In varie religioni e mitologie (e perfino nella scienza) si ricorre alla metafora
della luce per raccontare la creazione. Dio accende la luce là dove non c’era
che tenebra. Il mondo viene creato accendendo la luce che illumina l’universo.
Dio è la luce e i suoi nemici sono il buio. E da quel momento si ingaggia una
battaglia tra luci e tenebre, fra bene e male, fra chi costruisce e chi distrugge… Et fiat lux!
(Ma già questo quadro non è reale. Gli opposti non sono affatto antinomici, poiché si sostengono a vicenda.)
Allora una domanda sorge spontanea. Dove stava
Dio fino a quel momento? Stava alla luce o al buio? Perché, se era alla luce,
allora il buio lo ha creato lui. E, se era al buio, allora che Dio della luce
era?
Oppure stava in un terzo stato? Né luce né
tenebre, oltre la luce e le tenebre. Ma a questo punto la nostra immaginazione si
arrende.
No, lasciamo stare queste antiche metafore
dualistiche, dove affonda lo stesso Creatore, con il suo rapporto di
causa-effetto.
All’inizio e alla fine non c’è niente di
tutto questo, per il semplice motivo che non c’è la mente umana.
La mente divina, qualunque cosa sia, è oltre
il dualismo e le contrapposizioni della mente umana. E chi ha creato il mondo
(o ciò che ha creato il mondo) non aveva la nostra razionalità divisiva e
distintiva.
Questo ci pone gravi problemi. Perché, se il
nostro pensiero non è in grado di pensare l’origine, dobbiamo ricorrere ad un’altra
facoltà. Che noi chiamiamo meditazione. Ossia, la capacità di osservare con
distacco il lavorio mentale e l’opera della coscienza, identificandosi non più
con ciò che percepiamo e pensiamo, ma con il testimone di tutto ciò, che è il
ponte fra questa dimensione e la dimensione originale.
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