Noi e tutti gli esseri viventi abbiamo uno
spontaneo senso di esistere, che corrisponde a una rudimentale forma di
coscienza. Ma non una generale forma di coscienza, bensì una forma di coscienza
legata a un corpo e ad un determinato io. Anche il cane, la formica o la rosa
hanno la stessa consapevolezza naturale, seppur in misura maggiore o minore.
Però l’uomo più evoluto può avere un senso
di essere non più legato solo al proprio corpo e alla propria persona. Perché
può pensare e percepire l’essere svincolato dalle proprie caratteristiche
somatiche e psichiche. “Io non solo esisto qui e ora, ma sono! Io non sono solo
questo o quello, ma sono!... Io sono e basta!” Si trasforma così nel testimone
del proprio esistere.
Tra i due stati di consapevolezza c’è una
bella differenza. Il primo è legato al piccolo io. Il secondo ne è svincolato,
è separato dal corpo e dalla mente.
Questo passare da un semplice senso di esistere
in un corpo e in uno spazio-tempo al senso di essere è il movimento della
meditazione.
Resta il fatto che anche questo senso di
essere dipende in ultima analisi da un corpo e da una mente. E sparirà con
loro.
Che cosa rimarrà allora?
Potremmo dire che non rimarrà nulla. Ma
questo nulla non è nessuna cosa: è piuttosto qualcosa al di là tanto dell’essere quanto del non essere. Sta
prima o dopo. Questa è veramente la nostra natura ultima o prima. Che però non
può essere descritta a parole.
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