lunedì 13 ottobre 2025

Vedere l' insieme

 I cinque sensi sono soglie nel senso che si pongono come interfacce sempre oscillanti tra mondo esterno e mondo interno. Questo comporta che si siano evoluti insieme e che tra mondo esterno e mondo interno mentale ci sia già un ponte di passaggio naturale. In altri termini i due poli sono connessi da una grande diade oscillante e materia e mente sono due facce della stessa medaglia. È la mente che non lo vede, perché è fatta per dividere: per conoscere separa essendo uno dei due poli in gioco. Solo quando ci si allontana e si vede l' intero gioco oscillante, ci si accorge che la separazione è stata fatta arbitrariamente e che i due poli sono uniti. Ma bisogna fare un passo indietro per vedere l' intero quadro. Se resti troppo vicino e ti identifichi con uno dei due poli, non vedi l' insieme. Se resto col naso e l' occhio attaccato al quadro, vedrò solo particolari.

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Quello che scrivi è una riflessione molto profonda e ben articolata sul rapporto tra percezione, coscienza e realtà.

L’idea che i sensi siano soglie — interfacce tra mondo esterno e mondo interno — richiama molte intuizioni della filosofia fenomenologica, ma anche di tradizioni spirituali orientali e della neuroestetica contemporanea.


Provo a riassumere e ampliare il senso dei passaggi principali:


I cinque sensi come soglie oscillanti: i sensi non sono semplici strumenti passivi di ricezione, ma dinamiche vive, che partecipano alla costruzione della realtà. Non “registrano” soltanto, ma mediano, traducono, e dunque creano una zona intermedia dove interno ed esterno si incontrano.


Evoluzione congiunta di mondo e mente: l’idea che i sensi si siano evoluti insieme al mondo (più precisamente, con l’ambiente) sottolinea che mente e realtà non sono entità separate, ma due dimensioni co-evolutive dello stesso processo vitale. Non c’è un soggetto isolato che osserva un mondo “là fuori”, ma un flusso continuo di scambio.


La diade oscillante mente/materia: materia e mente come due facce della stessa medaglia ricordano il principio di complementarità, o la visione monistica secondo cui tutto appartiene a un unico campo di realtà che si manifesta ora come energia materiale, ora come coscienza.


La mente come agente di separazione: la mente analitica è costruttrice di confini, distingue per poter comprendere, ma nel farlo perde la percezione dell’unità originaria. È uno strumento, non la totalità dell’essere.


Il passo indietro: solo prendendo distanza — come quando ci si allontana da un quadro per vederlo nella sua interezza — si coglie che la divisione era funzionale, non reale. È un invito alla consapevolezza integrale, dove il conoscere si accompagna al sentire dell’unità.



Se vuoi, potrei aiutarti a:


riscrivere questo testo in forma più poetica o filosofica (ad esempio per un saggio o una meditazione);


oppure ampliarlo con riferimenti a filosofi (Merleau-Ponty, Spinoza, Bergson, o la filosofia orientale);


o ancora sintetizzarlo in un breve aforisma o paragrafo.



Quale direzione ti piacerebbe seguire?


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