sabato 5 settembre 2020

Viveka

 

Viveka in sanscrito significa discernimento tra vero e falso, chiara comprensione. Ed è una facoltà molto utile perché a volte le cose le sappiamo solo confusamente o non ci pensiamo affatto.

Per esempio, noi sappiamo di essere e di essere coscienti. Ma più in là non andiamo. Siamo circondati da troppi misteri. Sappiamo soltanto che il senso di essere e la coscienza sono legati al corpo e alla mente, e sono destinati a sparire.

Ma non sappiamo da dove vengono. Prima che nascessimo e ci formassimo non c’erano, poi compaiono e infine scompaiono. C’è qualcosa che ci sfugge, che non è affatto chiaro. Ed è qui che dobbiamo usare viveka.

Per farlo, dobbiamo osservare meglio il fenomeno della coscienza, che è alla base del senso di essere. Se questi compare e scompare, come per un gioco di prestigio, vuol dire che viene da una condizione preesistente che non ha affatto bisogno di una tale consapevolezza.

C’è qualcosa prima che può “essere” senza il senso dell’io. Per noi è impossibile definirla perché i nostri concetti sono duali ed hanno bisogno di un soggetto. Ma colui o ciò che ne è consapevole è a sua volta un pezzo di quel quid indefinibile.

Ecco perché la meditazione deve essere una reintegrazione di ciò che c’era prima di tutto, prima della coscienza stessa.

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