Alle concezioni teiste noi contrapponiamo l’idea che
il divino non sia una specie di Persona, una specie di Re dei re, non sia un
potere fuori di noi, ma sia direttamente in noi, nella parte più profonda della
nostra anima. E che non c’è bisogno, per contattarlo, di nessun mediatore, di
nessun “santo in paradiso”, di nessuna umiliazione, di nessuna supplica. Anzi,
più lo si cerca fuori, più lo si cerca nei cieli, meno lo si trova.
Mentre noi ci crediamo dei
sudditi, siamo degli eredi.
In un apologo indiano, c’era
un leoncino che era stato allevato in un branco di pecore e che si credeva una
pecora belante e paurosa . Finché un giorno incontrò un leone che gli spiegò chi
era. E allora per la prima volta emise un potente ruggito – e ritrovò la
propria vera natura.
Questa è anche la differenza
tra pregare e meditare. Chi prega cerca un aiuto esterno, chi medita cerca di
mobilitare le proprie forze.
Ma nella nostra natura c'è anche un sentimento profondo di limitatezza, quel sentirsi inermi, impotenti nei confronti di certi disegni del destino. Di qui, io credo, l'atteggiamento quasi inevitabile di rivolgersi a un Qualcuno, che sappia proteggerci e aiutarci. E' questa un'abitudine di carattere strettamente culturale, che noi ereditiamo già fin da piccoli nelle nostre famiglie? Può darsi, sta di fatto che poi ci diventa come una seconda pelle. In qualsiasi modo la si voglia considerare, qualcosa di buono ci vedo: anche chi è abituato ad essere arrogante e prepotente, a trattare gli altri dall'alto in basso, a sentirsi un Padreterno, per una volta diventa umile. E si sente un niente.
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