Diceva Cicerone: “L’uomo è nato per contemplare e imitare
il cosmo e, pur essendo lontano dall’essere perfetto, è pur sempre una piccola
parte di ciò che è perfetto”. E Platone affermava: “Anche quel piccolo
frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto
col cosmo e un orientamento ad esso, anche se non sembra che tu ti accorga che
ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia.
Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la
vita cosmica”.
L’ultima
frase andrebbe corretta, perché in questo atto di immobile e silenziosa
contemplazione ci si accorge che il mondo non è semplicemente dato come un
oggetto immutabile da osservare, ma è anche il prodotto del nostro atto di
conoscenza. Vedere è creare, è instaurare nello stesso tempo il soggetto e
l’oggetto; anzi, conoscere è già questa relazione soggetto-oggetto. Non c’è un
io che contempla il mondo, ma un processo conoscitivo che pone
contemporaneamente il soggetto e l’oggetto.
Quanto più
questo processo è contratto, teso e nevrotico, tanto più l’io e il mondo sono
in conflitto, disarmonici e sofferenti. Quanto più questo processo è disteso,
armonico e riposato, tanto più l’io e il mondo sono in sintonia e gradevoli
l’uno all’altro.