giovedì 19 agosto 2021

L'esistenza come mancanza

 

Nessuno è disposto ad ammettere di non esistere, di non essere. Sentendosi vivo, presente e consapevole, non può accettare di essere una pura apparenza, un riflesso, un sogno, un’ombra. E, anche se fossi un ombra – ragiona – dovrebbe esserci qualcuno che la proietta. Dunque…

Ma una volta che cerca di cogliere questo soggetto, non ci riesce.

La verità è che noi ci cogliamo sì vivi, ma con un senso di mancanza, di incompletezza, per non dire di sofferenza. Ogni volta che cerchiamo di afferrarci, ci trasformiamo in oggetti e quindi ci sfugge il soggetto.

Il fatto è che questo esistere è uno stato quanto mai incerto e precario; non è per niente qualcosa di solido e completo. E sappiamo benissimo che in certi momenti, per esempio quando dormiamo o quando siamo sotto sedazione, siamo assenti.

L’esistere è qualcosa che va e che viene, uno stato secondario, un secondarismo deteriore… rispetto a qualcosa che sentiamo come primario.

Da una parte la coscienza ci dice che siamo e in parte chi siamo, ma dall’altra ci dice che siamo incompleti, cangianti, evanescenti, appesi su un burrone, pronti a precipitare nel nulla.

Il problema è che lo stato originario delle cose, e quindi anche il nostro, non ha affatto bisogno di esistere. È completo e soddisfacente così com’è. E questo che ci spiazza.

Prima ci sembrava che l’esistere fosse la settima meraviglia, un colpo di fortuna, ma ora scopriamo che è solo una scadente emersione temporanea, come quella di un tronco trascinato dal mare, che ogni tanto esca per brevi istanti dall’acqua.

 

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