Quando viene stilata qualche classifica sul livello di cultura dei popoli, ci dobbiamo vergognare perché siamo sempre tra gli ultimi.
In Oriente si dice che l'ignoranza è la radice di ogni male. E hanno ragione. Se applichiamo questo parametro al'Italia, scopriamo che i nostri peggiori mali derivano dall'ignoranza. Infatti avere scarse competenze linguistiche e scientifiche significa non riuscire a capire il filo di un discorso un po' articolato e quindi non riuscire a valutare chi si ha di fronte, significa farsi raggirare da chi ha più conoscenze e le usa per imbrogliarci, significa votare per il primo affabulatore che si affacci sulla scena politica, significa affidarsi a leader corrotti, significa seguire come pecore religioni infondate e sfruttatrici, significa non avere un'etica sociale, significa dipendere sempre dagli altri, significa non apprezzare la cultura e l'arte, significa essere conservatore e tradizionalista, significa essere chiuso ai cambiamenti, significa doversi adattare a lavori umili, significa non avere un'opinione propria, significa non riuscire a calcolare quanto ci costi la corruzione o l'evasione delle tasse, significa non essere curiosi di sapere, significa non essere sensibili, significa dare importanza a cose senza valore e non dare importanza alle cose fondamentali.
In sostanza, essere ignoranti significa vivere in una condizione di subalternità e di minorità.
E significa non capire niente di quanto ho appena scritto. Sì, perché l'ignorante non può essere consapevole di ciò che si perde.
Esistono vari livelli di ignoranza. Il primo è quello del semi-analfabeta che non legge mai un libro o un giornale. Il secondo è quello dei soggetti mediamenti acculturati, che hanno un ego roccioso, una voce tonante e sono duri d'orecchio. Il terzo è quello delle persone di cultura che si mettono al servizio dei potenti reazionari per raggirare il popolino ignorante. E il quarto è quello dei religiosi che credono di avere la "verità rivelata".
"L'ignorante non è solo zavorra, ma pericolo della nave sociale"
Cesare Cantù
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