Noi parliamo a vanvera di vita eterna, immortalità e
assoluto, ma di tutte queste cose non sappiamo niente: si tratta di semplici
ipotesi o di fantasie, nate dal fatto che il nostro linguaggio è dualistico: se
concepiamo il bene, concepiamo immediatamente il male e viceversa, se
concepiamo l’inizio concepiamo immediatamente la fine. Il gioco delle
astrazioni.
La verità è che la nostra esperienza è contrassegnata
da cose mortali, relative e provvisorie (e anche questi sono concetti). Tutto
ciò che percepiamo è destinato non solo a cambiare in tempi più o meno brevi,
ma anche a finire, a scomparire, a essere contraddetto, a essere assorbito nel
nulla. Questa è la realtà. Tutto il resto è opinabile, è il frutto di una mente
che se pensa a una cosa deve pensare anche al suo contrario, reale o irreale
che sia. Anche il concetto di Uno è puramente ipotetico; ciò che noi conosciamo
è la molteplicità, la varietà, la diversità.
Quando parliamo di metafisica o di Realtà Ultima,
dunque, c’è il rischio di parlare di semplici concetti. L’unica cosa che conta
è l’esperienza - e cioè che le cose funzionino o non funzionino.
Possiamo parlare di quello che vogliamo e immaginare
qualsiasi realtà astratta. Ma la prova resta la sua funzionalità. Se credo in
un Dio che non mi aiuta, a che cosa serve? Se medito, ma non ottengo niente, a
che cosa serve? Tutto può essere vero o non vero, ma non tutto funziona.
È vero ciò che per noi funziona.
Naturalmente pensare è molto utile. Ma solo la
verifica sperimentale ci dice se, tra le mille fantasie della nostra mente, c’è
qualcosa di vero o di verosimile.
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