Un tempo bastavano il Verbo e lo Spirito Santo. Ma oggi non bastano più: oggi c'è la pubblicità, che è molto più invasiva e potente. Così, la Chiesa cattolica, in tempo di dichiarazioni dei redditi, per raccattare soldi, non si affida ai suo santi ma a note agenzie di pubblicità, pagate a suon di milioni di euro, che confezionano spot televisivi tutti più o meno fatti allo stesso modo: musiche celestiali, carrellate patetiche su poveri e bisognosi che naturalmente ricevono aiuto da eroici sacerdoti e slogan accattivanti che mettono in evidenza il ruolo caritatevole della Chiesa. Date il vostro otto per mille, date il vostro cinque per mille... date, date... e così, con una legge truffaldina, anche chi non ha dato finirà coattivamente per dare. Eh sì, perché l'otto per mille non viene dato soltanto da chi sceglie la Chiesa (il quaranta per cento), ma anche da tutti coloro che non hanno espresso nessuna preferenza. Il che, scusate, è un vero imbroglio... degno di menti gesuitiche. Caso unico in tutto l'Occidente cristiano.
Quello che non si chiarisce mai è che il denaro raccolto va solo in minima parte alla carità: un venti per cento. Tutto il resto, l'ottanta per cento, finisce in tasca alla Chiesa, che lo usa per i motivi più vari, per esempio per pagare la pubblicità o per difendere nei processi i preti pedofili. Se poi si aggiunge che la cifra complessiva si aggira attorno al miliardo di euro, c'è da chiedersi se non sarebbe il caso, in un momento in cui con un miliardo euro si darebbe lavoro a tanti giovani e si risolverebbero tanti problemi economici, che anche i preti andassero a lavorare. Insomma, invece di fare un po' di carità, potrebbero aiutare molto di più i loro "fratelli" se rinunciassero a spillare soldi allo Stato italiano.
Chi non sarebbe disposto a investire un venti per cento di opere di carità in cambio di un ottanta per cento di incasso? E non è questo il meccanismo perverso di tante opere caritatevoli, che fanno la "carità" soprattutto a chi organizza la carità?
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