Leggo un
articolo sul Corriere della Sera, scritto da Guido Tonelli, intitolato:
“Pasqua, mai come oggi la vita trionfa sulla morte”. A me sembra il contrario.
Questione di punti di vista?
Certo, noi, a
primavera, vediamo rifiorire tante piante; ma una buona percentuale non ce l’ha
fatta e non rifiorirà più. Lo stesso per la pandemia. Molti ce la faranno, ma
una buona percentuale non ce l’ha fatta e non ce la farà.
Se vogliamo
essere ottimisti, possiamo affermare che la vita ha una notevole forza e si riprende
anche dopo tanti cataclismi. Però, su questa strada, le perdite sono enormi – e
alla fine sono totali. E questo è un fatto: la vita non è assicurata a nessuno
e, anzi, dobbiamo concludere che, alla fine, trionferà proprio la morte.
Questo vale sia
nella vita individuale sia in quella universale. Alla fine trionferà la morte.
E, in ogni caso,
questo meccanismo della vita è fondato sulla morte (sacrificio?) degli
individui. È inutile quindi essere ottimisti. L’unica certezza è che moriremo
tutti.
La fortuna di
certe religioni si basa proprio sulla negazione della morte. Non moriremo - o,
per meglio dire, moriremo, ma risorgeremo tutti! Affermazione del tutto
infondata. E auto contraddittoria. Perché ogni vita è collegata alla morte.
E, quindi, anche
se dovessimo rivivere mille volte, dovremmo morire mille volte.
Forse, è il caso
di ragionare non su una vita eterna, ma su ciò che c’è oltre la vita-morte.
L’unica via d’uscita è andare al di là del ciclo del nascere e del morire, non
per assicurarsi per sempre un’individualità, bensì per non averne più bisogno.