giovedì 2 settembre 2021

L'albero dell'immortalità

 

Quando muore un animale, ci sembra che debba soffrire meno di noi uomini, perché non ha coscienza di ciò che gli sta succedendo. Ma noi non abbiamo scampo; noi sappiamo che moriremo, e questo è la fonte di ogni nostra angoscia.

La coscienza, purtroppo, è sempre qualcosa che fa paura, non è mai una coscienza felice. Non solo sappiamo che moriremo, ma ci rendiamo conto che la nostra individualità, che ha fatto tanta fatica ad emergere e a consolidarsi, dovrà sparire per sempre. È questo che non accettiamo. Perché gli dei hanno riservato per se stessi l’immortalità e l’hanno esclusa per noi uomini? È un interrogativo che ci poniamo da tempo immemorabile, per esempio nel poema sumero di Gilgamesh.

Anche nella Bibbia, scopriamo che ci sono due alberi e il secondo è quello dell’immortalità – che ci è severamente vietata da Dio stesso: “Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!”

Dio è geloso, Dio ha paura che l’uomo arrivi alla conoscenza e diventi un concorrente.

Ma, poiché quel Dio è una nostra stessa creazione, una proiezione dei nostri desideri, il monito viene da noi stessi, supremo esempio di alienazione.

L’uomo desidera essere immortale, ma ha paura di quel che succederebbe. Perché vorrebbe diventarlo a modo suo, attraverso la scienza e la tecnica, nel tempo e nello spazio, senza rendersi conto che l’immortalità è qualcosa da cui esce per diventare un essere individuale.

Abbiamo tutti una natura immortale. Ma vi rinunciamo per essere individui. Ecco il dramma dell’uomo. Il problema è l’individualità, l’io, l’ego.

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