Qualcuno
sostiene che in tempi di pandemia aumenti la religiosità. Più che altro,
aumenta da una parte il terrore di morire e dall’altra il desiderio di vivere,
di amare e di avere un Dio protettore e magari un’altra vita in qualche
paradiso o qui sulla Terra. Sempre la stessa storia: gli uomini non accettano
di dover morire. È religiosità? Senza la paura non ci sarebbero religioni?
Dostoevskij
scriveva: “Nonostante tutte le perdite che ho subito, io amo ardentemente la
vita, amo la vita per la vita…”
Lo
stesso fenomeno avviene durante le guerre. Da una parte la paura, la quale
aumenta dall’altra parte il desiderio.
Ma
che cos’è questo amore per la vita? Anch’esso parte dalla paura di perdere?
In
effetti nasce da un senso di mancanza e da una spinta a riempirla. In tal senso
non è un buon segno. È la dimostrazione che soffriamo perché siamo privi di
qualcosa.
Chi
ha qualcosa non ha bisogno di desiderarla.
Noi desideriamo ciò che non abbiamo – quell’unità fondamentale che non potrà mai essere realizzata se non con l’annullamento dell’individualità. Il che avviene solo con la morte.
Gli
uomini non vogliono la verità sul loro stato – ma quella verità che a loro
appare comoda. Se è scomoda, se non è consolatoria, se non corrisponde alle
loro illusioni, non l’accettano.
Nessun commento:
Posta un commento