Noi non siamo la persona che osserviamo, ma colui che osserva. Questa è la nostra vera identità, l'unica che ci porteremo dietro dopo la morte.
Colui che osserva è il soggetto, il sé, che, standosene silenzioso e calmo, è Testimone di ogni cosa.
Il soggetto che osserva non può essere fatto oggetto di osservazione. Bisogna piuttosto far tacere l'io empirico, con tutte le sue attività fisiche, intellettuali e immaginative, in modo che la distanza fra soggetto e oggetto si annulli, fino a che i due coincidano o si identifichino.
Potremmo dire che si tratta di cogliere la nostra anima, l'atman delle Upanishad. Ma in realtà è l'anima che, mettendo fra parentesi tutto il resto, ritrova se stessa.
A questa operazione diamo vari nomi: essere presenti, essere consapevoli, ricordarsi di sé, risvegliarsi, meditare, ecc.
"Io sono qui, io sono presente, io sono consapevole..." non deve essere un semplice pensiero, ma un'esperienza concreta. Proviamo a farlo adesso - e mille volte al giorno.
Sembra che non succeda niente. Ma stiamo cogliendo, alimentando e consolidando la nostra anima, l'unica realtà che ci resterà sempre.
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