Il nostro universo e la nostra coscienza
sono l’infinito che si è ristretto o qualcosa che vuole nascere dal nulla? Sono
la luce originale che si è ridotta o una piccola luce che inizia a brillare nel
buio e vorrebbe espandersi? Sono il Dio che si è autolimitato o il Dio che
cerca faticosamente e dolorosamente di emergere?
Contrapposizioni che sanno di antinomie
mentali e che dunque non possono essere risolte. Una visione trascendente
sarebbe capace di superarle verso l’unità. Ma non noi.
Noi abbiamo problemi concreti: come mangiare
e come combattere povertà, malattie, invecchiamento e morte. Eppure, se non
rispondiamo a queste domande, non sappiamo se valga la pena vivere e
combattere, o se sia tutto un gioco illusorio, per cui tanto vale non far
niente.
Resta il fatto che siamo sofferenti, anche
quando stiamo fisicamente bene.
Farsi una risata aspettando l’annientamento
o guardare atterriti la nostra disgregazione? O l’uno e l’altro, secondo l’umore?
C’è chi crede in un Dio per combattere l’angoscia,
per affidarsi a un’autorità Superiore (ci pensi lui!). M anche questo è un
sintomo di sconforto. Una resa senza condizioni.
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