sabato 20 dicembre 2025

Pattern incarnati. La mente incarnata. Deep Mind

Guardate come le ultime teorie delle neuroscienze si allineino con le mie. Innanzitutto si supera la maledetta divisione tra mente e materia che ha rovinato la ricerca scientifica. Poi di vedono mente e materia come due facce della stessa medaglia. Quindi si parla di pattern incarnati, così come io parlo di diadi incarnate. Infine si dice che certe nostre concezioni mentali vanno considerate il correlato di strutture fisiche e biologiche. E io cosa dico?

Sandro Iannaccone

l'intervista

20.12.2025

Srini Narayanan, direttore di ricerca di DeepMind: “Le idee sono fatte di carne. E il nostro cervello non è un computer universale”

Esce in Italia il suo La mente neurale, scritto a quattro mani con George Lakoff: il pensiero e il linguaggio sono “incarnati” tanto quanto gli oggetti reali

narayanan

Srini Narayanan è Senior Research Director di Google DeepMind a Zurigo e docente (tra le altre cose) allo Institute for Brain and Cognitive Sciences alla University of California, Berkeleynopparit/Getty Images

“Il rosso che vedo io è uguale al rosso che vedi tu?”. È una delle domande che da bambini ci siamo fatti tutti, almeno una volta: se per secoli la risposta è stata un’alzata di spalle, oggi la neuroscienza parla in modo più preciso. E dice che no, probabilmente non vediamo la stessa cosa. Anzi, per dirla tutta, che quel rosso, fuori dalla nostra testa, nemmeno esiste. Il mondo, difatti, è fatto di radiazioni e superfici che riflettono la luce, ma il colore è una specie di allucinazione controllata, una costruzione biologica creata dai nostri circuiti neurali; ma c’è anche dell’altro, ancora più sconvolgente. Il nostro (personalissimo, a questo punto) pensiero del rosso, così come di qualsiasi altra cosa, non è una nuvola astratta, un software puro che gira sull’hardware del cervello: al contrario, le idee sono fisiche. Cose come la giustizia, la matematica, l’amore sono tutti concetti incarnati, possibili grazie allo stesso materiale biochimico che ci permette di muovere il braccio e sentire il calore del sole. Queste le vertigini al centro di La mente neurale. Come pensa il nostro cervello, saggio appena arrivato nelle librerie italiane per Roi Edizioni, scritto a quattro mani da George Lakoff, tra i più eminenti linguisti cognitivi al mondo, che ha cambiato il nostro modo di vedere le metafore, e Srini Narayanan, Senior Research Director di Google DeepMind a Zurigo e docente (tra le altre cose) allo Institute for Brain and Cognitive Sciences alla University of California, Berkeley

Il libro di Lakoff e Narayanan, in effetti, è un manifesto scientifico e tecnologico, nel solco della cosiddetta “terza rivoluzione cognitiva”, quella che, nel momento di massima esplosione delle intelligenze artificiali e dei modelli di linguaggio, sposta l’asse dell’indagine dall’idea di una “mente computazionale”, in cui si considera il cervello come una sorta di supercomputer in grado di elaborare simboli astratti, a quella di una “mente incarnata” e neurale, per l’appunto, in cui il pensiero è una simulazione fisica radicata nella biologia. Il cuore teorico del libro, in particolare, cerca di smantellare il dualismo cartesiano che per secoli ha dominato il pensiero occidentale, e cioè quello tra res cogitans (cosa pensante, ossia realtà immateriale e spirituale, caratterizzata da pensiero, consapevolezza e libertà e corrispondente all’anima e alla mente) e res extensa (cosa estesa, ossia realtà materiale e fisica, definita dall’estensione nello spazio, inconsapevole, meccanica e determinata da leggi fisiche). Secondo gli autori, il pensiero è in realtà “incarnato” (embodied) in sistemi di circuiti, evolutivamente e biologicamente vincolati: il cervello agisce come un filtro neurale capace di accogliere le idee che la sua architettura può sostenere. Una visione del genere, come vedremo tra poco, ha conseguenze molto profonde, e in particolare smonta pezzo per pezzo l’illusione che i grandi modelli di linguaggio possano replicare la mente umana semplicemente macinando dati: senza un corpo c’è calcolo ma non c’è vera comprensione. Abbiamo intervistato Narayanan per farci raccontare il senso profondo di questo cambio di prospettiva e le sue implicazioni per la neuroscienza e per la tecnologia.


Professor Narayanan, il vostro libro si apre con una tesi provocatoria. Concetti astratti come giustizia e matematica sono entità fisiche, biologiche, quanto lo è il nostro sistema immunitario. Può spiegarci come sia possibile? Come fa un’idea non fisica a diventare un circuito fisico nel cervello?


Costruiamo la nostra “comprensione” delle entità non fisiche a partire dall’esperienza che facciamo del mondo sociale e fisico in cui siamo sempre immersi. Già subito dopo la nascita, abbiamo interazioni che correlano entità fisiche osservabili (il calore, la vicinanza fisica, la grandezza, l’altezza) a entità “soggettive” come l’affetto (essere al caldo, essere tenuti stretti da un genitore), l’importanza (ciò che è grande è importante) e la quantità (più alto è il livello di un liquido in una tazza, più sostanza è contenuta all’interno). Queste prime mappature sono chiamate metafore primarie, e servono come base per mappe e “cornici” più complesse. Nella nostra ipotesi, i concetti nel cervello sono attivazioni coordinate di specifici circuiti neuronali e cascate. Le connessioni tra circuti neurali permettono il flusso di attivazione e mettono in relazione i concetti nella mente neurali


Il cervello impara rafforzando le connessioni tra neuroni e basandosi sulle co-occorrenze dell’attivazione (il cosiddetto firing). Neuroni all’inizio connessi molto debolmente diventano molto più forti quando i due lati della connessioni si attivano in una piccola finestra temporale; nel libro descriviamo diversi meccanismi che spiegano come il cervello impari a “proiettare” questi pattern legati ad attributi fisici (come il calore, per l’appunto) per strutturare la nostra comprensione di attributi astratti (come l’affetto), e come queste mappature si manifestino poi nel linguaggio: espressioni come “le azioni crollano ancora”, per esempio, o “è una persona calorosa” ne sono esempi diretti. Quando impariamo un concetto complesso come la “libertà”, proiettiamo la nostra esperienza incarnata, fatta di contenimento, movimento, forze fisiche e vincoli, per strutturare la nostra comprensione.


Nel libro, usate proprio la percezione del colore come esempio primario del cervello che “costruisce” la realtà anziché registrarla passivamente. Vuol dire che viviamo tutti in simulazioni del mondo diverse tra loro?


Tecnicamente sì. Tutti noi costruiamo esperienze soggettive del mondo. Ma ciò che è importante è che il nostro embodiment simile si traduce in un modello del mondo profondo e condiviso che si basa sul nostro corpo, sul nostro cervello e su come essi interagiscono con l’ambiente fisico e sociale. Sopra a questo “terreno” condiviso, l’evoluzione culturale produce cornici cognitive con le loro convenzioni, relazioni, pratiche, narrazioni e norme associate, che creano un background linguistico e culturale comune.


Una delle intuizioni contenute nel libro è che la logica astratta sia, in qualche modo, un “riadattamento” del controllo motorio.


Sì. Il coordinamento dell’attivazione neurale per monitorare e controllare la percezione, le azioni motorie e le interazioni sociali, nella nostra ipotesi, crea circuiti generali che poi strutturano anche il nostro ragionamento. I circuiti di coordinamento sono necessari per il controllo dei nostri corpi e per la pianificazione. Generalizzare i pattern di coordinamento comuni porta a circuiti complessi, e il ragionamento può sorgere evolutivamente dal “riciclaggio” di questi pattern di controllo schematici (un processo chiamato esattamento). Nel libro mostriamo come il ragionamento deduttivo possa essere visto come l’applicazione sequenziale di questi circuiti di coordinamento. Più in generale, e più tecnicamente, i circuiti che usiamo per muoverci possono essere esattati per il filtraggio, la modulazione e l’inibizione di sequenze di pensiero.


Anche le metafore sono mappe neurali. Abbiamo sentito spesso espressioni come “baratro fiscale” o “guerra commerciale”, e nel libro discutete come il loro uso riesca addirittura a plasmare la politica. Come è possibile “ricablare” una visione politica del mondo modificando queste metafore?


Le mappe metaforiche sono parte della mente neurale, espresse dal linguaggio. E la metafora è comune sia nella scienza e nella poesia, e ha un potere enorme su come percepiamo il mondo. Per esempio, una frase come “I dazi hanno creato una morsa sulle imprese” comunica molto più sull’intenzione e sulla valutazione che si dà dei dazi rispetto al semplice fatto finanziario. E cambiare il nostro sistema di metafore, profondamente plasmato nella nostra esperienza fisica è sociale, è possibile, ma difficile. Per apprezzare questa difficoltà è necessaria una comprensione della struttura delle cornici (i frame): a questo proposito consiglio di leggere Non pensare all’elefante, un libro fondamentale sull’argomento scritto dal mio co-autore George Lakoff.


Mente neurale vs deep learning. È dell’idea che i grandi modelli di linguaggio siano limitati perché mancano di un corpo? E pensa che l’Ai abbia una specie di “filtro” simile al nostro filtro neurale, quello che ci permette di comprendere solo ciò che è adattabile al nostro circuito neurale?


In un certo senso, non avere un corpo è limitante, perché il cervello e il corpo forniscono un luogo dove fondare la nostra comprensione del mondo. D’altronde, gli Llm sono un vasto deposito dei nostri artefatti culturali, e possiedono una conoscenza paragonabile ai cervelli collettivi di tutti gli esseri umani mai vissuti. Ma l’architettura e gli algoritmi di apprendimento degli Llm sono piuttosto diversi dal cervello umano: il mio interesse non è costruire “finti” esseri umani con gli Llm, ma incanalare la loro conoscenza per risolvere problemi complessi nella scienza o nell’educazione. Riguardo al “filtro”: gli Llm sono pre-addestrati su dati creati principalmente dagli esseri umani e poi post-addestrati (tuned) per assomigliare a risposte umane: al momento i loro “filtri” sono probabilmente simili a un amalgama di visioni umane, incluse le nostre incongruenze. In questo senso non si tratta di qualcosa di “alieno”.


Qual è il più grande fraintendimento sul funzionamento del cervello che spera di sradicare con il vostro libro?


Il cervello non è una macchina computazionale astratta. È sempre attivo, adattivo e impegnato nel mondo fisico. Siamo esseri vulnerabili, con motivazioni, sensazioni e bisogni esistenziali. Il cervello è intimamente parte del corpo e lavora alla enterocezione (l’ascolto di segnali interni) per mantenere uno stato stabile, sentire e pensare. È urgente capirlo, perché il modo in cui pensiamo influenza il modo di agire e di vivere.


 Wired. 



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