domenica 28 novembre 2021

Viraga, il distacco

 

Ci sono tante persone che sono abituate a mentire non solo agli altri ma anche a se stesse. Di conseguenza sono degli alienati, degli infelici. Perché una cosa è certa: che chi non è se stesso, è doppiamente infelice.

All’inizio, in meditazione, tutti cerchiamo la felicità e la nostra vera identità terrena – e non è una via sbagliata. Tutti cerchiamo benessere e gioia. Ma, man mano che approfondiamo, scopriamo che anche la felicità e l’io non sono che increspature di un mare che ha mille movimenti.

Ora noi vorremmo andare oltre tutti questi movimenti. Non cerchiamo le increspature fenomenologiche della realtà, ma la realtà stessa, nella sua nudità o nuda identità. Vogliamo andare oltre la dimensione umana.

Meditare è tenere desta una consapevolezza di fondo che ci avverte di tutte le increspature, ponendoci nel punto centrale, nell’occhio, del ciclone, e donandoci il distacco (viraga).

Viraga è lo stato al di là dei movimenti mentali, delle passioni, dei desideri. Almeno finché dura la meditazione.

Dopo aver trovato la calma (samatha), ecco che ci inoltriamo nella visione profonda (vipassana), la visione che tocca il fondo della cose.

Chi medita osserva e vede con sempre maggior chiarezza i movimenti, i metodi, gli strumenti e le strategie con cui si tiene in vita il mondo. Vede la dialettica, l’andare e il venire, e l’impermanenza del tutto. E man mano se ne distacca.

Lo stesso Buddha diceva che, come il mare diventa profondo poco alla volta, gradualmente, “così in questo insegnamento e in questa pratica, vi è un esercizio graduale, un’azione graduale, uno svolgimento graduale, e non un accesso subitaneo alla conoscenza suprema” (Anguttara Nikaya, 8, 19).

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