati dati in sorte dobbiamo fare i conti con il gioco delle ombre e degli opposti. Dobbiamo agire "come se" tutto fosse migliorabile. D'altronde, non possiamo fare diversamente. L'illusione del progresso è parte integrante del gioco.
La natura è più forte dell'uomo e in un momento può spazzare via ogni individuo. Ma, per quel momento, questi può dire: "Io c'ero...ero consapevole e ho fatto quel che potevo". Non gli si chiede altro.
Migliorare il mondo
Tutti siamo partiamo dall'idea di migliorare la nostra condizione, noi stessi e il mondo, e siamo convinti che ciò sia possibile e necessario. Ma lo è davvero? Osserviamo bene le cose.
La legge dialettica degli opposti fa sì che, non appena qualcosa migliora, subito ne peggiora un'altra. Guardate le nostre società, guardate il cosiddetto progresso, guardate l'andamento dell'economia e della politica... ad ogni movimento in avanti corrisponde un movimento all'indietro, ad ogni spostamento in un senso corrisponde uno spostamento nel senso opposto. Se c'è crescita, subito dopo ci sarà decrescita.
Così è per esempio la vita dell'uomo e di tutti gli esseri: si va avanti, si raggiunge un'acme e poi si comincia a tornare indietro. Si cresce e poi si decresce. Se oggi c'è sviluppo, state certi che domani ci sarà crisi. Se oggi c'è aumento, state certi che domani ci sarà diminuzione. Se oggi c'è giovinezza, domani ci sarà vecchiaia. Se oggi c'è nascita, domani ci sarà morte.
In realtà, l'ideale di un miglioramento ininterrotto e irreversibile è una pia illusione. I limiti del mondo sono quelli che sono. Tutto cambia, è vero; ma leggi del cambiamento rimangono immutabili. Almeno per ora.
La legge dialettica degli opposti fa sì che, non appena qualcosa migliora, subito ne peggiora un'altra. Guardate le nostre società, guardate il cosiddetto progresso, guardate l'andamento dell'economia e della politica... ad ogni movimento in avanti corrisponde un movimento all'indietro, ad ogni spostamento in un senso corrisponde uno spostamento nel senso opposto. Se c'è crescita, subito dopo ci sarà decrescita.
Così è per esempio la vita dell'uomo e di tutti gli esseri: si va avanti, si raggiunge un'acme e poi si comincia a tornare indietro. Si cresce e poi si decresce. Se oggi c'è sviluppo, state certi che domani ci sarà crisi. Se oggi c'è aumento, state certi che domani ci sarà diminuzione. Se oggi c'è giovinezza, domani ci sarà vecchiaia. Se oggi c'è nascita, domani ci sarà morte.
In realtà, l'ideale di un miglioramento ininterrotto e irreversibile è una pia illusione. I limiti del mondo sono quelli che sono. Tutto cambia, è vero; ma leggi del cambiamento rimangono immutabili. Almeno per ora.
Il fascino del male
"Perché l'uomo è tanto attratto dal male?", si chiede qualche ingenuo filosofo. Evidentemente non ha riflettuto a fondo sul fatto che bene e male, yang e yin, devono sempre stare in equilibrio, e che quindi l'uomo non può non fare il male... anche quando decide o crede di fare il bene.
Chiedetelo a Dio perché il mondo è stato fatto così, non all'uomo.
Evidentemente, come dal male nasce il bene, dal bene nasce il male. E, dunque, il male non è tutto male e il bene non è tutto bene. Il che equivale a dire che bene e male sono come i due poli di una stessa calamita. Noi di volta in volta vediamo uno dei due poli - ma non vediamo mai l'insieme. Ecco perché ci lambicchiamo il cervello.
Chiedetelo a Dio perché il mondo è stato fatto così, non all'uomo.
Evidentemente, come dal male nasce il bene, dal bene nasce il male. E, dunque, il male non è tutto male e il bene non è tutto bene. Il che equivale a dire che bene e male sono come i due poli di una stessa calamita. Noi di volta in volta vediamo uno dei due poli - ma non vediamo mai l'insieme. Ecco perché ci lambicchiamo il cervello.
giovedì 2 gennaio 2014
L'illuminazione per tutti
L'illuminazione non è un fenomeno né strano né insolito.
L'illuminazione è sentirsi parte del tutto. E non si tratta tanto di un pensiero quanto di un'esperienza, di una sensazione, di una consapevolezza, di una intuizione. A questa scoperta si oppongono tutti gli atteggiamenti di rigidità, di discriminazione, di durezza e di separazione, in particolare quello di ritenersi un ego diviso, solitario e indipendente. Di indipendente in questo mondo non c'è niente. Ogni cosa dipende da altre cose, ogni cosa esiste perché sono esistite ed esistono altre cose. Ogni cosa è dunque interconnessa. Ma se uno di noi si rinchiude in se stesso, si contrappone agli altri e al mondo e si crede orgogliosamente un individuo a sé stante, non solo non ha un atteggiamento aperto, ma va anche incontro ad una sofferenza senza fine. In fondo questo genere di sofferenza mentale è la cartina di tornasole del nostro grado di saggezza.
Il problema è che vorremmo accettare solo un polo delle innumerevoli coppie di opposti (il piacere e non il dolore, il bene e non il male, il bello e non il brutto, la vita e non la morte, il sé e non l'altro da sé, ecc.). Non esistono né cose né esseri separati. La realtà ultima è unità, è un tutto interconnesso.
"Strappa un filo d'erba, e l'universo tremerà."
L'illuminazione è sentirsi parte del tutto. E non si tratta tanto di un pensiero quanto di un'esperienza, di una sensazione, di una consapevolezza, di una intuizione. A questa scoperta si oppongono tutti gli atteggiamenti di rigidità, di discriminazione, di durezza e di separazione, in particolare quello di ritenersi un ego diviso, solitario e indipendente. Di indipendente in questo mondo non c'è niente. Ogni cosa dipende da altre cose, ogni cosa esiste perché sono esistite ed esistono altre cose. Ogni cosa è dunque interconnessa. Ma se uno di noi si rinchiude in se stesso, si contrappone agli altri e al mondo e si crede orgogliosamente un individuo a sé stante, non solo non ha un atteggiamento aperto, ma va anche incontro ad una sofferenza senza fine. In fondo questo genere di sofferenza mentale è la cartina di tornasole del nostro grado di saggezza.
Il problema è che vorremmo accettare solo un polo delle innumerevoli coppie di opposti (il piacere e non il dolore, il bene e non il male, il bello e non il brutto, la vita e non la morte, il sé e non l'altro da sé, ecc.). Non esistono né cose né esseri separati. La realtà ultima è unità, è un tutto interconnesso.
"Strappa un filo d'erba, e l'universo tremerà."
mercoledì 1 gennaio 2014
"Chi sono io?"
Porsi la domanda "chi sono io?" è la nostra grandezza e la nostra disperazione. La nostra grandezza perché nessun altro animale è in grado di porsela. La nostra disperazione perché, ponendoci la domanda, ci mettiamo al di fuori della Totalità e ce ne separiamo, come se fossimo individui isolati.
Eppure dobbiamo porci questa domanda. Ma la risposta è che siamo particelle di un unico insieme, di un unico organismo, non esseri separati.
Comprendere - e sentire - questa semplice verità-realtà è già una forma di illuminazione.
Quando ci sentiamo soli e scoraggiati, quando ci sentiamo abbandonati, quando perdiamo una persona cara, ricordiamoci che siamo parti di una Totalità che non ci abbandona mai - che non può abbandonarci.
Eppure dobbiamo porci questa domanda. Ma la risposta è che siamo particelle di un unico insieme, di un unico organismo, non esseri separati.
Comprendere - e sentire - questa semplice verità-realtà è già una forma di illuminazione.
Quando ci sentiamo soli e scoraggiati, quando ci sentiamo abbandonati, quando perdiamo una persona cara, ricordiamoci che siamo parti di una Totalità che non ci abbandona mai - che non può abbandonarci.
La sofferenza mentale
Gran parte dei nostri guai deriva dal fatto che siamo convinti che gli opposti siano separati. E così cerchiamo il piacere senza il dolore, il bene senza il male, la pace senza la guerra, la vita senza la morte, e ci disperiamo quando non li troviamo: ci sembra che il mondo sia incomprensibile e assurdo.
Ma siamo che noi che non comprendiamo. Perciò, alla sofferenza che inevitabilmente ci colpisce aggiungiamo la sofferenza dell'ignoranza delle cose.
Ma siamo che noi che non comprendiamo. Perciò, alla sofferenza che inevitabilmente ci colpisce aggiungiamo la sofferenza dell'ignoranza delle cose.
La giornata mondiale della pace
Affidare la pace alle religioni è come affidare la custodia dell'agnello al lupo. Non abbiamo bisogno di ricordare il tipo di pace voluto dai fanatici islamici o da quelli induisti. Ognuno mira al proprio predominio, ognuno odia e vorrebbe distruggere chi ha una fede diversa, l' "infedele". Quanto alla pax Christi, è scritta in tutti i libri di storia: prendiamo il caso dell'invasione del Sud America in seguito alla scoperta dell'America. "Stimiamo cosa sicura e veritiera" scriveva Bartolomé de Las Casas, il missionario spagnolo domenicano che scrisse nel Cinquecento sulla brutalità degli spagnoli verso gli Indios dei Caraibi "che sono morti, nel corso di questi quarant'anni, più di dodici milioni di anime, uomini, donne e bambini, per la tirannia e le opere infernali dei cristiani..." Ma lo stesso comportamento si ebbe nei confronti dei nativi dell'America Settentrionale, dei negri in Africa, degli asiatici e degli aborigeni in Australia. Dove arrivava la civiltà cristiana, arrivavano l'intolleranza religiosa, l'imperialismo e la volontà di sfruttamento degli indigeni. Mai una civiltà fu più sanguinaria e sfruttatrice di quella cristiana, che fece la guerra non solo contro alle altre religioni, ma anche contro le diverse interpretazioni del messaggio cristiano. "Non sono venuto a portare la pace, ma una spada!" disse profeticamente Gesù.
La pace si può avere soltanto quando c'è pace nei cuori, non quando c'è volontà di prepotenza o presunzione di superiorità.
La pace si può avere soltanto quando c'è pace nei cuori, non quando c'è volontà di prepotenza o presunzione di superiorità.
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