martedì 14 dicembre 2021

Il non attaccamento

 

Non è semplice guardare la realtà così com’è in questo momento, senza giudizi, senza preconcetti,  senza punti di vista, senza tentativi di cambiare le cose, senza schemi, senza teorie, senza emozioni e senza sentimenti mutevoli. Dovremmo trovare uno stato di tranquillità, di distacco e di obiettività.

Quando non ci attende nulla, quando non ci si aggrappa a nulla, quando non si vuol respingere nulla, la mente è calma (non febbricitante e confusa come al solito). E quindi è vuota e vede le cose in modo trasparente, con chiarezza.

In quei momenti siamo in samadhi, semplicemente. E siamo nel nirvana, che non è l’apparizione di dei o paradisi. Ma questo stato di visione chiara e lucida.

Se ci basiamo invece su fedi oppure su dottrine religiose o filosofiche, non vediamo le cose così come sono, ma come vorremmo che fossero. E perciò non vediamo, ma fantastichiamo. Credo ut intelligam, “credo per capire”, dicevano sant’Agostino e sant’Anselmo d’Aosta.

No, è il contrario. Se credo, non capisco.

Il nostro più grande attaccamento è quello alla nostra individualità, alla nostra egoicità. A tutto potremmo rinunciare, ma non ad essere un io.

Eppure pensiamo a che cosa potrebbe essere se rinunciassimo a questo attaccamento. Sarebbe il vero distacco. Finirebbe anche la paura della morte e, con essa, finirebbero tutte le paure e le angosce che ci assillano.

3 commenti:

  1. Claudio, spero di non apparire dogmatico. La consapevolezza e' una luce nel buio, ma senza un percorso iniziatico, si possono avere più' momenti di consapevolezza, ma credo mancherebbe una benzina, l'olio, che permette in maggior modo di non essere attaccati. Ci sono forze molto grandi quali i figli, il lavoro, l'amore, a morte, la gioia, ed in tanta parte la signora paura. Si certo, si i può' comprendere dentro quel momento di Samadhi, ma per farlo divenire persistente credo ci sia bisogno di un lavoro più' ampio, che in parte le religioni mostrano, che permette di usare tanti mezzi in questo viaggio in cui il fine non e' di essere illuminati, ma di non ottenere nulla per la prima volta.

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  2. Il punto è proprio questo. Noi non meditiamo per ottenere o conquistare qualcosa, ma per realizzare la nostra vera natura, che è nulla ripetto all'avidità della mente e anche delle tradizioni.
    Se però qualcuno trova una religione che lo aiuta, meglio così. Bisogna solo ricordarsi che tutte le tradizioni e le tecniche sono solo strumenti che devono essere abbandonati (distacco) quando si è raggiunta l'altra sponda.
    Per esempio il Buddha paragonava la sua dottrina a una zattera che, una volta attraversato il fiume, va lasciata.

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