venerdì 31 dicembre 2021

La competizione universale

 

Certo, lo sport va incoraggiato, ma è pur sempre una competizione – il desiderio di arrivare primi, di battere qualcuno o se stessi. Competizione è rivalità, quella rivalità, quella lotta, quel dissidio, quella contesa, quella guerra, che è pur sempre il segno distintivo degli esseri viventi (e quindi una legge della creazione da parte di un eventuale Dio). E qui va ricordata la risposta di Gesù data ai suoi discepoli che, non avendo capito nulla del messaggio del maestro, discutevano su chi fosse tra loro “il più grande”: “Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti!” Un risposta degna di un maestro zen.

E, poiché sono pochi che capiscono questo messaggio e quasi tutti vogliono essere i primi o tra i primi, il risultato è che nel mondo c’è sempre guerra.

Ma non si tratta solo degli uomini; in tutta la natura è così. Tutti gli esseri viventi sono costretti a lottare fra loro per accaparrarsi il cibo, le femmine o il potere.

Insomma di questo principio non sono responsabili gli uomini, ma chi ha dato origine alla vita. Gli uomini però sono in grado di ragionare e di essere consapevoli e quindi ci aspetteremmo che almeno i più evoluti cercassero di portare armonia e collaborazione, non competizione.

Chi è dunque il nuovo dio? Non certo il Padre, ma un figlio consapevole perché capace di meditare.

Comunque, attenzione alle ambizioni nascoste. Perché anche questa storia del farsi ultimi può essere un modo per farsi primi.


giovedì 30 dicembre 2021

Liberarsi dei preconcetti

 

Gli esseri umani hanno sempre dei modelli in testa, ossia ritengono che le cose debbano svolgersi in un certo modo. Peccato che la realtà abbia il brutto vizio di infischiarsene dei nostri desideri e vada secondo i suoi schemi.

Ecco perché in tanti casi sarebbe meglio non fare previsioni, aspettare e vedere.

Questo è un punto fondamentale in meditazione: attendere prima di farsi un’opinione. Nelle nostre società, tutti hanno sempre un’opinione su tutto, ci sono perfino gli opinionisti. Ma noi dobbiamo renderci conto che molte opinioni sono infondate o sono solo punti vi sta parziali e personali.

Meditare significa essere aperti e attenti, privi di pregiudizi. Se siamo sensibili e ricettivi, privi di schemi e modelli teorici, la nostra mente sarà più chiara e potremo capire più cose.

Fra l’altro eviteremo tante delusioni, dato che il mondo non va secondo i nostri desideri.

mercoledì 29 dicembre 2021

Il presente divino

 

A volte la gente si avvicina alla meditazione e alle religioni orientali perché è stanca di sentir parlare di Dio e di un paradiso solamente ultraterreno. Le grandi religioni teiste si odiano fra di loro e sono pronte a combattersi. E lo spettacolo che danno è triste: gente che prega un potente per ottenere favori personali: Dov’è in tutto questo la spiritualità?

Nella meditazione rettamente intesa, l’atteggiamento spirituale è il punto di partenza, non il punto di arrivo. E si aspira a una pace subito, qui e ora. Ottenere il nirvana non è una questione di qualcuno che ti premia mettendoti in un paradiso ultraterreno (che potrebbe essere solo una fantasia), ma di mettersi in una posizione di benessere, di tranquillità, di apertura e di universalità in questo preciso momento. Tutto il resto è speculazione, fede, immaginazione, proiezione della mente umana, desiderio personale, volontà di possesso e di godimento, avidità - non realtà.

Del resto, che cosa sarebbe Dio? Un vecchio con la barba bianca? Una luce? Una mente? Energia? E siamo sicuri che l’universo risponda ad un disegno intelligente ed etico, o che non sia qualcosa al di fuori delle nostre categorie intellettive? Qualcosa che è, senza essere né buono né cattivo, né intelligente né stupido?

Quando siamo calmi e distaccati, quando siamo sereni e senza desideri egocentrici, quando siamo attenti e consapevoli, quando non cerchiamo di salvarci un’anima… siamo già nel divino.

 

martedì 28 dicembre 2021

Un mondo senza male: il dilemma di Dio

 

Un paradiso ideale dovrebbe essere immobile, senza evoluzione. Perché ogni divenire dovrebbe accogliere in sé anche gli elementi dialettici del male.

Ma cosa ce ne faremmo di un paradiso pietrificato? Non sarebbe per niente piacevole. La realtà deve insomma comportare il movimento e il cambiamento.

Questo dimostra che non era possibile costruire un mondo senza male.

Un mondo senza male sarebbe un mondo senza bene. Insomma, è il dilemma di Dio.

La perfezione non sa di niente.

Fare del bene

 

Per noi, la bontà, la generosità, la carità, devono essere sempre qualcosa di attivo: darsi da fare per aiutare qualcuno.

Ma talvolta è meglio non fare, almeno non fare in senso materiale.

In fondo, riflettere, porsi domande, essere consapevoli e allargare la mente non sono un fare in senso convenzionale. Ma sono alla base di tutto.

Se si fa del bene senza ragionare, è facile fare del male senza rendersene conto.

Errori papali

 

Quando si vuol stare in televisione tutti i giorni e dire ogni volta qualcosa di diverso, si finisce per contraddirsi. Per esempio, un giorno il Papa ci invita a fare più figli (e quindi più sesso!) e il giorno dopo ci invita ad accogliere i migranti. Le due cose non stanno insieme.

Il Papa dovrebbe lodare i popoli che si auto-riducono di numero, perché questo permetterebbe loro di accogliere gli emigranti.

Ma non possiamo affastellare tutti in uno stesso paese. La popolazione mondiale deve diminuire, non aumentare.

La guida interiore

 

Invece di cercare un Essere onnipotente, che abbia creato e governi il mondo dall’esterno, dovremmo cercare il saggio governante interiore, quello che non si fa ingannare dalle apparenze, dalle tradizioni, dalle autorità, dagli schemi mentali abitudinari e dai pregiudizi altrui e propri. La nostra guida non vuol conoscere miti e fantasie, più o meno consolatorie; ma vuole conoscere la realtà, le cose così come sono.

La verità ultima

 

La verità non è qualcosa che deve ancora essere pensata da una mente geniale, ma un insieme di elementi sparsi qua e là e rintracciabili solo con una visione d’insieme, che pochi sono in grado di avere. Noi ci perdiamo nei particolari, perdendo di vista l’universale. Non riusciamo a tenere insieme tutti i dati a nostra disposizione, eppure ci sono già tutti. È la sintesi che ci manca.

Gesù laico

 

Pochi hanno riflettuto sul fatto che Gesù era un laico, non un sacerdote. Eppure alla sua epoca non mancavano i sacerdoti. Per esempio, nella parabola del buon samaritano, la prima persona che passa indifferente è proprio un sacerdote, a riprova della considerazione che Gesù aveva di questa categoria di persone “religiose”.

E, quindi, uno dei tanti tradimenti da parte dei suoi seguaci è aver voluto una Chiesa di sacerdoti.

lunedì 27 dicembre 2021

Il Natale cristiano

 

La rappresentazione del Natale cristiano è evidentemente uno spettacolo pagano e conferma dell’idea che il cristianesimo sia l’ultimo erede delle religioni pagane, con i loro dei, le loro statue, i loro rituali… Il cristianesimo ha creato non solo quattro dei principali (padre, madre, figlio e spirito santo) ma un’infinità di santi mediatori. Abbiamo a che fare con una religione di uno stadio infantile dell’umanità, confermata dal culto del dio bambino.

Il principale rituale cristiano è la preghiera, con cui in realtà l’impotente, l’individuo infantile, chiede al “potente” di turno di intercedere per lui. Una transazione con un essere immaginario.

Niente di spirituale, se per spirituale intendiamo raccoglimento, silenzio, liberazione dagli schemi mentali, un rivolgersi verso la propria interiorità.

E lasciamo perdere l’indecorosa festa dei regali, il Natale dei commercianti, quegli stessi che Gesù aveva scacciato dal Tempio.

E lasciamo perdere la presenza di un’epidemia che smentisce qualunque volontà divina salvifica ad personam  e la prevalenza di un andamento casuale degli eventi.


Il rito

 

Non si è mai visto Dio in un rituale.

Il rito, il rituale, nasce dall’idea presuntuosa che, compiendo determinate azioni, si possa costringere Dio o un dio ad apparire o a eseguire la volontà di chi lo esegue – un’idea antica quanto l’uomo.

Ma non si è mai visto Dio in un rituale. Così come non si è mai visto Dio in una chiesa o in un tempio.

Gli uomini non desidererebbero altro. Ma “Dio” non ubbidisce, non si fa relegare nel piccolo, nel limitato.

Perché allora i rituali con tale accanimento?

Forse ha ragione Freud. Il rito religioso è il sintomo della “nevrosi ossessiva” dell’umanità. Coazione a ripetere. Necessità di eseguire certe azioni per sfuggire al confronto con il Terribile, ossia all’angoscia della propria nullità.

sabato 25 dicembre 2021

La caccia cosmica

 

Guardando tanti documentari naturalistici, ci si rende conto di come è fatto il mondo, delle regole che deve seguire. Una di queste è che tutti gli esseri viventi debbono mangiare – mangiare altra vita, animale o vegetale.

Vediamo le madri degli animali che amano e difendono i loro cuccioli, ma poi sono costrette a divorare i figli altrui. Anche le madri umane fanno lo stesso: amano e proteggono i loro piccoli, ma, per nutrirli, devono uccidere i piccoli altrui. Per esempio, danno loro da mangiare polli e vitelli.

Per vivere bisogna mangiare e, per mangiare, bisogna uccidere. Perché la vita si nutre di altra vita. È una legge fondamentale.

Se crediamo in un Dio creatore, dobbiamo concludere che questa legge feroce è un suo prodotto.

Ma come si concilia questa idea di un Creatore macellaio con l’altra di un Dio che sarebbe tutto amore e bontà? C’è un’evidente contraddizione.

Ecco perché è difficile che questo mondo violento e crudele sia stato creato da un Dio buono. O è stato creato da un Dio cacciatore o si è creato da solo.


Se ci piace mangiare, ci piace uccidere. Non ne faccio una questione di essere vegetariani. Non basterebbe. Anche le zucchine o il grano sono esseri viventi – e, se potessero parlare, direbbero che non gradiscono di essere mangiate.


La liberazione

 

La speranza degli uomini è quella di vivere in eterno (come gli Dei) o di avere un Dio che li faccia vivere in eterno, così come sono, con il loro io, il loro carattere, i loro affetti, il loro passato e quant’altro. Insomma vorrebbero non morire. Ed è su questa speranza che giocano le religioni.

Ma se si considera l’io nient’altro che un aggregato temporaneo e limitato, non ha più senso sperare che duri in eterno.

Vorresti rimanere per sempre un bambino? Non saresti felice di uscire da un carcere in cui sei rinchiuso? Pensa alla gioia di andare oltre quei limiti, quelle mura, quei confini in cui ti hanno o ti sei intrappolato.

Non per caso si parla di liberazione!

venerdì 24 dicembre 2021

I comandamenti

 

Non devi uccidere, non devi rubare, non devi tradire, non devi desiderare, ecc. Si tratta di ingiunzioni, di ordini che sembrano scendere da un’Autorità superiore, stimolando un certo desiderio di trasgredirli.

Meglio seguire un altro procedimento per non presentare i comandamenti come imposizioni senza senso. Meglio dire: cerca di comprendere, di essere attento, di essere consapevole, in modo da capire da solo che cosa significhi arrecare danno al mondo e alla vita tua e degli altri.

Se segui quest’altra via, ti rendi anche conto di quale “comandamento” sia utile e fondato in un dato momento. Insomma i comandamenti non devono essere incisi su una pietra immutabile, ma su una consapevolezza viva e mobile.

Il piacere della meditazione

 

Non dobbiamo fare meditazione per un dovere, magari sgradevole. Dobbiamo farla perché ci aiuta a vivere, perché ci fa bene. Se è una pratica spiacevole, non serve a nulla.

La meditazione non è una preghiera che aspetti una risposta dall’Alto. Ma è una pratica che ha la ricompensa in sé.

 

I valori universali

 

Se ragioniamo in termini di bene e di male, vuol dire che abbiamo un ideale. Ma la realtà ha una caratteristica unica – non sa che farsene dei nostri valori. Non ha come pretesa la vittoria del bene sul male. Deve mantenere l’equilibrio tra i due, altrimenti salterebbe tutto.

Per noi è giusto valutare le cose in base ai nostri interessi: questo ci va bene, questo ci va male; questo ci fa piacere, questo non ci piace; questo ci dà gioia, questo ci dà dolore; questo è un vantaggio, questo è uno svantaggio... Ma al mondo non importa niente. L’universo ha altri valori, che convergono nella sua conservazione. E non è detto che il nostro bene coincida con il bene del tutto.

L’universo ha bisogno anche del male. E dunque anche il male è bene.

Su questo punto non ragioniamo mai.

Che cosa c’è per noi di peggiore della malattia, della vecchiaia e della morte? Ma per il tutto sono un bene, altrimenti non ci sarebbero.

I nostri valori e i valori cosmici non coincidono, anzi spesso divergono. Dobbiamo distinguere la morale umana, nata per salvaguardare le nostre società, dalla morale universale. L’universo non è umano.

Da meditare.

mercoledì 22 dicembre 2021

TRovare il centro

 

Poiché la meditazione consiste nel guardare le cose senza filtri mentali, non ha bisogno di nessuna particolare condizione né di contesti religiosi o spirituali. Può essere praticata da chiunque e in qualunque momento, indipendentemente da credenze, appartenenze e fedi.

Non c’è quindi bisogno di aspettare condizioni ideali di calma e di fervore. Anzi, è proprio quando le cose vanno male e siamo agitati, confusi e sofferenti, che si rivela la sua utilità - dato che ci rendiamo conto che “bene” e “male” sono solo percezioni mentali che possono cambiare da un momento all’atro.

L’importante è stare nel centro.

La separazione fondamentale

 

Come proviamo una delusione quando scopriamo che la persona amata non può in fondo colmare il divario che separa ogni essere umano dall’altro, così proveremo una delusione se crediamo che Dio sia un Essere separato che un giorno colmerà ogni vuoto.

La verità è che la frattura fondamentale è dentro di noi, creata addirittura dalla coscienza, e, se non colmeremo questo divario, non usciremo mai dall’insoddisfazione, dall’incompletezza, dalla mancanza, dall’infelicità.

È dentro di noi che, prima di tutto, dobbiamo comporre la frattura e ritrovare l’unione con l’ “altro da noi”. E l’appagamento.

Solo a quel punto potremo parlare di amore e di Dio.

lunedì 20 dicembre 2021

I "non miracoli"

 

Se qualcuno scampa a una sciagura dove muoiono in tanti, grida al miracolo. Ma nessuno grida al “non miracolo” per tutte le altre vittime. Se c’è un terremoto che non distrugge un paese, si celebra una messa di ringraziamento. Ma nessuno celebra una messa di “non ringraziamento” quando il terremoto devasta e uccide. Insomma si ringrazia Dio solo quando le cose ci vanno bene e scampiamo al pericolo.

Tutto il resto, quando le cose ci vanno male, non sappiamo a chi attribuirlo. Alla natura? Al destino? Al karma? A una specie di Anti-Dio? A Satana? Ci mancano addirittura le parole.

In questo modo costruiamo un’immagine di Dio completamente duale e legata ai nostri interessi.

La nostra mente funziona così: divide e contrappone senza vedere l’insieme, il tutto. Quando ci innamoriamo, per esempio, la persona amata ci sembra la bellezza e la perfezione. Ma poi, a poco a poco, saltano fuori anche i difetti, il lato oscuro. E spesso l’amore lascia il posto al suo contrario.

Insomma viviamo di mitizzazioni e di idealizzazioni e non vediamo la realtà.

Per vedere le cose così come sono, dobbiamo esaminare questi meccanismi conoscitivi e i nostri tentativi di falsare il mondo.

E questo è il compito della meditazione. Che è una smitizzazione e un ritorno alla realtà nella sua interezza e integralità. Né miracoli né maledizioni – il mondo va così.

Guardare le cose per quel che sono e non per quel che vorremmo.

Fermare la mente

 

Anche se la prima fase della meditazione serve a tranquillizzare e calmare la mente-animo, lo scopo della meditazione non è addormentare, ma svegliare – svegliarci dai mille sonni e sogni, dalle fantasie infondate, dalle illusioni, dai luoghi comuni e dalle convenzioni. La meditazione non è un tranquillante.

Poiché siamo sempre agitati e viviamo nella confusione, è giusto tentare innanzitutto di calmarci. Però la calma serve a vedere con più chiarezza come siamo fatti e come è fatto il mondo – non un luogo di delizie e di tranquillità, ma un luogo di lotte, conflitti, tensioni e scontri, dentro e fuori di noi. Siamo tutti campi di battaglia di impulsi e di desideri inesauribili. Siamo insoddisfatti. Siamo alla perenne ricerca di cose che non troviamo o che troviamo per poco tempo e poi perdiamo.

La vita è per definizione agitazione, movimento, instabilità, cambiamento, evoluzione… E c’è solo la meditazione che possa fermarci per un po’, andando contro la consueta forza del divenire. Fermarsi e stare attenti sembra essere innaturale – neppure il respiro si ferma mai… dentro e fuori, dentro e fuori… Quando si ferma è la morte. Siamo “spirati”.

Nemmeno la mente smette mai di generare pensieri, fantasie, illusioni, ricordi, speranze e sentimenti. E, se possiamo in parte fermare il corpo, ben più difficile è fermare la mente. Eppure questo è proprio lo sforzo della meditazione: fermare l’agitazione della mente per riuscire vedere con chiarezza.

Fermare la mente, però, non è smettere di pensare e di sentire, ma spostare l’attenzione dai contenuti al contenitore. È come entrare in una stanza e non occuparsi delle cose o delle persone che ci stanno dentro, bensì percepire lo spazio del locale, che è sua volta parte di uno spazio immenso.

Se notate, ci sono sempre interruzioni tra un pensiero e l’altro, così come ci sono pause tra inspirazione ed espirazione. Ebbene è proprio lì che va a fissarsi l’attenzione del meditante. Spostare il focus da un punto all’altro, dalle cose mutevoli a ciò che le contiene.

martedì 14 dicembre 2021

Il non attaccamento

 

Non è semplice guardare la realtà così com’è in questo momento, senza giudizi, senza preconcetti,  senza punti di vista, senza tentativi di cambiare le cose, senza schemi, senza teorie, senza emozioni e senza sentimenti mutevoli. Dovremmo trovare uno stato di tranquillità, di distacco e di obiettività.

Quando non ci attende nulla, quando non ci si aggrappa a nulla, quando non si vuol respingere nulla, la mente è calma (non febbricitante e confusa come al solito). E quindi è vuota e vede le cose in modo trasparente, con chiarezza.

In quei momenti siamo in samadhi, semplicemente. E siamo nel nirvana, che non è l’apparizione di dei o paradisi. Ma questo stato di visione chiara e lucida.

Se ci basiamo invece su fedi oppure su dottrine religiose o filosofiche, non vediamo le cose così come sono, ma come vorremmo che fossero. E perciò non vediamo, ma fantastichiamo. Credo ut intelligam, “credo per capire”, dicevano sant’Agostino e sant’Anselmo d’Aosta.

No, è il contrario. Se credo, non capisco.

Il nostro più grande attaccamento è quello alla nostra individualità, alla nostra egoicità. A tutto potremmo rinunciare, ma non ad essere un io.

Eppure pensiamo a che cosa potrebbe essere se rinunciassimo a questo attaccamento. Sarebbe il vero distacco. Finirebbe anche la paura della morte e, con essa, finirebbero tutte le paure e le angosce che ci assillano.

lunedì 13 dicembre 2021

L'angoscia esistenziale

 

Se soffriamo ogni tanto di preoccupazioni, paure, ansie e angosce, senza un preciso motivo, non dobbiamo considerarci malati o anormali – è più che giustificato. Siamo esseri fragili che possono ammalarsi o essere colpiti da sventure in mille modi, possiamo essere feriti in ogni momento sia sul piano fisico sia sul piano morale. Nessuno è al riparo, nessuno è sicuro.

Abbiamo un’unica difesa. Questi pensieri, questi stati d’animo così disperati sono impermanenti. Sorgono e svaniscono, ininterrottamente. E noi possiamo esserne consapevoli. Anzi, se non lo fossimo, allora saremmo semplici animali senza autocoscienza.

Quando però siamo attenti, quando siamo consapevoli di ciò proviamo, in un certo senso non siamo più degli esseri isolati, ma siamo parti dell’intero universo, nella fortuna e nella sfortuna, nella gioia e nel dolore, nella vita e nella morte. Nella massima attenzione, è come se il soggetto individuale sparisse e venisse assorbito da un soggetto più vasto che riesce a vedere le cose con distacco, approdando a una visione saggia, non più influenzata da attrazioni, repulsioni e giudizi, e quindi riconciliandoci con i ritmi dell’universo.

L’intero creato è nella stessa situazione, non ci sono esseri privilegiati. Tutti nascono, crescono, decrescono, si ammalano, invecchiano e muoiono.

Questa constatazione ci unisce a tutti e ci fa sentire meno separati. È la nascita che ci accomuna in un’unica tragicommedia. Siamo emersi alla vita come divisi e soli.

Ciò che possiamo fare è approfittare della situazione per sviluppare una consapevolezza e un movimento che proceda in senso contrario.

 

sabato 11 dicembre 2021

L'unità dei viventi

 

In piazza san Pietro è stato innalzato un abete proveniente da Andalo, in Trentino, che aveva 113 anni ed è alto 28 metri – una meraviglia della natura. Da lì il Papa parla del rispetto per la vita e per la natura. Ma nessun rispetto per questo antico albero che è stato ucciso e portato come una vittima sacrificale o un  trofeo di caccia fino a Roma.

Questa la dice lunga sulla nostra insensibilità per la vita, non solo degli uomini ma di tutti gli esseri viventi. In realtà la vita di quell’albero è importante come quella di chiunque altro, di un pollo o di un bambino. Chi è che stabilisce la scala dell’importanza? Gli uomini che vi si mettono in cima e che addirittura si ritengono “figli di Dio”.

Naturalmente sono tutte prepotenze e illusioni antropomorfe.

Il mondo non cambierà finché non considereremo la vita di un albero preziosa come quella di una mucca o di un uomo. O tutti o nessuno.

venerdì 10 dicembre 2021

L'estinzione del desiderio

 

La regista Lina Wertmuller, morta ieri, diceva che la vita è uno sprazzo di luce tra un buio prima e un buio dopo. Ecco un dato di fatto, un’osservazione realistica. Ma pochi accettano la realtà e i più pretendono di non morire mai, sostenendo che rivivranno in questo mondo (attraverso la reincarnazione)  o in qualche fantastico paradiso. Questa non è più realtà. Ma fantasia, l’incapacità di vedere senza miti, senza fette di salame sugli occhi.

Non a caso, di uno che è morto si dice che si è “spento”. Ma dove va la luce quando scompare?

In effetti, il desiderio umano non scompare mai, neanche in punto di morte.

Se saggiamente finisse, potremmo accettare la morte come una liberazione dal peso del corpo e della vita. E non sogneremmo più rinascite.

I sogni della mente

 

Il processo di idealizzazione va di pari passo con il processo di mitizzazione. Per esempio, Gesù o il Buddha sono mitizzati e non si può criticarli. Distruggere un mito è distruggere un’illusione radicata. Eppure, se guardiamo attentamente, scopriamo anche i lati negativi e i limiti di queste persone. Il risultato è che tutto ciò che non rientra nel quadro del mito, viene rimosso. Ma quel che abbiamo non è qualcosa di reale, bensì qualcosa cui sono stati tolti gli elementi sgradevoli.

La mente umana va avanti a forza di idealizzazioni e di miti, non è capace di guardare la realtà così com’è, con le sue luci e le sue ombre. Vede quel che vuole vedere. È dominata da un desiderio di piacevolezza, vuole esaltarsi. Allora immagina paradisi, terre promesse, esseri soprannaturali, uomini perfetti e senza difetti…

È questo desiderio che domina le nostre menti. Vogliamo il piacere a tal punto da cancellare quel che stonerebbe.

Nella nostra ricerca di sensazioni piacevoli, ci immergiamo nelle atmosfere favolistiche del cinema e della televisione e per un po’ stiamo soddisfatti e trasognati. Amore, sesso, violenza, ricchezza, avventure, potere ed eroismo sono eccitanti e piacevoli. E per un po’ ci dimentichiamo della realtà e dei nostri problemi. Fino a che ci riprendono la noia e la tristezza. Allora dobbiamo cercare stimoli sempre più forti e moltiplicare queste esperienze di stordimento anche attraverso alcol e droghe.

Nonostante questo, nessuno vorrebbe morire. Ed eccoci a sognare nuove nascite in questo mondo o in altri mondi.

Ma, se vogliamo conoscere come stanno veramente le cose, dobbiamo riconoscere i processi di idealizzazione e mitizzazione, e uscire con la meditazione dai sogni della mente.

 

 

Il processo di idealizzazione

 

Quando ci innamoriamo di una persona, non vogliamo vedere i suoi difetti o, per meglio dire, non li vediamo proprio. Per noi l’amore è qualcosa di solo piacevole, ed è per questo che ci piace tanto.

Si tratta di un processo di idealizzazione. Un processo che noi applichiamo a tanti altri aspetti del mondo, fino al punto di concepire un Dio che sia solo amore e bontà. Come se l’amore e la bontà potessero esistere da soli, senza i loro opposti.

Ma ogni cosa ha il suo aspetto negativo. Come direbbero i taoisti, ogni yang ha il suo yin, ogni luce ha le sue ombre… e prima o poi saltano fuori.

Anche i grandi maestri, anche i grandi fondatori di religioni hanno i loro aspetti negativi. Anche Dio ha il suo Satana.

Questa semplice constatazione ci dovrebbe spingere a contemplare in un unico sguardo complessivo pregi e difetti sia delle persone sia delle divinità sia delle situazioni.

Anche la vita e l’amore hanno i loro aspetti spiacevoli. Non sono solo fenomeni positivi.

Ciò dovrebbe indurci a non idealizzare niente e nessuno, a non farci trascinare da entusiasmi – a non perderci dietro illusioni irrealistiche.

Non c’è paradiso senza inferno.

giovedì 9 dicembre 2021

Aprire la mente

 

Attrazione e repulsione non agiscono solo negli esseri viventi. Ma in ogni cosa dell’universo – anche negli atomi, anche nelle particelle, anche nei pianeti, nelle stelle e nelle galassie. Sono leggi impersonali.

Noi invece vorremmo vedere nella nostra esistenza leggi ad personam, quasi che fossero ritagliate solo per noi e che fossero molto più nobili di quello che sono.

Se sono attratto da una persona o se mi è antipatica, non è qualcosa di speciale, ma è la stessa legge che agisce anche sugli atomi o sulle stesse. Il mio amore o il mio odio non sono volute da un volontà divina, ma rientrano nella dinamica generale delle forze universali.

Noi crediamo che i nostri sentimenti, le nostre passioni o i nostri impulsi facciano parte di un destino individuale, tanto da credere che il tutto sia manovrato da un Dio Persona.

Ma, se Dio fosse una Persona, di quanti misfatti sarebbe colpevole! Dalle epidemie alle gelosie, dai terremoti agli amori, dalle guerre alle paci, dai moti delle stelle ai moti dell’animo umano, tutto è regolato da leggi impersonali che agiscono su ogni elemento del cosmo.

Nessuna Persona divina le vuole, nessuno è colpevole, tutto nasce da rapporti impersonali di causa ed effetto.

Così bisogna contemplare la realtà. Non chiudersi nei propri miserabili interessi, ma aprirsi alla verità. Non c’è nessun Dio Persona che ci segue e prende nota delle nostre azioni per premiarci o punirci. Non siamo così importanti. Siamo piccolissime parti di una meccanismo universale.

Le cose sono così perché, dato il tutto, non potevano che essere così.

Aprirsi alla verità non è concentrarsi e ritagliare un particolare statuto per noi. Ma aprire la mente, al di là dell’individuale e dell’egoico.

Osserviamo la mente per rimuovere le sue illusioni. Non lavoriamo a livello dell’io.

mercoledì 8 dicembre 2021

L'arte del trucco e dell'inganno

 

Perché le donne si truccano? Per ingannare i maschi e apparire più belle di quelle che sono. Anche gli attori si truccano, per apparire quelli che non sono, per recitare una parte.

Ma, nel gran teatro del mondo, tutti ingannano tutti, talvolta per conquistarli, talvolta per distruggerli.

Lo stesso avviene nella natura, che ci inganna per nascondere le sue magagne, per apparire più desiderabile di ciò che è.

Tutto è inganno e illusione.

Calma e lucidità

 

Se vuoi vedere le cose così come sono, devi essere consapevole, calmo e distaccato. Quando le vedi con l’occhio delle passioni, depresso o estatico, arrabbiato o eccitato, ecc., le vedi in modo parziale e condizionato.

Solo quando sei composto, vigile e sereno, non ti lasci né illudere né irretire. La calma è la capacità del giusto mezzo, che ti avvicina alla realtà delle cose.

Noi diventiamo ciò che osserviamo. Se osserviamo scene di eccitazione o di ira, assorbiamo quelle passioni  e diventiamo squilibrati. E viceversa. Se osserviamo il mondo adirati o tristi, aridi o avidi, pessimisti o ottimisti, vediamo tutto in base a quelle luci.

Solo se siamo calmi, siamo lucidi e la nostra visione diventa obiettiva e saggia.

martedì 7 dicembre 2021

L'aiuto del respiro

 

La meditazione invita a mantenere l’equilibrio psichico, dato che solo nell’equilibrio emergono la pace, il distacco e l’equanimità di giudizio. Per mantenere l’equilibrio non c’è bisogno di stare fissi su un oggetto, ma, come quando si va in bicicletta, ci si piega continuamente da una parte e dall’altra. Si tratta quindi di un equilibrio dinamico, non statico. Né cedere da una parte né cedere dall’altra., ma riequilibrare lo stato d’animo con una spinta in senso inverso.

In pratica, quando tendiamo a deprimerci o a esaltarci, quando ci scoraggiamo o abbiamo troppa fiducia, ne diventiamo consapevoli e riporta l’attenzione al respiro, che è qualcosa di concreto e di fisico – una specie di ancora di salvezza.

Il ritorno al respiro serve a interrompere la deriva negativa, in particolare l’identificazione con lo stato d’animo eccessivo: “Io non sono questo…”. Con l’esperienza, si impara a manovrare il respiro , allungandolo, approfondendolo o interrompendolo.

Poiché ogni stato d’animo è legato a un genere di respirazione, cambiando la respirazione si cambia lo stato d’animo.

Spirito e respiro sono collegati.

lunedì 6 dicembre 2021

La via di mezzo

 

Di solito si dice che il meditante, ispirandosi al buddhismo, segua una “via di mezzo” tra austerità e piaceri dei sensi. In un certo senso questo è vero. Agli effetti dell’illuminazione non serve a nulla né darsi all’ascesi, come facevano i monaci di una volta, né darsi alla pazza gioia. Puoi anche rinunciare al sesso e ai piaceri dei sensi, ma questo ti ridurrà solo a una pigna secca e non ti avvicinerà di un passo alla liberazione. I sensi sono utili e fondamentali per rendere varia la vita. Spegnerli è come spegnere il cervello. Ma è anche vero che il gaudente raramente diventa un illuminato: la sua vita è troppo dispersiva.

Ma questa “via di mezzo” non ha solo un significato etico. Ne ha anche uno tecnico.

Il problema, per il meditante serio, è essere consapevole degli stimoli e degli impulsi che lo assalgono e smussarne gli estremi. Si tratta di mantenere il centro di sé, senza essere sballottati da tutte le parti. Siamo noi che dobbiamo diventare padroni di noi stessi, dei nostri stati d’animo. Non devono essere gli altri o gli eventi casuali a determinare la nostra via.

Il meditante sa di essere condizionato in mille modi: non solo dal corpo, ma soprattutto dai pregiudizi, dagli schemi mentali, dalle idee convenzionali e dalle tradizioni – questo è il punto. Il corpo ha una sua onestà e concretezza, ed è con esso che possiamo e dobbiamo meditare. Ma la mente è ben più insidiosa e fuorviante.

Calmare il corpo, calmare la libidine è abbastanza semplice. Ma calmare la mente è un’impresa più difficile.

La “via di mezzo” per quanto riguarda la mente consiste nel diventare consapevoli e controllare pensieri, immagini e stati d’animo, evitando che siano loro a dirigere noi.

“Fare la guardia alle porte dei sensi” non è una questione moralistica. Tutti proviamo piacere a mangiare, bere e far l’amore, e non c’è niente di male. Fra l’altro, non fare sesso significa rinunciare a importanti ormoni e porta a un inaridimento del carattere. Se non esageriamo, non è questo che ci allontana dalla meditazione.

Ciò che ci impedisce di meditare riguarda soprattutto la mancanza di vigilanza a livello mentale, la mancanza di attenzione, la mancanza di presenza mentale.

 

domenica 5 dicembre 2021

Il lavoro su di sé

 

La meditazione è un “lavoro su di sé” che cambia il nostro rapporto con noi stessi e con il mondo – e quindi il mondo stesso. La prima cosa da fare è osservare noi stessi, non solo a livello corporeo ma anche mentale. Come sto adesso? Come sta la mia mente? Che cosa provo adesso? Sono felice o infelice, sono soddisfatto o insoddisfatto, provo piacere o dolore, provo paura o fiducia, provo ansia o sono disteso, sono preoccupato o calmo, nervoso o sereno, presente o assente, attento o distratto..?

Basta un colpo d’occhio per saperlo, è un specie di check-up. L’opera di coscientizzazione, la presa di coscienza, l’autoesame è fondamentale. Anche se non può essere del tutto obiettivo, tutti sappiamo se stiamo bene o stiamo male. Non abbiamo bisogno di un dottore.

Se stiamo bene, tutto va bene: possiamo proseguire così. Ma se stiamo male, dobbiamo capire il perché.

Ora qui le cose si complicano. Perché tutti stiamo un po’ bene e un po’ male. E perché tutti siamo insoddisfatti.

Quindi dobbiamo capire se la nostra insoddisfazione dipende da fattori contingenti e temporanei, oppure da fattori più profondi. Se c’è un fattore determinato, non ci rimane che lavorare a risolverlo. Ma, se l’insoddisfazione è generale e più profonda, allora dobbiamo allargare l’orizzonte.

Nessuno può sfuggire alla sofferenza e alla tensione: prima o poi ci capita. Il fatto stesso di vivere è legato a una certa angoscia esistenziale. Anche se stiamo bene, anche se siamo ricchi e fortunati, siamo pur sempre esseri umani limitati che dovranno invecchiare e morire.

L’insoddisfazione è dunque qualcosa di fondo. Se da una parte c’è il piacere di vivere, dall’altra c’è la consapevolezza che non durerà. Tutto finirà, il bene e il male.

Nessuno di noi è soddisfatto. Tutti desideriamo sempre qualcosa, se non altro vivere a lungo. E non serve a niente pensare che la nostra condizione migliorerà. In realtà, tutto peggiorerà e alla fine svanirà.

Sedersi in meditazione significa abbracciare con un singolo sguardo questo divenire incessante, i nostri desideri di piaceri, di diventare qualcuno o di sbarazzarci delle cose spiacevoli, le nostre illusioni e le nostre delusioni. Il fatto stesso di osservare con distacco questo scenario, ci pone in uno stato di maggior calma.

Se vediamo scorrere dentro di noi l’inquietudine, l’avidità, l’amore, l’odio, la gioia, il dubbio o l’angoscia, e scopriamo che vanno e vengono alternandosi di continuo, se siamo presenti e consapevoli, si affaccia in noi la percezione e l’aspirazione a un’altra realtà, finalmente non sballottata dagli eventi e in pace.

venerdì 3 dicembre 2021

Rimanere distaccati

 

Chi pensa e vede solo le cose di questo mondo è come se avesse la vista impedita. Vede solo certe cose, ma ignora le altre – e soprattutto ignora la propria ignoranza.

Quindi è come un sughero in balia delle onde: va sopra e sotto, da una parte e dall’altra. Viene sballottato, viene trascinato da perdite e guadagni, da lodi e biasimi, da piaceri e dispiaceri, da attrazione e repulsione.

Al contrario, se stiamo attenti, se ci concentriamo, non andiamo più a casaccio, avanti e indietro, ma rimaniamo centrati in un punto ideale che ci permette di guardare le cose e noi stessi con distacco. In meditazione bisogna esercitare una sorta di omeostasi, di riequilibratura (upekkha), che ci consente di stare un po’ al di sopra delle cose, dell’io e delle sue preoccupazioni, al di fuori dell’abituale sguardo egocentrico e limitato. Otteniamo così uno sguardo equanime.

Secondo la tradizione buddhista, gli attaccamenti che ci oscurano la vista non sono solo quelli sensuali, ma anche quelli alle immagini (pensiamo alla nostra civiltà delle immagini), ai riti e alle tradizioni con la loro ossessività e soprattutto all’idea di sé.

Se meditiamo, scopriamo ben presto che siamo condizionati fin nell’intimo, fin nelle convinzioni più basilari.

Siamo tutti legati alla società e all’agitazione del mondo, tanto da non apprezzare la gioia del ritiro, della quiete e dell’illuminazione.

"Di tutti gli stati, condizionati o incondizionati, il distacco è il più elevato" (Anguttara Nikaya)


Ma da dove nasce il distacco? Non da un preconcetto o da un atto di fede, bensì da un’attenta e spassionata osservazione del mondo, in particolare dalla constatazione che non c’è niente che non sia provvisorio, impermanente e privo di sostanza. Le cose, anche le più solide, non sono che fragili insiemi di atomi e particelle, pronti a cambiare e a dissolversi in ogni istante.

Dunque non ha senso attaccarsi a ciò che instabile, mutevole e limitato nel tempo e nello spazio. Di tutto questo fantastico universo non resterà niente, ogni cosa è destinata a sparire.

Se ci leghiamo a qualcosa o a qualcuno, alla fine, quando cambierà o sparirà, non ci resterà che sofferenza e delusione.


giovedì 2 dicembre 2021

L'altra coscienza

 

“Chi sono io?” Quando ci poniamo questa domanda, sappiamo come rispondere: “Io sono questo corpo, questi pensieri, questi sentimenti, questi ricordi, queste percezioni, queste emozioni, tutte queste attività mentali e questa coscienza”. Io sono queste insieme di cose, materiali, psichiche, psicologiche e mentali. Questo sono io e nessun altro. Questa è la mia personalità, questa è la mia identità”.

Ma qualcuno ci dice: “Non è vero. Tu ti identifichi con queste cose, ma la tua vera identità, la tua identità ultima non è quella. È un’altra”.

Prendiamo per esempio il buddhismo. “Lasciate perdere questa identità” dice il Buddha. “Se rimanete legati a questo tipo di identificazione, non vi libererete mai. Voi non siete il corpo, non siete le sensazioni, non siete i sentimenti, non siete le formazioni mentali che sono attive in questo momento. E non siete neppure questa coscienza”.

Ma allora che cosa siamo vi domanderete voi?

Non è possibile rispondere con le parole, i sentimenti, le sensazioni e i pensieri a nostra disposizione, ma riflettete sul fatto che c’è qualcuno che ha pensato che noi non siamo affatto l’attuale io, l’attuale coscienza.

C’è dunque un altro possibile tipo di consapevolezza da attuare.

Basta questa semplice idea a mettere in crisi tutte le nostre certezze.

Proviamo un po’ a verificarla.

In tal senso, c’è un altro senso dell’ego.

mercoledì 1 dicembre 2021

Il mondo che verrà

 

Tutto sommato, il pensiero orientale non dà un buon giudizio della vita umana. Per esempio, per il buddhismo, rinascere una sola volta in questo mondo è meglio che rinascere tante volte, e non rinascere più è l’optimum. È come se l’incarnazione in un corpo fosse una caduta da uno stato che era già perfetto. “Piena di sofferenza è la nascita ripetuta” conferma il Dhammapada.

Da noi sembra invece che nascere sia una fortuna. Ma anche qui non ci si dimentica che c’è stato un peccato originale, ragion per cui questo mondo è degenerato e pieno di sofferenza.

Insomma, nessuna religione dà un buon giudizio di questo mondo – è pur sempre un mondo decaduto, in cerca di riscatto.

“Tutto è vanità in questo mondo” dice l’Ecclesiaste. “Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole?... Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo… Chi accresce il sapere, aumenta il dolore…Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto…”.

Nessuno sa spiegare, in effetti, perché da un presunto stato di perfezione o di completezza sia nata questa caduta nella materia.

Se però lasciamo stare i miti, forse il ragionamento va invertito. Non è vero che in origine c’era uno stato perfetto. All’inizio si trovano forme di vita primitive ed elementari, da cui è partita una lenta evoluzione. Insomma, la perfezione dovrebbe stare in fondo e non in principio. Ma come va concepita?

Prendiamo il caso dei livelli di evoluzione meditativa del buddhismo, i cosiddetti jhana. Nel primo jhana, il meditante, liberatosi dei piaceri sensuali e dell’attaccamento al mondo, prova gioia e felicità, ma possiede ancora pensieri concettuali e discorsivi. Nel secondo jhana, prova ancora gioia e felicità, nate dalla concentrazione e dal superamento del pensiero abituale. Nel terzo jhana, incomincia a lasciarsi alle spalle la gioia e resta imperturbabile, sereno, con la mente stabile. Nel quarto jhana, ottiene un’equanimità, un distacco dal mondo e un risveglio che lo fanno andare oltre il piacere e il dolore.

Riassumendo, nel primo stadio si verifica la cessazione del desiderio e degli stimoli sensuali, a favore del distacco, della riflessione, della concentrazione sugli oggetti di meditazione e di uno stato di gioioso benessere. Nel secondo stadio, cessa la speculazione mentale e la concentrazione sugli oggetti a favore della calma e dell’unità della mente. Nel terzo stadio, si dimora spassionati ed equanimi, consapevoli ed attenti sperimentando ancora la gioia, a favore della libertà dagli affetti e dall’acquisizione dell’imperturbabilità. Nel quarto stadio, l’imperturbabilità va anche oltre il dualismo di gioia e sofferenza, letizia e dolore.

Sembra quindi che questi stadi evolutivi contraddistinguano la nascita dell’uomo nuovo, che va al di là di ogni dualismo. Che sia questo il modo per far nascere un mondo completamente diverso? Certo, abbiamo ancora tanta strada da fare.

martedì 30 novembre 2021

La condizione umana

 

Come c’è un benessere basilare legato all’esistenza umana, così c’è anche un malessere. Non si può negare infatti che la nostra vita sia limitata in un determinato spazio-tempo, condizionata, confinata in un corpo e in un io che non possono essere cambiati, dominata da opposti impulsi di attrazione/repulsione, piena di desideri insoddisfatti e contrassegnata da mille malanni, mille pericoli e mille ignoranze. Non ci sono solo le sofferenze legate ai dolori fisici e morali, ma anche quelle legate proprio al cambiamento e al divenire.

Se non si tiene conto di questo alternarsi di benessere e malessere, se non ci si sente ristretti in questa condizione umana, non si è portati per la meditazione, che parte sempre da un’insoddisfazione e da una riflessione.

Il meditante queste cose le sa e ne tiene conto, mentre l’incosciente, il non pensante, l’ignorante, oscilla da un estremo all’altro illudendosi di sfuggire alla metà dolorosa della vita.

La meditazione è una visione sintetica e serve anche a riequilibrare gli opposti stati d’animo. Il meditante non si esalta quando le cose vanno bene e non si abbatte quando vanno male. Guarda questa impermanenza con occhio distaccato, consapevole che questo è anche l’unico modo per uscirne non distrutti.

lunedì 29 novembre 2021

Le opinioni

 

È singolare che il buddhismo citi fra i vari ostacoli all’illuminazione - come l’ignoranza, il desiderio sensuale, l’orgoglio, l’attaccamento al divenire, ecc. - la mania di avere opinioni.

Pensiamo ai nostri poveri opinionisti.

Il fatto è che le opinioni sono punti di vista soggettivi, spesso infondati. Non danno nessuna garanzia di obiettività.

Per essere obiettivi ci vogliono riflessione, meditazione e saggezza. E, spesso, è meglio non avere opinioni (parziali, insicure e insufficienti) su argomenti che non possono essere definiti a parole e quindi neppure ingabbiati nelle categorie abituali del pensiero.

In tali casi, molto meglio il "nobile" silenzio.

L'idea di Dio

 

Quando tutte le cose erano ancora nell’Origine, nessun sentiva il bisogno di Dio. Ma, quando uscirono fuori, allora la mente umana incominciò a pensarci.

Tuttavia pensa che Dio sia un Essere a se stante. E quindi molti non sanno di che cosa parlano e pregano qualcosa che è semplicemente un’idea della loro mente; lo credono un Dio unico, trascendente, personale e creatore del mondo.

Ma quel che ora chiamiamo Dio era a quei tempi (senza tempo) l’esperienza di tutti.

Quando facciamo l’esperienza della vera trascendenza, l’idea di Dio scompare.

domenica 28 novembre 2021

Viraga, il distacco

 

Ci sono tante persone che sono abituate a mentire non solo agli altri ma anche a se stesse. Di conseguenza sono degli alienati, degli infelici. Perché una cosa è certa: che chi non è se stesso, è doppiamente infelice.

All’inizio, in meditazione, tutti cerchiamo la felicità e la nostra vera identità terrena – e non è una via sbagliata. Tutti cerchiamo benessere e gioia. Ma, man mano che approfondiamo, scopriamo che anche la felicità e l’io non sono che increspature di un mare che ha mille movimenti.

Ora noi vorremmo andare oltre tutti questi movimenti. Non cerchiamo le increspature fenomenologiche della realtà, ma la realtà stessa, nella sua nudità o nuda identità. Vogliamo andare oltre la dimensione umana.

Meditare è tenere desta una consapevolezza di fondo che ci avverte di tutte le increspature, ponendoci nel punto centrale, nell’occhio, del ciclone, e donandoci il distacco (viraga).

Viraga è lo stato al di là dei movimenti mentali, delle passioni, dei desideri. Almeno finché dura la meditazione.

Dopo aver trovato la calma (samatha), ecco che ci inoltriamo nella visione profonda (vipassana), la visione che tocca il fondo della cose.

Chi medita osserva e vede con sempre maggior chiarezza i movimenti, i metodi, gli strumenti e le strategie con cui si tiene in vita il mondo. Vede la dialettica, l’andare e il venire, e l’impermanenza del tutto. E man mano se ne distacca.

Lo stesso Buddha diceva che, come il mare diventa profondo poco alla volta, gradualmente, “così in questo insegnamento e in questa pratica, vi è un esercizio graduale, un’azione graduale, uno svolgimento graduale, e non un accesso subitaneo alla conoscenza suprema” (Anguttara Nikaya, 8, 19).

sabato 27 novembre 2021

Dukkha

 

Vivere è tendersi, protendersi, per tutti gli esseri viventi, con il corpo e con la mente. Ma è chiaro che “entrare in tensione” è pur sempre uno stress, uno sforzo, una sofferenza, ciò che il Buddha chiamava dukkha. La sua prima “nobile” verità è che la nostra condizione non può essere esente da sofferenza. Nascere è dukkha, vecchiaia è dukkha, malattia è dukkha, morte è dukkha. 

Si può non essere d’accordo? E si può non essere d’accordo quando aggiunge che essere legati a coloro che non amiamo è dukkha, che essere separati da ciò che amiamo è dukkha e che non ottenere ciò che si vuole è dukkha? Evidentemente no. Sono esperienze di tutti. E molte altre cose sono dukkha.

Questo non significa che non esistano momenti di piacere, di benessere, di gioia e di felicità. Ma resta il grande problema che tutto è impermanente, evanescente, non durevole, destinato a finire. C’è dunque una sofferenza insita nella condizione di essere vivente. Nessuno può sfuggire a dukkha.

Se vogliamo cercare uno stato esente permanentemente da dukkha, dobbiamo rivolgerci altrove, non a questa esistenza. Il mondo non è redimibile.

Ma poiché ci troviamo in questo stato, con questo corpo e con questa mente, è con loro che dobbiamo cercare di capire e di risolvere il problema. Non invocando dei o salvatori ultraterreni.

Se ci fossero dei o salvatori, il mondo sarebbe diverso. Ed è proprio di questo che ci lamentiamo – che non lo è.

mercoledì 24 novembre 2021

Il benessere originario

 

In meditazione non c’è bisogno di rivolgersi a nessuna divinità, per il semplice fatto che non si tratta i ricevere una grazia, ma di compiere un’esperienza che è alla portata di tutti e che è affidata alla persona stessa che la compie. La prima fase di questa esperienza è trovare la pace interiore, qualcosa che ci siamo dimenticati, immersi come siamo in un mondo frenetico e stressante.

Come diceva Pascal, “tutta l’infelicità dell’uomo proviene da una sola cosa: dal non saper stare in riposo in una stanza”. Il che significa che se impariamo a stare “in riposo in una stanza” troviamo anche uno stato di felicità – uno stato che non deriva da come ci vanno le cose, ma da noi stessi. È qualcosa di sempre presente e antico, che sta in noi, ma che noi perdiamo. Più che di felicità, possiamo definirlo un’esperienza di benessere. Senza benessere non ci sarebbe vantaggio nella meditazione, ma neppure nella vita.

Perché dovremmo vivere se dovessimo sempre star male?

Purtroppo, le vite sbagliate e innaturali che conduciamo ci portano a desiderare mille altri beni e a provocare mille altri malesseri e sofferenze. È tutto molto semplice.

La meditazione è rivolta per prima cosa a ripristinare questo benessere basilare che è qualcosa di naturale. Non bisogna quindi sforzarsi o tendersi, ma fare esattamente il contrario: non fare, lasciar andare i pensieri e le preoccupazioni, distendersi, rilassarsi. Riprovare la gioia di essere, il piacere del riposo, il piacere del respiro, il piacere dell’essere coscienti.

Per ottenere questo stato, dobbiamo arrestare ogni altra attività, fisica e mentale, e concentrarci, meglio, stare attenti al respiro: inspirazioni, espirazioni, intervalli... Nient’altro.

Naturalmente dobbiamo immergerci in questa sensazione, lasciando perdere ogni altro pensiero. Se insistiamo, il benessere diventa tangibile e aumenta fino a diventare una vera e propria gioia. Per non divagare, per non distrarci, seguiamo il respiro nei punti in cui diventa sensibile: nelle narici, nei movimenti del torace, nel suono dell’aria, nella pancia… Oppure ripetiamo mentalmente ispirazione, espirazione o dentro, fuori – o tutte queste cose alternate.

La cosa fondamentale è attaccarci alla sensazione di benessere, che dipende solo da noi, che è gratis, che non richiede sforzi, che non dipende da nessun'altra condizione, che può essere intensificata fino ad una vera e propria estasi.

Questo è uno dei premi della meditazione. Ma è solo l’inizio.

La verità salutare

 

Nella storia delle religioni, piena di inviti alla fede e al fanatismo, c’è un’unica eccezione: il discorso del Buddha ai Kalama, gli abitanti di una cittadina del regno di Kosala, che gli avevano domandato a chi o a che cosa credere nella confusione dei messaggi e delle opinioni:

 

“Non lasciatevi guidare dai racconti orali, dalla tradizione, dal sentito dire, dall’autorità dei libri religiosi, dalla sola logica, dalle deduzioni, dall’apparente competenza di chi vi parla, dalla verosimiglianza, dal piacere per la speculazione, non lasciatevi guidare nemmeno dal pensiero: ‘Questo è il mio maestro’… Ma se constatate di persona che certe cose vi fanno male e conducono alla sofferenza, allora rinunciatevi. E se constatate di persona, con occhi bene aperti, che certe cose vi fanno bene, allora sì accettatele e mettetele in pratica.”

Insomma, dobbiamo sperimentare e riflettere da soli, lasciando perdere i religiosi, i filosofi e i presunti o sedicenti maestri. Il che significa che dobbiamo lasciar perdere anche le verità codificate del buddhismo.

Ciò che conta è verificare di persona se una cosa ci fa sentire tranquilli-sereni o agitati-angosciati. La “verità” (che non può essere affidata alle parole e neppure ai pensieri) deve far bene subito, deve darci la tranquillità. È l’effetto che conta.

lunedì 22 novembre 2021

Maestri di vigilanza

 

Guardare in senso meditativo non è semplice, perché differisce dal comune guardare condizionato. È un guardare senza adesione, con distacco, lontano dagli estremi dell’attrazione e della repulsione, attento a non cadere nelle illusioni, nei miti, nei luoghi comuni – qualcosa che ricorda anche l’atteggiamento stoico, l’atteggiamento che ha fatto grande Roma e che, una volta abbandonato per dar seguito all’atteggiamento cristiano, basato sulla passionalità, l’emotività, la sottomissione e la credulità, ha decretato la fine dell’impero.

Facciamo la prova. Guardiamo le cose senza fedi, senza schemi, senza distorsioni, senza pregiudizi, obiettivamente. Guardiamole freddamente, ma con compassione per comunanza di destino. Non è facile. C’è sempre qualche deformazione, qualche emozione, qualche parzialità, qualche distrazione.

Il meditante deve invece deve continuamente tenere d’occhio il mondo e se stesso, il particolare e l’insieme, il lato oscuro e il lato luminoso, l’apparenza e la profondità, il dritto e il rovescio, la semplicità e la complessità, senza cedere agli alti e ai bassi della vita.

Non perde mai la concentrazione consapevole, ritorna sempre alla presenza mentale. È in tal modo che alla fine vede le cose così come sono. Il che non vuol dire che le cose siano in sé, indipendentemente dallo sguardo di chi le guarda, ma esattamente il contrario. Siamo noi che ci siamo messi nella posizione giusta per vedere, sia quel che sia.

domenica 21 novembre 2021

La sentinella dell'anima

 

Mi correggo. Il fine della vita non è semplicemente vivere. Ma vivere per vedere, e infine deporre la volontà di vivere-e-morire, per uscire definitivamente dal ciclo vizioso delle nascite e delle morti, per andare al di là.

Ma com’è possibile che i problemi filosofici, i dubbi e le contraddizioni possano essere risolti solo guardandoli?

Li poniamo davanti a noi e li osserviamo attentamente, senza fretta di risolverli. Li guardiamo da tutti i lati, da tutte le prospettive… finché non ci accorgiamo che sono soltanto problemi razionali, della mente logica. Allora svaniscono.

Il paradosso, la contraddizione, non viene risolta scegliendo uno dei due estremi (esiste o non esiste Dio? Esiste o non esiste un’anima?...), ma abbracciandoli entrambi. La verità, la realtà, è paradossale per la mente e, in sé, non risponde al principio di non-contraddizioe.

La meditazione non è una ricerca razionale, come una filosofia, ma una via sintetica dell’attenzione, cioè tiene conto di entrambi gli estremi.

Se una persona è attenta, dice il Buddha, vedrà gli stati benefici progredire ineluttabilmente; se è disattenta, vedrà gli stati nefasti progredire ineluttabilmente.

sabato 20 novembre 2021

La pacificazione profonda (samatha)

 

La calma non è solo la virtù dei forti, così come dice il proverbio, ma è anche la via verso l’illuminazione. Infatti la calma è una via di mezzo tra l’esaltazione e la depressione, tra l’eccesso di forza e la mancanza di energia, tra ottimismo e pessimismo, e permette quindi di vedere le cose senza filtri emozionali condizionanti.

Inoltre la calma è un punto di equilibrio che permette di non perdersi tra i ricordi del passato e le ansie del futuro. Rimane nel presente.

Avere la calma consente di vedere le cose senza schermi, senza contraffazioni. Secondo le parole del Buddha, “in ciò che vedi, vedi soltanto ciò che è dato vedere. In ciò che ascolti, ascolti soltanto ciò che è dato ascoltare. In ciò che provi, provi soltanto ciò che è dato provare. In ciò che conosci, conosci soltanto ciò che è dato conoscere.” Niente di più e niente di meno.

Con la calma meditazione, smetterai di aderire alle cose e avrai uno sguardo limpido. Vedrai nella natura del tuo essere e dell’essere in generale. Non parteggerai per nessuno e per niente. Vedrai direttamente, senza pensare, senza costrutti mentali.

Lo zen, dice Suzuki, è “un’arte di vedere”. Ed è la calma del corpo e della mente che ti porta alla chiara visione.

La meditazione samatha è come un’ “arma affilata senza la quale è pericoloso andare in battaglia” dice il Buddha.

venerdì 19 novembre 2021

La nevrosi del mondo

 Poiché il nirvana viene assimilato al nulla, spesso il buddhismo viene definito “nichilista”. D’altronde il termine “nir-vana” è composto da due parole: “nir” che è la particella negativa e “vana” che significa vento o soffio. Si tratta dunque di una mancanza di “soffio” vitale: che cosa rimane dunque?

Bisogna intendersi, però, su questo nulla, su questa operazione di estinzione.

Se infatti vogliamo svegliarci da un sogno (magari brutto), dobbiamo necessariamente annullare, spegnere o estinguere quello stato irreale. Le due cose non possono stare insieme.

Dunque il nulla o il vuoto di cui parla il buddhismo è la nientificazione del samsara senza speranza, ossia del girare intorno e agitarsi come topi in gabbia – uno stato di nevrosi cosmica.

Se per esempio volete scoprire la vastità dell’intero panorama dovete abbattere la casa in cui vi siete chiusi. Se gettate giù le mura, che cosa si vede al di là?

Del resto, quando una persona muore, che cosa si dice se non che “si spegne”? Non è il buddhismo che è nichilista. È il mondo che prevede l’annientamento finale come passaggio all’aldilà nirvanico. Non potrete portarvi dietro niente di questo mondo, dovrete necessariamente liberarvi di tutto.


giovedì 18 novembre 2021

Senza scopo

 

Nella vita ci poniamo sempre degli obiettivi. “Devo fare questo, devo raggiungere quello, devo ottenere quell’altro…” E se non lo facciamo ci sentiamo inutili.

Anche a livello religioso ci dicono che dobbiamo vivere per superare certi esami, per essere promossi, per meritare il paradiso. Come se la vita esistesse per raggiungere una meta.

Solo in meditazione ci accorgiamo che, così facendo, siamo sempre tesi e lontani da qui e ora. In fondo questa ricerca è un modo per sfuggire a noi stessi e posporre sempre la realizzazione – che invece è sempre presente, sempre nel presente, sempre a portata di mano.

Ciò che inseguiamo forse non lo raggiungeremo mai, e sarà comunque una delusione. Ma il presente è già in questo momento, è già nostro.

Lo scopo della vita è la vita, non un’altra vita.

Identità sessuali

 

In tanti casi, quanta fatica si fa per trovare e affermare la propria identità sessuale. Ma lo sapete che la nostra identità ultima non è quella sessuale?

Dobbiamo cercare quella identità che non è né maschio né femmina, prima del maschio o della femmina. Perché altrimenti gli uomini avrebbero i seni? Non certo per allattare.

Questo vuol dire che all’inizio non siamo né maschi né femmine. O entrambi.

Ci sono identità superficiali e identità più profonde. Non sprechiamo tempo con la superficie.