Secondo il mito platonico – ripreso da Aristofane – un
tempo c’erano esseri umani androgini (maschili e femminili insieme) che erano
molto potenti e suscitavano l’invidia e il timore degli dei, i quali un giorno li
divisero a metà; e così da quel momento le due metà si cercarono a vicenda per
riunirsi. “Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà il nome amore”
(Platone, Simposio).
Quello che è evidente è che nella ricerca d’amore c’è
un tentativo di fusione. I due si riuniscono sessualmente per dar vita alla
completezza. In effetti, al culmine dell’unione sessuale, ci si dimentica del
proprio io e si trova questa fusione, che però può avvenire solo per pochi
istanti. Finito l’atto, i due ritornano divisi.
Dopo essere usciti dall’utero materno, maschi e femmine
cercano di ritornarvi, e questo avviene attraverso il massimo del piacere, l’orgasmo.
C’è da dire che nell’orgasmo si trascende per un
istante la dualità e l’individualità, e non ci si trova tanto male. Anzi, c’è
il massimo del godimento.
L’individualità, pur essendo una grande conquista, è
anche un grande peso, tant’è vero che tutti cercano di liberarsene.
Ora, questi sono i due movimenti basilari dell’essere
umano: l’acquisizione dell’individualità e il tentativo continuo di superamento
e di fusione. E quest’ultimo si presenta come il massimo dei piaceri.
Resta il fatto che alla fine, con la perdita dell’individualità
dovuta alla morte, si dovrebbe tornare nel grande alveo, il grande vuoto che è
in realtà l’origine e il fine della vita. Il grande Orgasmo.
C’è dunque speranza nella morte.
E lasciamo perdere gli dei, che sono sempre i nostri
nemici.
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