A
volte ci sentiamo dei semidei, pieni di forza e capaci di grandi imprese; altre
volte ci sentiamo depressi, brutti e incapaci di tutto. Sono gli alti e i bassi
della vita basata sull’ego. Ma c’è un’altra possibilità, non più basata né
sull’esaltazione né sull’avvilimento.
Quando
siamo calmi e presenti - senza aspettative, senza voglia di giudicare, senza
desiderio di dare voti o di definire - in fondo non pensiamo neppure al nostro
io. L’ego ci sarà, ma non sporge eccessivamente a causa del nostro
auto-giudizio, positivo o negativo.
La
scomparsa o l’attenuazione del senso dell’io non significa andare verso il suo
annullamento, ma evitare giudizi, concetti e valutazioni, trovando un nuovo
spazio di manovra. Prima di sputare sentenze, prima di dire “io sono” o “io
sono questo o quello”, io sono… molto
più liberamente, spontaneamente e felicemente. E, a pensarci bene, forse non
sono affatto. Chi lo sa cosa c’era il momento prima che pensassi al “mio” io?
Forse
non c’era proprio nessuno, c’era un vuoto, perché anche il senso dell’io è
intermittente. Quando non pensavo all’io, c’era un senso dell’essere del tutto
naturale e rilassato, non il senso dell’io abituale, che diventa un’ossessione,
una sfida, una rigidità dolorosa.
Quando per esempio ci domandiamo
che fine farà il nostro io dopo la morte, o quando vogliamo valutarci in
rapporto agli altri o alle esigenze sociali, ce ne facciamo davvero
un’ossessione, una fissazione, e l’io fa male, molto male. Diventiamo egocentrici, nel bene o nel male.
C’è
un’altra possibilità – di essere un io-senza-io. Essere un non-io che non ha
bisogno (per essere) di confinarsi in giudizi. In tal modo ci liberiamo dall’io
egocentrico, e non per questo finiamo nel nulla. Il vuoto originale che c’era
prima è perfettamente compatibile con la vita, ed anzi funziona molto meglio.
Infatti
ci sono molti altri momenti in cui viviamo bene senza l’ossessione dell’io, per
esempio quando siamo assorbiti in qualcosa di piacevole, dal guardare un film
che ci piace al fare l’amore.
Ed
è questo cui alludiamo con la morte o la trascendenza dell’io. Non sparire nel
nulla, ma liberarsi di una corazza rigida e dolorosa.