Meditare non è facile. Non basta star seduti respirando. Innanzitutto non è possibile stare fermi e quieti. Qualcosa si muove sempre: polmoni, cuore, sangue, digestione, metabolismo, pensieri ecc. Chi vuol veramente meditare non deve convincersi di uno stato. Semmai, lo osserva. Non dice: "Io devo essere calmo". Se lo dice e non è calmo, crea uno stato di conflitto interiore. E se è veramente calmo, osserva la calma e dice: "Qui c'è la calma". Se c'è l'agitazione, lo stress, l'ansia o l'angoscia, prima di tutto le osserva dentro di sé. Non deve costringersi a essere quello che non è. La consapevolezza non comanda. Riconosce. Per questo calma. In meditazione, cerca di evitare di pensare "io". Questo concetto crea separazione. L'io divide. Perché ci si può convincere che il dolore o l'agitazione appartengano a questo fantomatico io. Ci sarebbe l'io da una parte e il dolore che si attacca all'io? No, se c'è dolore, riconosci che c'è dolore. Qui c'è dolore. Chi medita non dice: "Io sono felice". Dice: "Ecco uno stato di felicità. " Ma se c'è sofferenza, dice: "Qui c'è sofferenza." Non c'è un io da una parte e i sentimenti o gli stati d'animo dall'altra. E' un tutt'uno. L'io è un prodotto della mente. In questo modo non si attacca alle sensazioni positive e nemmeno a quelle negative. Ci sono stati che cambiano. Tu non ti attaccare. Non c'è necessità di controllo. Nessuno può controllare. Al massimo può notare, attendendo che passi o facendo altro. Lo stato non è un'identità, è sempre un flusso. E i flussi passano, come le correnti in mare. Non devi essere felice. O lo sei o non lo sei. Se non lo sei, osserva e aspetta l'altro capo dell'oscillazione. Ceri nomi, certi aggettivi sono etichette. Etichette incollate, statiche, sena movimento. Ma non c'è niente in questo universo che sia veramente statico. Tutto vibra, oscilla, cambia. E' meglio usare i verbi. Non dire: "Io siedo, io cammino, io guardo ecc.", ma "c'è uno stare seduto, un camminare, un guardare...". Queste azioni ci sono. Poi tu le attribuisci a un io immaginario. Non dire: "Io sto respirando", ma "c'è un respirare". Ritorna al corpo, il corpo non mente, il corpo è reale. Ritorna al corpo, non a una fantasia o a un'illazione. Se l'attenzione è ben diretta, porta la calma che cercavi inutilmente. I nomi, i concetti, gli aggettivi sono lettera morta. La tua mente non deve ordinare, ma al massimo ricordare quello che c'è. Le intenzioni, le dichiarazioni, i pensieri positivi non servono a nulla. Falsificano la realtà. Non devi pensare positivo pensando di influnzare le cose. Le cose se ne fregano, e tu stesso, il tuo inconscio. Gli stati sono la realtà presente e il tentativo di cambiarla con pensieri "positivi" non serve a niente. Questo momento è qui. Tu stai attento, sii consapevole, nient'altro. Cambierà certamente. Non devi motivarti, deve registrare ciò che è. La realtà osservata senza resistenza, calma. Non devi forzare, devi osservare ciò che si verifica dentro. Non usare parole grandiose, usa parole semplici, ordinarie. "Io respiro, io cammino, io lavo ecc. O, meglio, "Qui c'è un respirare, un camminare, un lavare..." La semplicità dei gesti quotidiani ti calma e ti allontana dalle ansie della mente. Contempla il gatto, la pianta o il sasso. Dove non c'è presunzione, c'è profondità, c'è realtà. Non devi dimostrare nulla. La realtà prende il suo posto naturalmente, spontaneamente. Tu adeguati e basta. Stai seduto o cammina spontaneamente. Tanto l'erba cresce da sola. Siamo un unico corpo, semplicemente diviso in tanti punti di osservazione.
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La direzione è chiara: stai descrivendo la meditazione per ciò che è, senza romanticismi e senza illusioni. E hai ragione: non c’è nulla di più controproducente del tentativo di “produrre” uno stato mentale che non c’è. È esattamente lì che nasce la frattura interiore.
Ti metto in ordine i punti chiave — senza addolcire nulla, come chiedi implicitamente:
1. Il corpo non è mai immobile.
Pretendere quiete assoluta è un’ingenuità. Dentro si muove tutto: organi, sangue, impulsi nervosi, pensieri. La meditazione parte dal riconoscere questo moto continuo, non dal combatterlo.
2. L’errore principale è voler essere “come dovremmo essere”.
“Devo essere calmo” è già tensione. È già fallimento. Se non sei calmo, lo senti. Se sei calmo, lo senti. Fine.
3. La consapevolezza non ordina. Registra.
Non forza, non corregge, non produce stati “giusti”. Osserva i fatti nudi. Proprio per questo riduce il conflitto.
4. L’io è costruzione mentale, non entità.
Ogni volta che dici “io”, crei una divisione artificiale: da una parte un soggetto, dall’altra uno stato (ansia, dolore, gioia). Ma gli stati non sono “di qualcuno”: si manifestano e basta. Il meditante maturo non dice “io sono ansioso”, ma “qui c’è ansia”. È molto diverso.
5. Gli stati sono flussi, non identità.
Nulla rimane. Può non piacere, ma è così. Attaccarsi agli stati positivi li corrompe. Resistere a quelli negativi li intensifica. Osservare è l’unica via.
6. Il linguaggio tradisce: meglio i verbi dei nomi.
Un nome congela. Un verbo respira.
“C’è camminare”, “c’è respirare”, “c’è guardare”.
In questo modo disinneschi l’illusione dell’autore dell’azione.
7. La semplicità non è povertà: è precisione.
Contemplare un gatto, una pianta, una pietra non è infantilismo. È rientrare in un regime di realtà, fuori dal rumore mentale. Il mondo semplice è quello reale; la mente complicata è solo un incidente.
8. Nessuna intenzione “positiva” cambia gli stati.
Pensare positivo è una forma di resistenza mascherata. La realtà non si lascia ingannare. L’inconscio neanche. Registrare è più efficace che correggere.
9. L’erba cresce da sola.
Vale per la calma, vale per la trasformazione. Interferire la rallenta. Osservare la favorisce.
10. Siamo un unico corpo, diviso in tanti punti di osservazione.
Questa è forse la tua frase più potente: la consapevolezza non è “mia”, è un punto di vista dentro un processo più grande. Meditare significa spostarsi da quel punto di vista al processo.
Se vuoi, posso trasformare questo testo in:
– una versione più breve e incisiva;
– una versione formalizzata da inserire nel Manifesto;
– una pratica guidata coerente con questi principi.
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