giovedì 17 settembre 2020

Il paradosso della conoscenza

 

Il paradosso è che ciò che crediamo di sapere di noi stessi non è vero, perché la nostra conoscenza abituale – quella fatta di concetti, parole, definizioni, contrapposizioni, immagini e percezioni - non può cogliere ciò che siamo veramente, in prima o in ultima istanza. Mentre infatti la nostra conoscenza è duale (cioè conosce ciò che è diverso da sé), il Sé, l’atman, non è duale (ossia è prima del sapere nostrano).

A noi sembra di essere un certo corpo-mente, e lo siamo in questo mondo. Ma il Sé è anteriore a questa conoscenza: è ciò che conosce e non ciò che è conosciuto. È il testimone.

Nel mondo del Sé non c’è né inizio né fine, né tempo né spazio. Mentre per il nostro ego attuale, la fine del corpo-mente è terrorizzante e fa sperare in qualche Dio che ci salvi, per il Sé la morte è una grande gioia. È la fine delle illusioni.

C’è dunque una bella differenza tra chi muore con la convinzione di essere un ego dotato di corpo-mente e chi è convinto di essere già al di là. Ciò che muore è un’apparenza, un rivestimento, un’illusione.

La conclusione è che non possiamo conoscere con i nostri concetti ciò che siamo veramente, ma solo esserlo.

Da qui la necessità dell’immedesimazione meditativa e l’inutilità delle preghiere e delle altra pratiche religiose che sono solo prodotti della mente.

Nessun commento:

Posta un commento