domenica 31 ottobre 2021

Il Grande Banchiere

 

Noi sentiamo la necessità che l’universo sia morale, che se qualcuno compie un’azione malvagia o buona debba essere in qualche modo punito o ricompensato. In sostanza siamo esseri morali.

Peccato che l’universo non sia affatto morale.

O, per meglio dire, l’universo risponde a una legge di equilibrio che non rientra nell’etica, ma nell’economia. Tutto deve tornare, i conti devono tornare: il male e il bene si deve compensare. Ma non a livello individuale, bensì a livello generale.

Tutto si tiene: questa è l’unica morale. Ad ogni azione corrisponde una reazione: questa è una legge della fisica.

La morale individuale non c’è. C’è la necessità che tornino i conti. I profitti e le perdite devono compensarsi, in modo che la somma sia sempre zero.

Ed ecco nascere il bisogno di un Dio etico, di un Dio che regoli i conti. Ma un Dio del genere non avrebbe mai fatto un mondo in cui per gli individui non tornassero i conti.

È chiaro che in una banca i conti devono tornare – o fallirebbe. Ma, all’interno di quei pareggi di bilancio, qualcuno ci perde e qualcuno ci guadagna.

Ecco perché le religioni teiste ci presentano Dio come un padrone che vuole “regolare i conti” o addirittura come una banchiere. Ma che brutta etica è questa! E chi è che crea fin dall’origine le ingiustizie?

 

La grande presenza

 

Quando nel silenzio udiamo un suono, non è difficile percepire la sua comparsa, la sua durata e la sua estinzione. Ma che cosa c’è dopo la sua fine? C’è il silenzio.

In realtà il silenzio c’era anche prima. Il suono in sostanza esce dal silenzio, si distingue dal silenzio e ritorna nel silenzio. È come un’onda che nasce, si solleva e svanisce di nuovo. È come se le cose uscissero dal nulla (o da un tutto informe, prendessero forma e vi ritornassero. Come onde, come increspature di quel nulla.

Ora, tale processo avviene per tutti i fenomeni, dalla nostra stessa esistenza al movimento dei pensieri.

Se osserviamo un pensiero, vediamo chiaramente che appare, si sviluppa e svanisce. E alla fine che cosa rimane?

Il silenzio, il vuoto o la tensione generica, la presenza, che c’era prima.

Per meditare dobbiamo concentrarci proprio su questo silenzio, su questo vuoto – che non è affatto una mancanza, ma una grande presenza.

Questo perché l’universo o il tutto sono presenti a se stessi, fin dall’origine.

 

sabato 30 ottobre 2021

Presenza mentale

 

Purtroppo non possiamo fare a meno della mente, nemmeno quando cerchiamo di superarla. Lo scopo della meditazione sarebbe quello di trascendere la mente convenzionale, il linguaggio, i concetti e le sensazioni dualistiche. Ma è chiaro che il processo è guidato fino a un certo punto dalla mente stessa, una mente che non vuole affatto, però, farsi mettere da parte. C'è sempre una resistenza e una paura.

 E' come fare un tuffo da un trampolino: ci avviciniamo alla punta guardinghi e paurosi - ma alla fine che cosa ci fa decidere di saltare? Non è più la mente prudente e tremebonda; è un lasciarsi andare, un lasciar andare, un affidarsi al tutto sperando in bene, una specie di coraggio o di incoscienza. Per questo si parla di non-mente.

Ciò che ci fa saltare è già al di là della mente, è il "non" della mente.

In pratica, l’unico modo di trascendere la mente discorsiva, basata su pensieri contrapposti e quindi su un linguaggio duale, è l’attenzione, la vigilanza. Quando siamo veramente attenti e interessati a qualcosa, in realtà non abbiamo tempo per pensare; siamo come un animale che avanza circospetto nella giungla, attento a percepire ogni segnale.

Questo dà un’idea di che cosa sia la presenza mentale: essere attenti in massimo grado tenendo conto dell’esterno e di noi che vi siamo dentro. Una specie di visione sintetica che non ha tempo da perdere in pensieri.

È un po’ come fare l’amore: siete concentrati al massimo senza più riuscire a distinguere fra voi e l’altro. Meditare è questa unificazione improvvisa.

Non si può dire che la mente non funzioni, ma non è più divisa. Si trova unificata in un unico punto. Oltre questo punto essa non è più la mente convenzionale.

venerdì 29 ottobre 2021

Gli utili idioti

 

Ogni tanto si dicono e si fanno credere delle sciocchezze enormi… che diventano convenzioni, luoghi comuni, religioni. Per esempio, si proclama che “Dio è amore”.

Sarà anche amore, ma sarà anche tante altre cose… odio, guerra, competizione, morte, ecc. Nei tempi antichi, secoli prima di Cristo, si coglieva bene la realtà. Per esempio, Eraclito diceva che “il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame…” comprendendo il dualismo dialettico del mondo e del suo presunto autore. La stessa cosa diceva in Cina il taoismo, con i suoi yang e yin.

Poi sono arrivate pessime religioni che hanno stravolto perfino l’evidenza delle cose, attribuendo all’Origine solo attributi positivi e e relegando a qualche volontà demoniaca o a qualche peccato originale tutto il resto. Troppo facile, troppo ingenuo, troppo falso.

Il mondo è quello che è, spietato e violento, anche quando c’è di mezzo l’amore, che è poi il mezzo per farlo andare avanti, per dare un contentino ai disperati.

Tutto questo per nascondere il volto osceno dell’universo. E la gente crede ancora a simile propaganda - per non voler vedere tutta la realtà, per salvare la faccia del principio generatore.

È come la pubblicità dei nostri tempi: compra questo e sarai felice, mangia questo e starai solo bene. Si oblitera metà realtà, le parti sgradevoli del mondo.

Ma, a forza di nascondere e obliare, non si è più pronti né a vedere né a capire né a sopportare il male. Diventiamo tanti idioti alienati.

La meditazione, il voler guardare in faccia l’insieme del bene e del male, senza nascondere i lati negativi, è la cura a questa imbecillità religiosa.

 

giovedì 28 ottobre 2021

Vincere la paura

 

La verità-realtà dovrebbe essere qualcosa che non muore, eterna. Ma il mondo in cui viviamo segue un altro modello che potremmo definire di creazione-distruzione, di nascita-morte – non solo per quanto riguarda le cose al di fuori, ma anche quelle dentro.

Siamo sempre in guerra contro gli altri e contro noi stessi, e siamo sempre a contare chi nasce e chi muore. Le guerre esterne sono visibili a tutti, mentre quelle interne sono invisibili ma non meno aspre. Per esempio, lottiamo contro parti di noi stessi che non approviamo: la rabbia, l’invidia, la gelosia, l’impazienza, la lussuria, la distrazione, la violenza, ecc. Poiché ci sembrano parti negative cerchiamo di annientarle, senza capire che sono un tutt’uno con le parti che riteniamo positive.

Il modo di capire il nostro mondo è molto semplice: ciò che muore, ciò che finisce, ciò che scompare (dopo essere comparso per motivi a noi ignoti) non è vero, non è reale, è apparente, è provvisorio, è illusorio, è pauroso.

Quando abbiamo paura, cerchiamo di fuggire, di negare o di distruggere. Ed è per questo che il conflitto non cessa mai e, con esso, le nascite e le morti.

Ora cambiamo modello. Se restiamo fermi e concentrati a guardare il mondo che muta, entriamo in un’altra dimensione.

È come stare su un aereo avendo paura di volare. Quando abbiamo paura, ci nascondiamo, chiudiamo gli occhi, cerchiamo di non guardare.

Ma, se vogliamo vincere la paura del divenire, è meglio sedersi davanti al finestrino o nella cabina del pilota e abituarci a guardare con la massima attenzione il paesaggio, noi stessi, l’aereo e tutto.

Aprire gli occhi e contemplare con presenza mentale è il modo migliore per vincere la paura ed entrare nella dimensione di ciò che non nasce e non muore.

mercoledì 27 ottobre 2021

Cercare maestri

 

Attenti a cercare maestri o fedi! Meditare non è assumere un atteggiamento fideistico, devozionale, ma un atteggiamento conoscitivo personale, una mente critica, la possibilità di dubitare. Le fedi nascono da messaggi altrui, da maestri, da profeti, da tradizioni, ecc., non da esperienze personali.

“Non avrai altro (Dio o) maestro all’infuori di me” è come dire che qualcun altro ha il monopolio della verità. Il che non ha senso: sei tu che devi verificare, non un altro. Oltretutto, chi lo dice vuol creare un attaccamento, un legame di dipendenza, comunque un condizionamento; e rivela una personalità egocentrica, accentratrice, una forma di gelosia possessiva, non certo un atteggiamento illuminante.

Che cosa diremmo di un padre o di una madre che dicessero: “Tu devi rimanere attaccato tutta la vita a me”?

Il maestro può aiutarti, ma non sostituirti a te.

La tradizione può distruggere – come dice Krishnamurti – “la viva bellezza del presente”.

martedì 26 ottobre 2021

Sranieri nel mondo

 

Facciamo conto di trovarci in un film. Noi siamo gli attori. Ma questa non è la nostra vera identità. La nostra vera identità è quella di chi assiste al film, dello spettatore, del Testimone. Ovvero, siamo contemporaneamente sia gli attori che recitano una parte sia gli spettatori.

Non se se avete mai avuto l’impressione di essere degli estranei, di trovarvi in un mondo che non è il vostro. Non è vostro non solo il mondo ma anche la vostra famiglia. Forse siete stati adottati, forse siete degli alieni.

Bene, questa è la verità. Siete degli estranei, recitate una parte che il destino vi ha assegnato.

La meditazione spezza l’incantesimo, l’illusione, l’apparenza delle cose, la recita.

Qualcosa in voi vi dice che tutto ciò è irreale, che la vostra vera identità è altrove. Ed ora la cercate.

C’è un’antica parabola orientale. Un leoncino si perde e viene adottato da un gregge di pecore. Lui cresce belando, mangiando erba e sentendosi in tutto e per tutto una pecora.

Ma, un giorno, mentre il gregge si abbevera a uno stagno, compare un grosso leone. Le pecore fuggono spaventate e il leoncino si aspetta da un momento all’altro di essere divorato. Invece il leone si ferma e gli dice: “Che cosa fai qui?” “Faccio la pecora.” “Ma non sei una pecora.” “E che cosa sono?” “Guarda tu stesso.”

Il leoncino si affaccia allo stagno e specchiandosi scopre di essere più simile al leone che alle pecore.

Allora emette per la prima volta un ruggito e scopre la sua vera identità.


lunedì 25 ottobre 2021

Il pensiero della morte

 

Nessuno è felice quando pensa che, comunque vada, il suo destino sarà la morte. E questa paura è non solo il fondamento di tutte le paure, ma anche di tutte le nostre domande sulle religioni, su Dio, sull’anima e su che cosà succederà “dopo”. 

Il problema però è che, quando siamo investiti da queste paure e da questi interrogativi, non ci troviamo nella disposizione d’animo giusta – nel senso che siamo troppo attaccati alla vita, all’io, al mondo, ai nostri affetti, ai nostri amori e odi, alle nostre proprietà fisiche e psicologiche.

L’atteggiamento giusto è un altro… quando non siamo attaccati a nulla, non ci chiediamo nulla, non siamo legati a nulla, non ci sentiamo nulla… Allora guardiamo con un sorriso all’intero ciclo delle nascite e della morti. Anzi, sappiamo che è una semplice illusione, con le sue paure e le sue speranze. Tutto un bla bla mentale.

 

domenica 24 ottobre 2021

La migliore felicità

 

In meditazione cerchiamo stati di tranquillità e di pace, non per un quietismo fine a se stesso, ma perché la passionalità e l’agitazione portano a sofferenze peggiori. Fateci caso: quando provate odio, rabbia o avversione avete già la vostra punizione senza dover aspettare nessun inferno. Infatti vi trovate in uno stato nevrotico in cui consumate voi stessi e non trovate riposo.

Ma anche quando siete troppo attaccati a qualcosa o a qualcuno, primo vivete nella paura di perderlo e secondo, se lo perdete, cadete nella disperazione. Ecco perché è sempre preferibile mantenersi lontani dagli estremi, senza respingere e senza attaccarsi. Ecco perché la chiara distensione è la via verso la pace.

E la pace mentale è migliore di ogni altra felicità.

Applichiamo la consapevolezza ai nostri variabili stati mentali, esaminiamo che cosa ci eccita e che cosa ci calma, e già abbiamo la via verso la saggezza.

La felicità non come stato estremo, ma come sereno godimento.

sabato 23 ottobre 2021

L'importanza del corpo

 

Qui sulla Terra la Forza creatrice della coscienza ha trovato questo corpo, con due braccia, due gambe ed una testa con un cervello, per dar forma a se stessa. Non sappiamo se sia bello o brutto, ma è comunque un prodigio di funzionalità.

Il problema è che si tratta di un “mezzo abile” abbastanza fragile. È fatto per durare un certo numero di anni e può facilmente deteriorarsi.

Senza questo corpo la coscienza non avrebbe modo di manifestarsi, perché ha bisogno di una certa configurazione fisica. In fondo è un po’ come un abito… sotto il quale però si nasconde qualcosa di invisibile, senza forma. A meno che la coscienza possa assumere una configurazione energetica di tipo diverso.

Il corpo è un mezzo limitato, facile ad ammalarsi e a morire. Ed è sempre causa di fastidi, di preoccupazioni e di dolori. Ma è anche la sede di bei piaceri.

Pur essendo un costruzione meravigliosa, ci darà problemi tutta la vita. È per così dire una soluzione provvisoria, finalizzata al contenimento di un cervello e di una mente. Ma non può certo essere la tappa ultima di una progressione evolutiva forse infinita.

Siamo per così dire ai gradini più bassi.

Forse è possibile scindere il principio vivente dal suo medium attuale, e trasferire la coscienza configurata in un altro “corpo”, magari di tipo energetico.

Ma la nostra identità ultima deve stare oltre il corpo.

venerdì 22 ottobre 2021

Avvicinarsi all'incondizionato

 

Se noi viviamo nel condizionato, se tutto ciò che sperimentiamo nasce e muore, appare e scompare, inizia e finisce, se ogni nostro pensiero, se ogni nostra sensazione è condizionata, come facciamo a capire l’incondizionato? Di che cosa parliamo? Parliamo di qualcosa che non conosciamo.

E allora i nostri discorsi sono chiacchiere filosofiche, semplici esercizi intellettuali, pensieri in libertà, senza alcun costrutto, senza alcuna realtà.

Il fatto è che noi possiamo guardare il proliferare dei pensieri e ci rendiamo conto che nascono l’uno in seguito all’altro, l’uno in seguito ad altre condizioni. Li guardiamo e capiamo che vanno e vengono e che non sono la verità. Non possiamo né dire né pensare l’incondizionato.

Però proprio questo è l’incondizionato – lo abbiamo in un certo senso delimitato. Di qua c’è la conoscenza condizionata, di là c’è il non conosciuto. Con questo non conosciamo l’incondizionato, ma possiamo dire che è in quella terra conosciuta. E che gli siamo più vicini quanto più riconosciamo di non conoscere.

Perché quanto più riconosciamo di non conoscere, tanto più delimitiamo il campo dell’incondizionato, del non conosciuto. Non è un po’ questo che facciamo con la meditazione? Delimitiamo il campo. Un po’ come Cristoforo Colombo che non sapeva che cosa c’era  laggiù, oltre il mondo conosciuto, ma che sapeva che, se c’era qualcosa, era laggiù.

Non troviamo né Dio né realtà trascendenti, ma riconosciamo la loro dimensione, il loro spazio.

Resta il fatto che è solo quando svuotiamo la mente dal noto, dal conosciuto, che ci avviciniamo allo spazio del l’incondizionato. E, per far così, dobbiamo riconoscere mille o diecimila o un milione di volte che l’incondizionato non è né questo né quello…

giovedì 21 ottobre 2021

Evitare gli alti e i bassi

 

In meditazione cerchiamo di non farci travolgere dai facili entusiasmi. Nessuno è più fastidioso di chi, dopo aver scoperto una nuova religione o una nuova fede, cerca di influenzare e convincere gli altri. Dovrebbe capire che anche questa è un’ambizione aggressiva. In fondo, un missionario è uno che vuole conquistare gli altri, che ha un desiderio di dominio. Non è così umile come sembra.

Con-vincere è pur sempre un tentativo di vincere.

Prima di farlo, rendiamoci conto della nostra ambizione e liberiamocene. Impariamo a svuotare la mente anziché riempirla di “nobili” ideali.

Riconosciamo le nostre ambizioni, i nostri desideri.

Se non ci facciamo travolgere dai facili entusiasmi, non ci facciamo neppure travolgere dalle altrettanto facili depressioni e delusioni, mettendo in moto quella dinamica psicologica che ci porta continuamente dagli alti ai bassi e viceversa.

In meditazione non cerchiamo l’eccitazione, ma ciò che ci permette di essere sereni ed equilibrati. Quando sentiamo parlare della ricerca della felicità, pensiamo subito che dopo cadremo nell’infelicità, perché il nostro mondo emotivo è una specie di altalena.

Anche quando sentiamo far tanta propaganda alla “bellezza della vita”, pensiamo subito che si cerca di nascondere con l’entusiasmo la sua bruttezza. Il saggio non stravede per l’esistenza, perché ne vede i lati negativi.

La vita non è un bene assoluto e può essere un dono sgradito. Avete mai detto ai vostri genitori: “Era meglio che mi aveste lasciato là dov’ero?”

In fondo molti nostri sforzi sono tesi a tornare là da dove tutto è iniziato – spesso in modo sbagliato.

mercoledì 20 ottobre 2021

Il vizio originale

 

Un astronomo di Harvard, Avi Loeb, sostiene che questo mondo con i suoi esseri viventi sarebbe stato creato da una civiltà aliena superevoluta.

Si tratta però di una vecchia teoria, rivestita di panni nuovi. Anche nell’antichità si credeva che siamo stati creati da un Dio o da un gruppo i dei; e molti ci credono ancora. Gli dei di una volta sono diventati semplicemente gli essere superevoluti di oggi.

L’idea è sempre quella. E, alla sua base, si trova la convinzione che noi esseri umani siamo piccoli, impotenti, ignoranti e condizionati. C’è sempre qualcuno “lassù” che ci domina.

Ma, alla luce di simili idee, non sarebbe ora di svegliarci e di ribellarci, anziché continuare a fare gli umili servi di qualche Autorità divina?

Le civiltà avanzate non sono nate così, ma si sono evolute a poco a poco, evitando le varie crisi autodistruttive.

Di vero c’è che questo mondo ha pesanti limiti. Il principale è che si basa sulla violenza, sulla prevalenza del più forte, sul conflitto e sulla guerra. Vi pare normale che gli esseri umani siano sempre in guerra e che costruiscano armi di distruzione di massa?

Sono bellicosi perché nell’evoluzione c’è la necessità di lottare. Quando sogniamo di vivere in un mondo di pace e concordia, dobbiamo essere consapevoli che il suo motore è il conflitto, la rivalità, la concorrenza. Ma è inutile attribuire questo peccato originale, questo vizio originale, agli dei o ad altri esseri evoluti. Qualunque sia la sua origine, ormai è dentro di noi e spetta a noi esserne consapevoli e fare qualcosa per eliminarlo.

Non bastano però le belle parole, i nobili principi, l’invito ad amarsi e i comandamenti morali. Ci vuole una profonda presa di coscienza, senza la quale gli uomini non possono essere consapevoli dei propri limiti.

Non riuscendo a vedere se stessi, si credono angeli decaduti. Mentre sono animali che non conoscono e non riconoscono i propri istinti assassini, la propria volontà di potenza e di prepotenza, che è la stessa presente in ogni forza vitale.

martedì 19 ottobre 2021

Il film mentale

 

Viviamo in un mondo illusorio anche perché seguiamo una specie di film nel nostro cervello, di cui ci crediamo protagonisti, fatto di ricordi del passato e di speculazioni sul futuro. Dunque, viviamo prevalentemente in un mondo immaginario.

Ogni tanto dovremmo fermare questo film mentale e tornare alla realtà del momento presente, qui e ora. Questa operazione (la meditazione), oltre a farci uscire da sogni, miti, pregiudizi, identità fasulle, soggetti evanescenti, preconcetti, sentimenti falsi, percezioni erronee, ha un potere risanante e illuminante.

Siamo tutti allucinati, drogati.

Non vediamo le persone, ma le nostre idee delle persone.

Non vediamo i fatti, ma le nostre interpretazioni dei fatti.

Il nostro sguardo è sempre distorto, le cose non sono come ce le immaginiamo.

Se intendiamo continuare così, continueremo a vivere nell’ignoranza, nella confusione e nella sofferenza. Se vogliamo darci un taglio, prendiamone coscienza.

Non c’è niente e nessuno che possa salvarci, perché nessuno può essere consapevole al nostro posto.

lunedì 18 ottobre 2021

Vincere le negatività

 

Siamo tutti ansiosi e insicuri, soffriamo tutti di paure e di incertezze, abbiamo tutti una specie di giudice interiore che è pronto a criticarci e a svalutarci… chi più, chi meno. E non serve a niente, quando le cose ci vanno male o quando dobbiamo prendere importanti decisioni, ricorrere a fedi, a presunte protezioni divine, ad amuleti, a “maghi”, a psicoanalisti o a consiglieri. Anzi, tutto questo non fa che accentuare la nostra confusione e la nostra insicurezza – ci sentiamo sempre di più foglie al vento che vengono sbattute qua e là da (e)venti troppo potenti.

Ma l’uomo ha una risorsa che gli altri esseri viventi non possiedono: la consapevolezza. Nel momento in cui diventa consapevole di ciò che gli sta succedendo, acquisisce un potere: va al di là  delle contingenze.

Certo è un breve momento. Ma, se si ricorda di moltiplicare e prolungare questo momento, il suo potere benefico si potenzia. Allora alle forze negative si contrappone un nuovo potere positivo.

Stando attenti, osservando, diventando sempre più consapevoli e rafforzando il nostro essere testimoni silenziosi e non-giudicanti, le cose prendono una svolta a noi favorevole.

Sembra una sciocchezza priva di importanza, ma questa è l’energia del risveglio, davanti a cui si inchinano le forze dell’universo.

Questa forza in apparenza così debole è la più potente di tutte.

domenica 17 ottobre 2021

Il risveglio della consapevolezza

 

Se ci fate caso, il vostro cervello è affollato tutto il giorno da pensieri, sensazioni ed emozioni, con cui vi identificate. Anche se credete di essere voi a pensare e a percepire, in realtà i pensieri, le sensazioni e le percezioni vi assalgono senza che possiate sceglierle o padroneggiarle. Sono i pensieri, le sensazioni e le emozioni che si affollano nella vostra mente, dentro di voi, in base a leggi di causalità e interdipendenza su cui non avete il minimo controllo. Chi siete allora veramente voi? Quelli che pensano o quelli che vengono assaliti dai pensieri?

Esaminate per qualche attimo il vostro io, il vostro complesso psicofisico, e domandatevi se siete voi a pensare abitualmente o se siete prigionieri di semplici reazioni all’esperienza.

Ecco il punto. Se vi ponete nella posizione dell’osservatore, del testimone, della consapevolezza, potete vedere di venire agiti, non di essere i soggetti ultimi delle vostre azioni e reazioni. Siete come una palla che rimbalza in seguito a diecimila urti con altre palle, non una palla che segue un proprio percorso autonomo.

Ma potete esserne consapevoli, e, nel momento in cui lo siete, salta fuori il vostro vero sé - che è colui che osserva. In quel momento vi risvegliate alla consapevolezza, al vostro centro ultimo.

sabato 16 ottobre 2021

Stare nel qui e ora

 

La presenza mentale, la consapevolezza (che è il fondamento della pratica della meditazione) non va intesa come una specie di sostanza divina. Non dobbiamo fare come i cristiani che fanno di tutto una sostanza dotata di personalità: Dio è una specie di persona (che non a caso si incarna in un uomo) e così è lo Spirito Santo.

La consapevolezza è una funzione, qualcosa che non esiste in sé, e trascende i pensieri e le immagini antropomorfe. Il nostro scopo non è pregare qualcuno, ma adottare una posizione riflessiva, applicare una funzione conoscitiva.

Invece di cedere allo svolgersi dei pensieri, con cui ci identifichiamo, ne usciamo fuori attraverso una diversa prospettiva dell’attenzione. E quindi ci poniamo in un atteggiamento di distacco. Noi non siamo i nostri pensieri, noi non siamo le nostre sensazioni, ecc. E chi o che cosa siamo?

Attenti a non rispondere a questa domanda, che vi farebbe finire inevitabilmente (attraverso i concetti) a supporre un io superiore o un’anima (altre idee astratte).

Noi rimaniamo nel qui e ora, senza andare a pescare ricordi (passati) o a fare congetture sul futuro. Noi restiamo nell’attimo presente, che è per così dire al di fuori del tempo.

L’io in fondo è una nostra idea. Ma restando nell’attualità che cos’è? E c’è?

giovedì 14 ottobre 2021

Nell'occhio del ciclone

 

Non bisogna illudersi che possano avvenire dei miracoli – per ora nessuno è in grado di compierli, per ora tutto ciò che si ottiene è solo il frutto di un duro lavoro. Anche in meditazione avviene la stessa cosa. Non ci si libera da condizionamenti millenari semplicemente applicando la consapevolezza. La vita resta difficile e complicata, la materia ha una sua pesantezza ineliminabile. Nessuno ha bacchette magiche.

Ma la consapevolezza mette un distanza fra noi e la realtà convulsa, fra noi e i nostri stati d’animo. I nostri corpi e le nostre menti restano fuscelli al vento. Però abbiamo finalmente un punto fermo, qualcosa che non muta al variare delle condizioni, qualcosa che è in mano nostra e non in mano alla dialettica degli eventi.

La consapevolezza è sempre attuale: non sta nel passato, che è un ricordo; non sta nel futuro, che è una congettura; ma sta qui in una mente presente e vigile che non vuol farsi trascinare dalle correnti del mondo, dai venti cosmici.

Mentre il nostro destino si compie inesorabilmente, noi contempliamo gli eventi negativi e positivi con equanimità, con distacco, lasciando all’io condizionato i desideri e l’avversione.

Per questo possiamo dire che “noi” non siamo consapevoli, che il nostro “io” non è consapevole. La consapevolezza viene da un’altra dimensione.

 

mercoledì 13 ottobre 2021

La conoscenza diretta

 

In meditazione non dobbiamo basarci su teorie o opinioni altrui. Non dobbiamo nemmeno fidarci dei concetti, che non coincidono mai con le cose reali. Anche ciò che siamo, o che crediamo di essere, è un concetto, dunque non centra l’obiettivo. Noi non siamo ciò che pensiamo – siamo sempre altro.

La nostra fiducia non deve andare ai miti, alle religioni, alle ideologie, atte tradizioni, alle cosiddette autorità. Nessuno è autorevole in questo campo.

La nostra fiducia deve andare a noi stessi, alle nostre esperienze, qui e ora. Queste sono le nostre uniche armi.

Dobbiamo conoscere di persona, verificare di persona; nessuno può farlo al posto nostro. Dunque dobbiamo indagare noi stessi e la nostra mente – soprattutto oggi che imperversano ingannevoli mezzi di comunicazione di massa e falsi, ipocriti e perfidi maestri che vogliono soltanto ottenere potere, denaro e notorietà.

Oltre la coscienza abituale

 

Nella coscienza abituale, noi crediamo di essere qualcuno, di avere una certa identità. Ma, quando andiamo a definirla, restiamo insoddisfatti; è come se mancasse sempre qualcosa. Questa incompletezza viene da una consapevolezza diversa, da un testimone che sta oltre l’io che conosciamo.

In effetti, se ci mettiamo in meditazione, ossia se ci mettiamo a osservare noi stessi e non ci perdiamo nei particolari, approdiamo ad una presenza mentale che è al di là del solito noto, dell’io e del te, del mio e del tuo, del piacevole e dello spiacevole. È uno specchio che non si identifica con i mutevoli stati d’animo – li riflette e basta.

Gli stati d’animo vanno e vengono e passano da un estremo all’altro, e così i nostri giudizi su “chi” siamo.

Mentre di solito noi ci identifichiamo con questo o quello stato mentale, con la meditazione impariamo a identificarci con questa consapevolezza primaria o ultima, che è al di là delle contingenze umane ed ha già un piede nella trascendenza.

lunedì 11 ottobre 2021

Essere presenti e consapevoli

 

La meditazione, la consapevolezza, si basa sull’osservare; le religioni si basano sul giudicare. Nella meditazione non c’è posto per i miti e le favole; le religioni ne sono piene.

 

Non possiamo pensare l’incondizionato, mentre possiamo pensare tutte le condizioni di questo mondo. Quando Dante immagina inferno, purgatorio e paradiso, non può che usare immagini e idee condizionate. Ma questo aldilà dantesco non è l’incondizionato; è pur sempre terreno.

Che cosa significa “ciò che non è nato e non è morto”, “ciò che è al di là tanto dell’essere quanto del nulla”, “ciò che sta al di là del bene e del male”, ecc.? In realtà sono espressioni che vogliono negare il nostro dualismo, la nostra velleità di pensare metafisicamente. Che cosa rimane allora?

Rimane il qui e ora, la nostra presenza: sono consapevole, sono attento, sono vigile… Null’altro c’è di reale; tutto il resto è pensiero, immaginazione, esperienza duale. La felicità e l’infelicità sono i movimenti di un’altalena che non si ferma mai nel suo punto di equilibrio. Ma la mia consapevolezza, in effetti, è questo centro, già oltre gli estremi, già trascendenza.

Le opinioni

 

Tutti cercano di farsi delle proprie opinioni e poi dopo ne rimangono attaccati come se fossero delle verità di fede. Ma rimanere attaccati alle proprie opinioni è un limite.

Tutti abbiamo preferenze e idee personali. Ma questo non deve tradursi necessariamente in un attaccamento viscerale. Se lo facciamo, diamo l’avvio alle contrapposizioni e ai conflitti. “Io ho ragione, tu hai torto…”.

Il saggio non si attacca nemmeno alle proprie opinioni, anche perché sa che tutte le idee degli uomini non sono che opinioni. Oltretutto il pensiero umano non è fatto per esprimere verità.

 

 

In molti casi non c’è modo di sapere che cosa sia giusto o sbagliato, che cosa sia buono o cattivo, che cosa sia vero o falso, che cosa sia reale o illusorio. Ma un conto è non rendersene conto e un conto è esserne consapevoli. Questo fa la differenza tra un uomo dogmatico e un uomo intelligente.

domenica 10 ottobre 2021

Il Dio della pace

 

Recentemente c’è stata una riunione in Vaticano dei capi delle religioni mondiali con lo scopo di pregare Dio per la pace. C’erano proprio tutti – tranne Dio.

Sì, Lui era tutto occupato a mantenere nel mondo il principio del conflitto, senza il quale niente esisterebbe.

Il potere della consapevolezza

 

Quando proviamo paura è come se la coscienza di noi stessi, si acuisse; è come se l’io si contraesse su di sé per innalzare barriere. Così ci chiudiamo su noi tessi, ci consideriamo separati da tutto il resto e guardiamo gli altri come nemici.

Quando invece siamo rilassati e fiduciosi, rimane una consapevolezza che non deve difendersi, che non è ossessionata di sé, che rimane aperta e accogliente.

Questa consapevolezza non è più il sé abituale, non è più arroccata su di sé, ma è non-sé. La cosa paradossale è che il non-sé non è un nulla o la morte, ma addirittura uno stato superiore a quello del sé. Non è perdita né restringimento, ma dilatazione e gioia.

Ecco perché non bisogna aver paura del nulla, della morte e del non-essere-più-un-io. È la nostra mente che, con i suoi erronei convincimenti e le sue fosche previsioni, ci crea simili paure.

Il “luogo” dell’assenza di noi stessi è un luogo di trascendenza.

È stata la psicoanalisi a scoprire che gran parte della vita psichica sfugge alla coscienza razionale. Ma la meditazione aggiunge che l’intera vita psichica, conscia e inconscia, è incapsulata in una consapevolezza più vasta che è meno individuale, più universale. Questa è la parte non-sé, che non può essere né pensata né oggettivata. Ma è sempre presente e attiva.

Quando si è semplicemente consapevoli, quando si diventa testimoni del mondo e di se stessi, si è già nel non-sé, anche se non ne siamo coscienti a livello intellettuale.

“La consapevolezza è la via del senza morte” dice il Dhammapada.

Quando sei nella consapevolezza, sei al centro di te stesso e dell’universo. La consapevolezza è lo stato del risveglio.

sabato 9 ottobre 2021

Illusi e delusi

 

Gli esseri umani si dividono in due grandi categorie: quelli che pensando alla morte dicono: “Spero di avere un’altra vita, qui o altrove”, e quelli che dicono: “Spero di non ritornare mai più in questo mondo e in questa umanità, né di avere un'altra esistenza”. I primi sono affamati di una vita che, nonostante tutto, ritengono qualcosa di positivo; i secondi ne hanno avuto abbastanza di nascite e di morti, di rivalità e di odio, di tragicommedie, di malattie, di invecchiamento, di ripetizioni noiose e soprattutto di sofferenze. Hanno fatto i loro conti e sono giunti alla conclusione che vivere non vale la pena, che il gioco non vale la candela. In genere non mettono al mondo figli, o se ne pentono.

I primi credono che la vita sia conciliabile con la pace e con la gioia, i secondi credono che non sia possibile, perché il mondo (qualsiasi mondo) si forma in un certo modo dualistico e antagonistico che, per quanto migliorabile, non può eliminare il doloroso conflitto.

D’altronde, chi concepisce il paradiso, subito vi aggiunge l’inferno. Perciò, o tutt’e due o nessuno. E, per “nessuno” non si intende il nulla (che a sua volta ha un contrario), ma ciò che sta al di là tanto dell’essere quanto del nulla.

giovedì 7 ottobre 2021

La forza dei desideri

 

Credere di liberarsi dal desiderio semplicemente reprimendolo è la cosa più stupida che si possa fare, soprattutto a livello sensuale/sessuale. Come dimostrano le tristi vicende dei preti pedofili nella Chiesa cattolica, se il desiderio sessuale viene represso da una parte, salta fuori da un’altra, ancora peggiore. L’idea quindi di vietare la sessualità alla categoria dei sacerdoti è la più innaturale possibile, qualcosa di velleitario e dannoso.

L’uomo è l’essere desiderante per eccellenza. Sappiamo che il buddhismo sostiene, primo, che la vita non sfugge mai alla sofferenza, e, secondo, che la causa della sofferenza è il desiderio. Ma rinunciare al desiderio è rinunciare al’essere esseri umani, anzi esseri viventi. Non a caso, poi, il buddhismo afferma che, per risolvere il problema, bisogna arrivare ad un’estinzione della vita – non ci sono vie di mezzo.

Bisogna però considerare che la vecchiaia porta ad una naturale diminuzione del desiderio sessuale, ma non per questo risolve alcun problema. La verità è che esistono desideri ben più devastanti di quello sessuale, per esempio il desiderio di potere, di essere importanti, di prevalere sugli altri. Ne sono un esempio i due discepoli di Gesù che discutevano fra loro su chi sarebbe stato “il più grande in cielo”. Come dire che le ambizioni non finiscono mai.

In meditazione non ci si sogna di invitare a non avere desideri (il che sarebbe un altro desiderio) ma ad esserne consapevoli e a lasciar via libera a quelli naturali.

Ogni desiderio deve essere esaminato al suo sorgere e, se si rivela illusorio o inutile, finisce per cadere dal solo. Perché il desiderio, come ogni altra cosa, sorge e se ne va.

Ma è chiaro che alla fine, quando tutti i desideri se ne andranno, se ne andrà anche la vita – e sperabilmente anche il desiderio di vivere o rivivere. Se il nostro inizio incomincia con i desideri, la nostra trascendenza incomincerà con la fine dei desideri.


mercoledì 6 ottobre 2021

Saper meditare

 

Se temiamo di non saper meditare perché ci sentiamo troppo confusi, agitati, distratti o irrequieti, la soluzione è semplice - siamone consapevoli! In altri termini, portiamo la consapevolezza proprio a questi stati d’animo. Non c’è niente che non serva come materiale per meditazione. L’importante è spostare il fuoco dell’attenzione proprio su quegli stati d’animo che ci sembrano ostacoli.

La presenza mentale non è pensare, ma è essere consapevoli di… qui e ora. Il “qui e ora” serve a distinguere il meditare dai ricordi o dalle fantasie sul futuro. Dobbiamo stare ben incollati all’attimo presente.

Ma chi è presente qui e ora? Siamo troppo condizionati per saperlo. Meditando si capisce che ciò che medita non sono tanto io con la mia personalità, ma ciò che gli sta prima e dopo.

Quando rispondiamo “presente!” ad un appello, quello è l’io abituale o fenomenico.

Ma, quando siamo presenti in meditazione, quello è il sé originario, ciò che non coincide né con il nostro corpo né con la nostra mente. E quello noi siamo, alla fine della fiera.

martedì 5 ottobre 2021

Religione e meditazione

 

C’è una bella differenza tra religione e meditazione. Quando per esempio Gesù invita ad amare Dio e il prossimo, si riferisce sempre ad una specie di Padre-Padrone che starebbe lassù fra le nuvole e che andrebbe continuamente riverito e ubbidito. Ma quando la meditazione invita ad osservare la mente, non si riferisce a nessun personaggio divino. Parla semmai di sofferenza, di impermanenza, di schiavitù e di insoddisfazione, tutti stati da cui ci si deve liberare con i propri sforzi personali, non sottomettendosi a qualche autorità superiore.

Se non ti sottometterai a Dio, dicono le religioni, non ti salverai, perché un Dittatore non può ammettere che qualcuno non gli obbedisca e sia indipendente. Dio odia la libertà delle proprie creature. Adamo viene condannato non perché trasgredisca un ordine, ma perché cerca la propria autonomia.

Al contrario, nella meditazione, l’uomo si è incastrato da solo. È lui stesso il Dio che si è dimenticato della sua antica grandezza. Non c’è nessuno cui deve render conto – devi render conto a se stesso. Perché non fai un atto di consapevolezza, perché non ti liberi, perché vuoi rimaner schiavo della tua stessa mente? Se non lo fai, il peccato lo commetti verso te stesso, non verso l’Autorità divina.

lunedì 4 ottobre 2021

L'insoddisfazione umana

 

Quando si afferma che la vita è sofferenza, non si vuol dire che non ci siano momenti di serenità, di quiete e anche di felicità. La nostra esperienza ci dice che esistono, ma che sono rari, durano poco e che, nel complesso, è più il tempo che trascorriamo con ansie, preoccupazioni, angosce, paure, mancanze, assilli, tormenti e dolori di ogni genere, fisici e mentali. Si usa a questo proposito il termine dukkha che in realtà significa “insoddisfazione”.

Ecco, per quanto le cose possano andare bene, c’è sempre nelle nostre esistenze un aspetto di insoddisfazione, se non altro per il fatto che le esperienze sono fugaci e che tutto è destinato a cambiare, a deteriorarsi e sparire per sempre. Alla fine tutti invecchiamo, ci ammaliamo e moriamo. E che cosa possiamo portarci dietro dopo la morte?

C’è dunque in noi una continua aspirazione a uno stato migliore, come se questo fosse qualcosa di inferiore. Anche nelle religioni, la vita appare all’insegna del peccato originale e della caduta.

Ci sentiamo sempre incompleti, mancanti, abbiamo sempre nostalgia di uno stato di pienezza. Ecco perché vorremmo sapere se siamo destinati a vivere sempre così o se un’altra possibilità, al di fuori, al di sopra o chissà dove.

Le religioni tradizionali ci parlano di un paradiso, cui però si contrappone sempre un inferno/purgatorio, non riuscendo a superare il dualismo che in fondo è il vero responsabile dell’insoddisfazione. L’Oriente ci parla invece di una trascendenza del dualismo, che può essere in qualche modo anticipata in questo mondo, soprattutto attraverso una trascendenza del pensiero e una ricerca della presenza mentale che sia il più possibile impersonale e già al di fuori della sofferenza.

È questa presenza mentale, questa consapevolezza che rappresenta la via d’uscita. La consapevolezza, a differenza della comune coscienza, non è qualcosa che venga creato o costruita da noi, né dipende dal beneplacito di qualche Dio; è qualcosa che esiste prima e che sfugge ad ogni distruzione.

domenica 3 ottobre 2021

La trappola del pensiero

 

Di solito siamo totalmente identificati con i pensieri e le sensazioni, tanto che crediamo di esserli - il nostro io è quell’insieme di pensieri e sensazioni. Ma non è così.

In meditazione ci accorgiamo di un’altra realtà. Facciamo un passo indietro e diventiamo gli osservatori. Allora scopriamo che possiamo essere qualcos’altro, che possiamo non essere coinvolti in essi.

Mentre li osserviamo che si susseguono in continuazione, compulsivi, ripetitivi, altalenanti, noi ne diventiamo i testimoni, gli spettatori. La nostra mente è come un cinema in cui si proiettano film di ogni genere, e noi ne siamo sempre immersi.

Ma, quando li osserviamo, creiamo una distanza fra noi e loro, e possiamo restarne distaccati. Questa meditazione non ha bisogno di nessuna postura, di nessuna formula e può essere svolta in qualsiasi momento e luogo.

Se prolunghiamo il tempo in cui diventiamo gli osservatori, possiamo trovare un luogo non toccato dalle nostre elucubrazioni, dal chiacchiericcio della mente, e capiamo che abbiamo anche un’altra identità, meno caotica, più calma. Invece di essere dominati da pensieri e sensazioni, invece di rimanere sempre confinati nella loro prigione, possiamo saltar fuori e guardare un panorama più luminoso, in cui siamo più liberi.

sabato 2 ottobre 2021

Oltre il personale

 

Secondo le nostre abitudini, meditare significa riflettere su ricordi, emozioni, affetti, amori, odi, successi, fallimenti, giudizi, opinioni, il senso della nostra vita, ecc. Si tratta sempre di una meditazione personale, basata sul pensiero.

Ma ora vogliamo uscire dal pensiero comune e dalla dimensione individuale per ritrovare lo stato naturale dell’essere, qualcosa che non sia più una costruzione mentale.

È proprio la consapevolezza che ci introduce all’incondizionato, ciò che sta tutto intorno all’io e alle sua facoltà. Da lì possiamo osservare i nostri impulsi, il nostro funzionamento e il gioco del divenire.

Tutti siamo condizionati, e la meditazione ci insegna a diventare più attenti alle influenze del mondo interiore e del mondo esteriore. Diventiamo sempre più consapevoli di come ci muoviamo in modo reattivo e ripetitivo, secondo schemi prestabiliti. A questo punto ci viene l’aspirazione a diventare più padroni di noi stessi.

Il paradosso è questo: più ci rendiamo impersonali e ci osserviamo, più diventiamo autentici.

L’io è uno stato inferiore temporaneo.

Essere presenti

 

Tutti abbiamo un nome, un corpo, un’età, dei genitori, una famiglia, una posizione sociale, dei documenti di nascita, un insieme di esperienze che chiamiamo passato, insomma un’identità. Ma questo succede quando ci pensiamo, quando cerchiamo di capire chi siamo, quando ci definiamo, quando cerchiamo un’identità attestata da qualcosa e da qualcuno.

Però, quando meditiamo, tutto questo sparisce: non stiamo più a pensare a queste cose. Sappiamo di essere e basta. Non ce ne importa più niente dell’identità fisica, psicologica o sociale. È l’unica volta in cui possiamo sfuggire alle definizioni.

In meditazione non pensiamo a noi stessi (se no sarebbe un fallimento), non usiamo il pensiero. Ci limitiamo ad essere consapevoli… non più di qualcosa di specifico. Chi siamo in quei momenti? Nessuno può dirlo. Poiché non pensiamo, non sappiamo chi siamo, usciamo dagli schemi mentali.

Noi pensiamo sempre. Ma la consapevolezza non è un pensiero. È ciò che esiste quando non c’è un pensiero. È una presenza senza una determinata identità. È la presenza mentale, che è ciò che esiste prima di tutto.

Non è nemmeno qualcosa di speciale. Se non l’avessimo, saremmo morti. È ciò che hanno tutti gli esseri viventi. È l’energia autoconsapevole della vita stessa.

In quei momenti so solo che “sono”, ma non posso dire che sono un io, che ho un io. Lo dico solo “dopo”, quando ci penso.

Ma la consapevolezza non è un concetto, è un’esperienza. Ed è un’esperienza di uscita dalla dimensione mentale, dai confinamenti della mente. È dunque sbagliato parlare di “presenza mentale” – dovremmo parlare di presenza non-mentale o presenza non-condizionata.

Siamo nell’incondizionato.

Se dunque cerchiamo esperienze dell’incondizionato, sappiamo che cosa fare. Non è poi così difficile.