Nessuno conosce a fondo se stesso, anche perché ciò che conosciamo è solo un’apparenza inconsistente e cangiante, e tutti apprendiamo a conoscerci lentamente, con il tempo. Anzi, il processo di conoscenza dura tutta la vita, fino agli ultimi giorni.
Se siete giovani, potete immaginare come vi sentirete e chi sarete quando sarete vecchi?
Quando nasciamo, non sappiamo chi siamo e siamo a stento distinti dalla madre. Poi, a poco a poco impariamo a conoscerci e la nostra immagine si sviluppa giorno dopo giorno. All’inizio ci viene imposta dai genitori e dalle persone che ci allevano. In tal senso, è più un condizionamento, per liberarci dal quale dovremo lottare tutta la vita.
Poiché le nostre esperienze si moltiplicano e si diversificano e noi cambiamo continuamente, anche l’immagine che abbiamo di noi stessi cambia.
Conoscere se stessi è sia un processo di scoperta sia un processo di creazione. Se avessimo più vite, alla fine non ci ricorderemmo come eravamo all’inizio.
In ogni caso non possiamo avere una conoscenza “oggettiva” perché noi siamo coloro che conoscono, i soggetti. Non possiamo quindi essere sicuri di ciò che conosciamo. In sostanza, non possiamo sapere “chi” conosce.
Il conoscente, colui che conosce, non è certamente l’immagine che abbiamo di noi stessi. Il conoscente non può essere conosciuto dalla mente umana, con tutte le sue categorie e le sue contrapposizioni. Esso è al di là delle divisioni. Possiamo solo dire ciò che non è, non ciò che è. Ma “quello” noi siamo alla fine, qualcosa di inafferrabile dai sensi e dai concetti.
Questa impossibilità, questa barriera, ci dice che il conoscente ultimo o primo è un testimone al di là della mente, della coscienza e dell’io empirico. Con lui usciamo dalla realtà fisica ed entriamo nella realtà metafisica. Ma questo imponderabile soggetto è esattamente ciò che siamo.
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