Liberarsi, d’accordo. Liberarsi da tutti
i condizionamenti mentali – e già questa è un’impresa disperata. Ma poi cosa
succede?
Resta sempre la convinzione d’essere un
individuo. Non è questo il dogma fondamentale, l’ancora cui ci attacchiamo?.. L’io,
l’io sono? A tutto siamo disposti a rinunciare, ma non a questa fede. Che ne
sarebbe di noi, della nostra identità?
C’è però un’altra possibilità: che la
nostra vera identità sia un’altra, sia oltre.
Qualcosa che non ha neppure bisogno di esistere, di essere, di essere
coscienti.
E il bello è che questa vera natura è
sempre lì, è sempre presente e disponibile. E siamo noi che, con tutte le
nostre attività, fisiche e mentali, la occultiamo.
Allora la meditazione diventa un dimorare
in essa.
Spesso ripetiamoci: “Io non sono questo,
io non sono quello, io sono altro…” E osserviamo.
In quel momento, siamo colui che osserva
e che non aderisce più alla personalità abituale, all’io. Siamo ciò che osserva
il gioco del mondo e della coscienza. “Tutto è maya, tutto è lila, il gioco dei
contrari… Ma io non lo sono. Io sono oltre”.
Ecco, dobbiamo ricordare la nostra prima
origine e radicarci in questo oltre,
da cui le parole e i concetti – come dicono
le upanishad - recedono.
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