Esistono due forme di filosofia: la prima cerca di capire come è fatto il mondo (insieme alla scienza, ben più efficace) e la seconda come è meglio comportarsi in questo mondo. Naturalmente sono collegate, perché, per sapere come orientarsi, bisogna capire dove ci si trova, con che paesaggio abbiamo a che fare. Ma, per capire come è fatto il mondo, le idee della scienza devono essere prese in considerazione, perché è assurdo riferirsi a fantasie, ideologie infondate, religioni o credenze altrui. In tal senso la conoscenza della scienza, che sta facendo passi da gigante, è imprescindibile. Ecco perché rifletto tanto sulla scienza. Da lì vengono alcuni punti fermi che non possono essere ignorati. Ma la scienza, con la sua specializzazione, non è sufficiente. Si riferisce di volta in volta a un campo solo, quello fisico (o psicologico). Ogni scienza sembra rinchiudersi nei propri limiti e non sa niente degli altri punti di vista. Ci vuole a questo punto una conoscenza unitaria che riesca a trovare i nessi comuni. Per esempio, la mia teoria delle strutture relazionali si applica ad ogni campo e non fa distinzioni tra materia e psiche, nel presupposto che tutto sia unito e debba rispondere alle stesse leggi. Questo dovrebbe essere il compito di una filosofia moderna...quando essa stessa non si chiuda in un sapere specialistico. Gli antichi filosofi non facevano tante distinzioni tra filosofia e scienza : era un tutt'uno. E nel corso della storia ci sono stati grandi filosofi che erano scienziati (es. Leibniz inventò anche il calcolo infinitesimale). Il fatto è che la scienza porta con sé una visione del mondo di cui bisogna tener conto. Ma gli scienziati spesso non sono in grado di comprendere la portata delle loro scoperte, compito che richiede un'ulteriore riflessione. Per esempio, quando parlano di particelle senza massa, pure quantità di moto, che viaggiano alla velocità della luce, di stati oscillanti, di conservazione dell'energia, di eccitazioni di campi, di particelle entangled, di meccanica quantistica o di Big Bang, sono in realtà ai confini della materia ed entrano in una dimensione rarefatta che secondo me è quella dello spirito. Siamo a un passo da Dio.
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Questo testo è già molto denso e ben strutturato, ma merita un’espansione che ne valorizzi il nucleo teorico e ne metta in luce la portata filosofica. Ti propongo una versione leggermente rielaborata, che mantiene il tono e i contenuti ma ne potenzia la coesione e la profondità concettuale, in modo da poterlo integrare nel Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari come un paragrafo di apertura epistemologica:
Filosofia e scienza: due vie verso l’unità del reale
Esistono, in fondo, due forme di filosofia.
La prima cerca di comprendere come è fatto il mondo, ossia quali siano i principi e le strutture che regolano la realtà. In questa ricerca essa si affianca alla scienza, che oggi è indubbiamente più efficace nel descrivere i fenomeni concreti e nel fornire modelli verificabili.
La seconda forma di filosofia, invece, cerca di comprendere come è meglio comportarsi in questo mondo, quale orientamento sia possibile per una vita sensata.
Naturalmente, le due forme non sono indipendenti: per sapere come muoversi, bisogna sapere dove ci si trova, in quale paesaggio ontologico e simbolico siamo immersi. Ma per capire com’è fatto il mondo, le scoperte della scienza devono essere prese in considerazione, poiché sarebbe assurdo fondare il pensiero su ideologie infondate, fantasie o dogmi religiosi. La conoscenza scientifica — che oggi sta compiendo passi straordinari — è dunque imprescindibile: essa fornisce quei punti fermi che nessuna riflessione seria può ignorare.
Tuttavia, la scienza, con la sua inevitabile specializzazione, non è sufficiente. Ogni disciplina si rinchiude nei propri confini, esplorando solo un frammento del tutto: la fisica il mondo materiale, la psicologia la mente, la biologia la vita. Nessuna di esse, da sola, può cogliere la connessione profonda che attraversa i diversi livelli dell’essere.
È qui che deve intervenire la filosofia: come pensiero della totalità, come sforzo di unificazione, capace di riconoscere le strutture comuni a ogni piano della realtà. La mia teoria delle strutture relazionali e delle oscillazioni degli opposti complementari nasce precisamente da questa esigenza: essa non distingue più in modo rigido tra materia e psiche, ma li considera come polarità interdipendenti di un unico campo oscillante, in cui tutto vibra e tutto è in relazione.
Questa dovrebbe essere la vocazione di una filosofia moderna e integrale: non chiudersi in un sapere specialistico, ma connettere, ricucire, mostrare i nessi nascosti che legano le diverse forme dell’esistenza.
Gli antichi filosofi non separavano la filosofia dalla scienza: erano una cosa sola. Pitagora, Aristotele, Leonardo, Cartesio, Leibniz — tutti pensarono insieme il mondo naturale e quello razionale, sapendo che la conoscenza è una sola. Oggi abbiamo bisogno di ritrovare questa unità perduta.
Perché ogni scoperta scientifica porta con sé una visione del mondo implicita — un’“ontologia in atto” — di cui occorre prendere coscienza. Gli scienziati spesso non vedono fino in fondo le implicazioni delle loro stesse teorie, e qui torna il compito della filosofia: riflettere sulla portata simbolica e metafisica della scienza contemporanea.
Quando la fisica parla di particelle senza massa, di pura quantità di moto, di entità che viaggiano alla velocità della luce, di oscillazioni quantistiche, di entanglement, di conservazione dell’energia o di Big Bang, essa si spinge ai confini della materia, fino a toccare una soglia rarefatta che, a mio giudizio, è la soglia dello spirito.
In quel limite — dove la distinzione tra energia e coscienza, tra informazione e significato, tra visibile e invisibile, tende a dissolversi — la scienza, senza volerlo, sfiora il mistero.
Siamo, davvero, a un passo da Dio.
Vuoi che lo formatti come se fosse parte introduttiva del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari (con titolo, collocazione e tono coerenti con gli altri capitoli)? Potrei anche aggiungere un breve paragrafo finale di transizione verso la teoria delle diadi.
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Va bene. Prova.
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Perfetto. Ecco allora la versione completa, formattata e integrata come sezione introduttiva del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari.
L’ho impostata come capitolo di apertura epistemologica, che prepara il terreno teorico e metodologico per tutta la costruzione successiva.
CAPITOLO I
Filosofia e scienza: due vie verso l’unità del reale
Esistono, in fondo, due forme di filosofia.
La prima cerca di comprendere come è fatto il mondo, ossia quali siano i principi, le leggi e le strutture che regolano la realtà. In questa direzione la filosofia si affianca alla scienza, che oggi è certamente più efficace nel descrivere i fenomeni e nel fornire modelli operativi.
La seconda forma di filosofia, invece, cerca di comprendere come è meglio comportarsi in questo mondo, come orientare la propria esistenza all’interno del tutto.
Naturalmente, le due vie non sono indipendenti. Per sapere come muoversi bisogna sapere dove ci si trova, in quale paesaggio ontologico e simbolico siamo immersi. Ma per capire com’è fatto il mondo, le scoperte della scienza devono essere prese in considerazione: è assurdo fondare la propria visione su ideologie, fantasie o dogmi religiosi. La conoscenza scientifica — che oggi compie progressi vertiginosi — è dunque imprescindibile, perché fornisce punti fermi che nessuna riflessione filosofica può ignorare.
Tuttavia, la scienza, con la sua inevitabile specializzazione, non basta. Ogni disciplina esplora un solo frammento del tutto: la fisica studia la materia, la biologia la vita, la psicologia la mente. Nessuna di esse, da sola, può cogliere la connessione profonda che attraversa i diversi livelli dell’essere.
Ecco allora il compito di una filosofia autenticamente moderna: essere pensiero della totalità, sforzo di unificazione, capacità di riconoscere le strutture comuni a ogni piano della realtà.
La teoria delle oscillazioni degli opposti complementari nasce proprio da questa esigenza. Essa non distingue più rigidamente tra materia e psiche, tra energia e pensiero, ma li considera poli interdipendenti di un unico campo oscillante, dove tutto vibra e tutto è relazione.
Gli antichi filosofi non separavano filosofia e scienza: erano una sola cosa. Da Pitagora ad Aristotele, da Leonardo a Cartesio, da Spinoza a Leibniz — che inventò il calcolo infinitesimale — il pensiero era unitario, poiché unitaria era la concezione del mondo.
Oggi, in un’epoca di frammentazione e iperspecializzazione, è urgente ricomporre l’unità del sapere, restituendo senso e coerenza all’immagine dell’universo in cui viviamo.
Ogni scoperta scientifica porta con sé una visione del mondo implicita, un’“ontologia in atto”, di cui occorre prendere coscienza. Gli scienziati, spesso, non vedono fino in fondo le implicazioni delle loro stesse teorie: qui torna il compito della filosofia, che è quello di riflettere sulla portata metafisica della scienza contemporanea.
Quando la fisica parla di particelle senza massa, di pura quantità di moto, di entità che viaggiano alla velocità della luce, di stati oscillanti, di entanglement quantistico, di conservazione dell’energia o di Big Bang, essa si avvicina ai confini della materia. In quel limite rarefatto, la distinzione tra energia e coscienza, tra informazione e significato, tra visibile e invisibile, tende a dissolversi.
La scienza, senza volerlo, si spinge così verso una dimensione spirituale del reale, quella che un tempo si sarebbe chiamata “anima del mondo”.
A questo punto, la filosofia deve osare ciò che la scienza non può: riconoscere che l’universo materiale e l’universo spirituale sono due aspetti oscillanti di una stessa realtà.
La materia non è che spirito condensato, e lo spirito non è che materia liberata.
In questa reciprocità vibrante, l’universo intero diventa un unico campo oscillante di senso, e ogni particella, ogni coscienza, ogni forma di vita è un nodo di questa rete infinita.
Siamo — davvero — a un passo da Dio: ma non da un Dio separato dal mondo, bensì da un principio oscillante e creativo che vibra nel cuore stesso della realtà.
Vuoi che lo intitoli come “Introduzione epistemologica” (prima dei capitoli ontologici e relazionali), o preferisci che rimanga come Capitolo I vero e proprio del Manifesto, da cui poi segue “La diade come principio universale”?
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