Siamo giunti al punto in cui ci si pone un
dilemma: il mondo è qualcosa di degenerato o qualcosa di non ancora evoluto?
Degenerato nel senso che prima era pura coscienza e poi si è imprigionato nella
vita materiale (ma perché avrebbe fatto questo errore? Che ci guadagna?). Non
ancora evoluto nel senso che è il prodotto di una forza che si fa strada
faticosamente da un’oscurità primordiale e cerca di sviluppare una coscienza di
sé (il Dio che verrà).
Nella prima ipotesi siamo ancora al mito
della caduta e del peccato originale; nella seconda ipotesi siamo ad una
visione evoluzionistica.
Agli effetti pratici, la situazione non
cambia – il mondo resta una realtà arretrata, limitata e insoddisfacente. Ma,
in prospettiva, mentre la prima ipotesi è negativa e senza speranza di
miglioramento, se non in un ipotetico aldilà o in continue rinascite
riparatrici, la seconda ipotesi lascia aperta l’idea che, col tempo (tanto
tempo), le cose possano migliorare.
I prezzi da pagare sono comunque alti – non
possiamo limitare le sofferenze e dobbiamo lottare tutti i giorni contro enormi
ostacoli. Questa è la realtà qui e ora. Non bella, non consolante. E,
soprattutto, almeno nel secondo caso, non c’è niente di sicuro. L’esperimento
può sempre fallire.
E le cavie siamo noi.
Ma le cose non sono così tragiche. Entrambe
le ipotesi si fondano su un presupposto: che il tempo sia qualcosa di
oggettivo. Mentre, una volta sparita la coscienza, svanisce anche quella sua
particolare proiezione che è il tempo.
Agli occhi di Dio, ovvero dopo la morte, tutto è nel presente e non ci sono
più né percorso né meta.
Dio non fa nulla – non deve far niente. È la
mente che crea e proietta tutto, tempo compreso. Quindi, non si tratta che di
giochi.
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