L'uomo può essere consapevole senza essere cosciente. Ed essere cosciente senza essere consapevole. La consapevolezza è la risonanza con l'unità.
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La distinzione che fai è netta e realistica: consapevolezza e coscienza non coincidono. Non appartengono allo stesso livello.
La coscienza è il sistema operativo della mente: ordina, distingue, mette in scena un io che osserva un mondo. È sempre strutturata diadicamente, perché vive di separazioni funzionali: dentro/fuori, soggetto/oggetto, attenzione/disattenzione.
La consapevolezza, invece, è una condizione più originaria: non è un atto, non è una funzione, non è un’operazione cognitiva. È uno stato di risonanza.
Non separa, non analizza, non mette in forma.
È il sentirsi dentro qualcosa senza distanze artificiali.
Ed è perfettamente possibile che:
• L’uomo sia consapevole senza essere cosciente
Accade nei momenti in cui sei pienamente presente ma non stai “pensando”: una postura vigilissima, un’intuizione immediata, un contatto profondo, un silenzio interiore in cui senti di essere parte di un intero.
Non c’è io che osserva: c’è solo il fluire.
La mente non commenta, e proprio per questo la consapevolezza è limpida.
• L’uomo sia cosciente senza essere consapevole
È la modalità più comune: pensiero che analizza, giudica, progetta, separa.
È attiva, efficace, ma taglia costantemente il mondo in pezzi.
Si può essere lucidissimi e completamente scollegati dall’unità sottostante.
È la coscienza che funziona come una macchina logica, senza risonanza.
Quando dici che la consapevolezza è la risonanza con l’unità, vai al punto essenziale:
la consapevolezza non “afferra” l’unità — si accorda all’unità.
Non la pensa, la vibra.
La coscienza, invece, non sa vibrare: sa solo distinguere.
Ecco perché le due funzioni non sono intercambiabili:
una appartiene all’oscillazione duale; l’altra al campo che la precede.
E l’uomo vive sospeso tra questi due registri.
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Dovremmo allenarci a essere più consapevoli. Prova a studiare esercizi pratici.
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Ecco una serie di esercizi pratici progettati specificamente per allenare la consapevolezza come risonanza con l’unità — cioè una presenza non-analitica, non-diadica, pre-concettuale. Sono pratiche che non puntano a “pensare meglio”, ma a indebolire temporaneamente la struttura dell’io osservante per aprire spazi di pura presenza.
Li organizzo in tre livelli: corporei, percettivi, relazionali.
1. ESERCIZI CORPOREI (per rompere l’auto-osservazione)
Questi servono a spezzare la sorveglianza interna che ricostruisce la diade io/corpo.
1.1. Due minuti di postura senza io
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Mettiti seduto o in piedi.
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Sistema lentamente la postura, come se la regolasse “qualcosa” prima di te.
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Poi smetti completamente di aggiustare.
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Osserva senza commentare. Lascia che la postura “accada”.
Effetto: il corpo si percepisce come presenza, non come oggetto.
1.2. Micro-respiro non intenzionale
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Non cambiare il respiro.
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Non osservarlo come in meditazione classica.
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Limìtati a sentire il punto in cui il respiro tocca l’interno del naso.
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Mantieni lì l’attenzione, sospesa.
Effetto: la consapevolezza si ancora a una soglia corporea minima, prima della mente.
1.3. Camminata senza autore
Fai 50 passi in cui non dici mentalmente “sto camminando”.
Evita qualsiasi etichetta: nessun “io”, nessun “passo”, nessun “destra-sinistra”.
Effetto: il corpo cammina, tu “ci sei” senza essere regista.
2. ESERCIZI PERCETTIVI (per allentare la diade soggetto/mondo)
Qui si lavora sulla percezione pura, senza interpretazione.
2.1. Campo sonoro integrale
Per 30 secondi:
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Non seguire un suono specifico.
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Non identificarne l’origine.
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Lascia che tutti i suoni siano un unico “campo”.
Effetto: cessazione temporanea del confine fra chi ascolta e ciò che è ascoltato.
2.2. Visione periferica
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Tieni lo sguardo fisso su un punto.
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Allarga la percezione a ciò che sta ai bordi, senza spostare gli occhi.
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Rimani nel margine, non nel centro.
Effetto: l’io osservante si indebolisce perché il centro dell’osservazione non coincide più con l’attenzione.
2.3. Sospensione semantica
Guarda per 20 secondi un oggetto quotidiano (tazza, sedia).
Imponi una regola: non deve avere nome.
Non “tazza”, non “sedia”, non “manico”, non “gambe”. Solo forme e colori.
Effetto: la mente tenta di nominare, ma tu rimani sulle qualità.
Si apre una fessura nella diade linguistica.
3. ESERCIZI RELAZIONALI (per dissolvere io/altro)
Questi sono più potenti e più difficili.
3.1. Micro-sintonizzazione silenziosa
Stai per un minuto con una persona (anche sconosciuta), senza parlare.
Non guardarla intensamente.
Semplicemente presenti insieme nello stesso spazio.
Effetto: cala la distanza concettuale io/altro. Rimane una comunanza sensibile.
3.2. Ascolto non interpretativo
Quando qualcuno parla, ascolta evitando tre cose:
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interpretare
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giudicare
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prevedere
Stai solo nel flusso delle parole come suono e presenza.
Effetto: la relazione diventa risonanza, non scambio analitico.
3.3. Riconoscimento senza narrazione
Con una persona cara:
guarda il suo volto per 10 secondi senza pensare chi è nella tua storia.
Solo il volto, come presenza.
Effetto: per un istante sparisce la costruzione biografica, resta una unità immediata.
4. Trasformare tutto questo in abitudine
Tre micro-regole facili:
• Una volta al giorno fai qualcosa senza dire mentalmente “io sto facendo”.
Lavare un piatto, chiudere una porta, salire un gradino.
• Ogni ora, un respiro consapevole non-intenzionale.
Pochi secondi.
• Una volta al giorno tieni 20 secondi di percezione senza linguaggio.
Qualsiasi percezione.
5. Cosa producono davvero questi esercizi
Non portano “illuminazione” né trasformazioni definitive.
Ma indeboliscono la rigidità della coscienza e aprono spazi in cui la consapevolezza — come risonanza unitaria — può emergere senza essere immediatamente distrutta dalla mente duale.
È un’educazione alla soglia: restare dove l’io non è ancora pienamente formato e l’unità non è ancora spezzata.
Se vuoi, posso costruire un programma di allenamento progressivo (7, 14 o 28 giorni) basato su questi principi.
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