Il principio della teologia negativa (o
apofatica) è chiaro e semplice: di Dio possiamo dire solo ciò che non è, ma non ciò che è. Dio è bene? No.
Dio è amore? No. Dio è giudice? No. Dio è padre? No. Dio è cocienza? No… e così
via. Il fatto è che, se Dio (il principio primo o ultimo) è trascendenza e
unità, il nostro linguaggio – tutto dualistico – non è in grado di definirlo. Parlare
di bene, amore, paternità, ecc. significa utilizzare concetti ed esperienze
umane, che niente hanno a che fare con la trascendenza. La trascendenza è tale
proprio perché supera ogni definizione mentale.
Quando perciò ci esprimiamo con il
linguaggio umano, l’unico che conosciamo, non parliamo della trascendenza, ma
di qualcosa a misura umana. In particolare, la trascendenza non è duale, non
risponde al principio di causalità e non è non è un individuo separato.
Ora pensiamo a quanto si è sbrigliata
la fantasia umana a immaginare gli attributi di Dio. O pensiamo alle prove dell’esistenza
di Dio, tutte basate sulla logica umana.
Niente di tutto questo può cogliere il
Divino, che si presenta, semmai, solo quando la mente umana si mette da parte.
Dobbiamo esserne consapevoli e smettere di ridurre Dio a nostra immagine somiglianza.
Le religioni, con le loro rivelazioni,
con le loro teologie, con i loro rituali, con i loro libri sacri, con i loro
sacerdoti e con le loro guerre sante hanno fatto scempio di Dio.
Dio non è stato ancora “capito”.
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