domenica 12 ottobre 2025

Shikantaza, "soltanto stare.seduti"




Qualche volta, quando siamo presi dall' ansia o dall' angoscia di non fare abbastanza, dovremmo ricordarci che siamo qui non per fare qualcosa di speciale, non per raggiungere qualche meta particolare, ma semplicemente per essere qui e ora. Non dobbiamo proprio ottenere nulla, così come ci dice invece la nostra società del fare, del costruire, dell' ottenere. Siamo qui per respirare, mangiare, bere. Il più lo abbiamo già ottenuto nascendo. Basta. Non dobbiamo andare da nessuna parte, neanche in Paradiso. Tutto è già raggiunto. 

Allora, per calmarci, ricordiamoci della pratica zen dello Shikantaza, che tutti possono fare, anche semplicemente seduti sul pavimento, sulla terra o su una sedia. Ragazzi, non c' è bisogno di altro. Siamo già arrivati, illuminati, realizzati. Ah, che liberazione!




La pratica zen dello shikantaza (只管打坐), termine giapponese che significa letteralmente “soltanto sedersi”, è una forma di meditazione senza oggetto tipica della tradizione Sōtō Zen. È considerata una delle espressioni più pure e radicali del buddhismo zen, in quanto non mira a ottenere nulla — né illuminazione, né calma mentale, né stati particolari di coscienza.




Shikantaza” è composto da tre parti:


Shi (只) → “soltanto”


Kan (管) → “interamente / con totale attenzione”


Taza (打坐) → “sedersi in meditazione”



Insieme, esprimono il senso di stare pienamente presenti nell’atto stesso di sedersi, senza altro scopo o oggetto. Non si medita su qualcosa, non si osserva il respiro o un mantra: si è semplicemente seduti, pienamente consapevoli di ciò che è, momento dopo momento.



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🪶 Origine


Lo shikantaza è stato sviluppato e insegnato in particolare da Eihei Dōgen (1200–1253), fondatore della scuola Sōtō Zen in Giappone.

Dōgen insegnava che zazen (la meditazione seduta) non è un mezzo per ottenere l’illuminazione, ma è già l’espressione dell’illuminazione stessa.

In altre parole: praticare zazen è essere Buddha.



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🪷 Come si pratica


1. Postura: si assume una posizione stabile e dignitosa (in genere il lotus, mezzo lotus o seiza). La schiena è eretta, le mani nella mudra cosmica, lo sguardo aperto ma non focalizzato (di solito verso il basso, a circa un metro di distanza).



2. Respirazione: naturale, non controllata, semplicemente lasciata fluire.



3. Mente: non si segue alcun oggetto mentale. Quando sorgono pensieri, emozioni o sensazioni, non vengono né respinti né seguiti; si lascia che sorgano e si dissolvano da soli, come nuvole nel cielo.



4. Attitudine: presenza totale, apertura, non giudizio. È un “essere con ciò che è”, senza cercare di modificare o migliorare nulla.





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🕊️ Scopo (non scopo)


Nel linguaggio zen, lo shikantaza è definito una “pratica senza scopo” (mushotoku).

Non si medita per ottenere qualcosa, ma per vivere pienamente il momento presente, nella sua nuda realtà.

Paradossalmente, proprio in questa totale assenza di ricerca si manifesta la libertà e la chiarezza della mente illuminata.



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🌄 Esperienza e visione


Con la pratica regolare, si sviluppa una percezione sempre più chiara dell’unità tra sé e il mondo, e del continuo fluire di pensieri e fenomeni senza attaccamento.

Non si tratta di “raggiungere” uno stato, ma di riconoscere ciò che è sempre stato lì, prima delle nostre preferenze e identificazioni.

Non si tratta di una tecnica con un obiettivo da raggiungere, ma di una pratica di pura presenza, in cui si abbandona ogni intenzione di “ottenere” qualcosa — illuminazione compresa.


Ecco come si svolge una tipica sessione di Shikantaza:



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🪷 1. Preparazione


Luogo: uno spazio tranquillo, ordinato, con luce naturale se possibile.


Postura: si siede su uno zafu (cuscino da meditazione), preferibilmente nella posizione del loto, mezzo loto o birmano. La schiena è eretta, le spalle rilassate, il mento leggermente ritratto.


Mani: in mudra cosmico — la mano sinistra sopra la destra, palmi verso l’alto, i pollici che si sfiorano formando un ovale.


Occhi: semiaperti, lo sguardo posato dolcemente circa un metro davanti, senza fissare nulla.




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🌬 2. Inizio della seduta


Si prende consapevolezza del corpo, del respiro, del contatto con il suolo.


Il respiro non viene controllato né seguito: semplicemente si respira.


Quando la mente vaga (e inevitabilmente lo farà), ci si limita a notare e lasciare andare, tornando alla semplice consapevolezza del momento presente.



Non c’è alcun “oggetto” su cui concentrarsi — non un mantra, non il respiro, non un koan.

Si tratta di sedersi come è, così com’è: pensieri, sensazioni, suoni, silenzi… tutto ciò che appare viene accolto senza attaccamento né rifiuto.



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🕰 3. Durante la pratica


Il tempo può variare: da 20 minuti fino a un’ora o più nelle sessioni monastiche (zazen).


Può essere accompagnata da un ritmo di comunità: campane che segnano l’inizio e la fine, camminata meditativa (kinhin) tra una seduta e l’altra.


L’atteggiamento è quello di una consapevolezza aperta e non giudicante, una presenza totale che non si aggrappa a nulla.




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☯️ 4. Conclusione


Alla fine del tempo stabilito, si esegue un piccolo inchino (gasshō) e ci si alza lentamente.


Non c’è una “fine” vera: l’intento è portare quello stato di chiarezza e presenza nella vita quotidiana — cucinando, lavorando, camminando.




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🕊 Essenza


> “Shikantaza non è meditare su qualcosa, né meditare per qualcosa.

È la manifestazione diretta della nostra natura di Buddha, qui e ora.”

— Eihei Dōgen, fondatore dello Zen Sōtō






 


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